“La Tempesta” di Shakespeare nello sguardo del Théâtre des Bouffes du Nord
Capolavoro dopo capolavoro, il regista britannico Peter Brook ha esplorato, sin dal suo esordio del 1947 con “Romeo e Giulietta”, gran parte delle opere di William Shakespeare, mostrando una visione e un’esperienza uniche, capaci di raccontare con estrema convinzione la vibrante complessità dell’umano. Concentrato su una recitazione e su una gestualità essenziali ed estremamente curate, Brook sceglie di radunare attorno a sé attori ed attrici provenienti da tutto il mondo, componendo un mosaico di lingue e culture che arricchiscono di significato le opere del Bardo.
Il suo lavoro non può prescindere anche dall’elaborazione del testo che, come in questa versione de “La Tempesta”, viene tradotto dall’inglese al francese dallo stesso autore e dalla co-autrice Marie-Hélène Estienne, anche co-regista di questo “Tempest Project”, presentato al Romaeuropa Festival.
“La Tempesta è un enigma. E’ una favola in cui nulla può essere preso alla lettera, perché se rimaniamo sulla superficie dell’opera la sua qualità interiore ci sfugge. Per gli attori come per il pubblico è un’opera che si rivela recitandola” afferma Brook in una nota dello spettacolo datata 2020, per uno spettacolo che sarà anche l’ultimo dell’autore britannico, scomparso a luglio dello scorso anno.
La scena quasi del tutto spoglia porta la chiara firma del regista: tronchi di legno, un tappeto e ai lati della scena due panche, su cui gli attori si siedono quando non sono coinvolti nell’azione.
Il legno è l’elemento naturale ricorrente, utilizzato in vari modi: come sedia, come punto di contatto tra amanti o frusta per lo schiavo. Pochi cambi di luce, qualche inserto musicale, cappotti lunghi e ampie sciarpe per Prospero e Ariel, che segnano un codice stilistico fortemente identitario.
Nella scena seminuda brilla lo straordinario Prospero, interpretato senza orpelli, con carisma e una presenza calma e leggera dall’attore ruandese Ery Nzaramba, capace di guizzi comici e di grande concentrazione drammatica, in perfetto stile brookiano.
In meno di un’ora e mezza si concentrano tutti i fatti. Il testo rivive in forma ridotta assumendo una nuova vitalità, per niente ridondante, dritta al punto, con un forte accento sul concetto di libertà.
Lo stesso Prospero, ex duca di Milano spodestato dal fratello Antonio che lo ha relegato in un’isola sperduta, grazie alle sue magie riesce a vendicarsi creando la tempesta perfetta ai danni del fratello usurpatore.
Lo spettacolo inizia con il naufragio già in atto, quando il protagonista e Ariel, suo servitore fedele, interpretato con estrema limpidezza e realismo da Jared McNeill, ragionano sull’accaduto. Già qui risuona la parola fondamentale: libertà. Ariel la chiede al suo padrone quale agognato premio, una volta che tutto sia compiuto. Come un’eco che risuona nel testo e nel procedere della storia, scopriamo che nessuno dei personaggi è libero: non è libero Prospero, recluso sull’isola da anni con un profondo senso di vendetta; non è libera la figlia Miranda, che è cresciuta senza poter vedere cosa ci sia fuori da quell’isola; non è libero Calibano, l’indigeno reso schiavo da Prospero; non sono liberi Stefano e Trinculo, i due ubriaconi che si ritrovano vittime di loro stessi, interpretati con grande vivacità e freschezza espressiva dai gemelli Fabio e Luca Maniglio.
Fatto dopo fatto però, tra l’amore ingenuo di Miranda e Ferdinando, naufrago anche lui, e le recriminazioni dello schiavo Calibano, la volontà di vendetta di Prospero sfuma sempre più, lasciando spazio al perdono. E sul finale Prospero, illuminato dalle luci della sala come se lo spettacolo fosse già terminato, si rivolge al pubblico, chiedendo di essere perdonato e quindi liberato.
La sensazione è tuttavia che sia uno spettacolo in fieri, un progetto che si regge su una continua ricerca, ed effettivamente è proprio così. L’autore ci ha lavorato per 60 anni: la prima volta che legge l’opera sente che gli scivola tra le dita, così tenta varie messe in scena, sin dagli anni ’60, quando teorizza lo “spazio vuoto”, tratto inconfondibile del suo stile essenziale, che rimuove tutto ciò che non è strettamente necessario e intensifica ciò che rimane. Rinuncia alla scenografia per dare più spazio possibile alla relazione tra attore e spettatore.
Questa netta identità autoriale, tuttavia, sembra perdere di forza in questo lavoro, lasciando spazio a tratti al “teatro mortale” il cui primo effetto, secondo lo stesso regista, è la noia. E questo nonostante la presenza e le qualità degli attori siano vive e lampanti.
Restiamo comunque avvolti nell’atmosfera diffusa di uno spettacolo di Peter Brook, ancor più dopo la scena finale di Prospero che, abbattuta la quarta parete, con tutta la sua disarmante onestà ci chiede di donargli la libertà. Saremo in grado di accogliere la sua richiesta?
Tempest Project
Adattamento e messa in scena Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
Produzione C.I.C.T. – Théâtre des Bouffes du Nord
Uno spettacolo nato da una ricerca su La Tempesta di William Shakespeare
luci Philippe Vialatte
con Sylvain Levitte, Paula Luna, Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Jared McNeill, Ery Nzaramba
Production C.I.C.T. – Théatre des Bouffes du Nord
Co-production Théatre G.rard Philipe, centre dramatique national de Saint-Denis; Sc.nenationale Carr.-Colonnes Bordeaux M.tropole; Le Th..tre de Saint-Quentin-en-Yvelines-Scéne Nationale; Le Carreau – Scéne nationale de Forbach et de l’Est mosellan
Durata: 1h 20′
Applausi del pubblico: 3′
Visto a Roma, Auditorium Parco della Musica, il 30 settembre 2023