Una nuova edizione di Tempi di Reazione, rassegna sull’intuizione tra musica, parola e danza, ha caratterizzato l’inizio di dicembre in provincia di Lucca, a Spam!, sede della compagnia Aldes guidata da Roberto Castello.
Al di fuori di alcuni ambiti artistici (come nel jazz), poco spazio viene dato oggi all’improvvisazione, e soprattutto ad una riflessione sull’improvvisazione: è ciò che invece si cerca di fare a Spam!, con serate organizzate in un format fatto non solo di pratiche in scena, ma anche di teoria.
Cosa significa veramente “improvvisare”? E dove si colloca il confine tra la pura improvvisazione e la ripetizione – più o meno consapevole – di conoscenze codificate che sono parte del bagaglio di un artista? Impossibile pensare che tutto ciò che un determinato artista ha appreso e praticato durante il suo percorso non influenzi un singolo atto improvvisativo, ma non per questo dovrà risultare ripetitivo o “organizzato” a priori, se si tratta di improvvisazione.
La vera differenza nell’improvvisazione sta sicuramente nella libertà dell’atto performativo. Ma l’errore che viene fatto spesso è anche pensare che qualsiasi forma artistica sia mossa da un qualcosa di celebrale, deciso dalla volontà dell’esecutore. Nell’improvvisazione, al contrario, il vero soggetto non è l’artista, ma l’atto performativo in sé, che agisce come se avesse vita propria, indipendentemente dal volere dell’esecutore, che ne diventa un mero strumento. Partendo da questo presupposto è interessante osservare le differenze tra i vari artisti, e sarà anche più facile percepire dove il processo improvvisativo è veramente libero o dove invece l’azione è più limitata da condizionamenti intrinsechi. Del resto, come affermava Spinoza, “l’uomo, per la sua stessa natura di essere limitato, non potrà mai aspirare alla pienezza della libertà”.
Presenti a Tempi di reazione artisti di riferimento nell’ambito dell’improvvisazione, per una programmazione ricca sia per la portata dei singoli artisti, sia per la multidisciplinarietà artistica (prevalentemente danza e musica dal vivo, ma non solo), che ha visto per la danza la partecipazione di Cristina Kristal Rizzo, Alessandra Cristiani (con il percussionista Ivan Macera), Alessandro Certini e Charlotte Zerbey, e un’artista del calibro di Katie Duck (accompagnata in questa occasione dalla percussionista Maria Luisa Pizzighella), danzatrice e coreografa attiva dagli inizi degli anni Settanta, che nel suo percorso di ricerca è arrivata ad una connessione unica tra corpo, mente e suono.
Mentre in ambito musicale sono arrivati a Spam! il percussionista Antonio Caggiano con Elio Martusciello, nome di rilievo della musica elettronica, Zam Moustapha Dembelé (percussionista) e Dimitri Grechi Espinoza (sassofonista).
Ad inaugurare la rassegna è stato uno degli artisti più celebri e imprevedibili del panorama teatrale italiano: l’attore, cantautore e comico Paolo Rossi. In alcune serate gli incontri sono stati preceduti da introduzioni teoriche dei filosofi Alessandro Bertinetto e Antonio Pellicori, occasione di approfondimento e riflessione sul tema.
Mentre l’ultima serata della rassegna ha visto protagonisti Alessandro Certini e Charlotte Zerbey di Company Blu, accompagnati per l’occasione dal duo di musica elettronica Instant Places – Laura Kavanaugh e Ian Birse -, che hanno presentato un nuovo progetto: “Sotto un sottotesto”.
Certini e Zerbey sono da sempre maestri della contact improvisation, a cui hanno dedicato non solo gran parte della loro ricerca artistica, ma anche rassegne vere e proprie, con altrettanti nomi internazionali di rilievo.
In scena è da subito evidente l’intesa della coppia, che genera un flusso libero di gesti che sembrano muoversi secondo un unico accordo, mentre in altri momenti dà origine ad una danza quasi tribale e più selvaggia, tanto è libera. Nel caso di Certini e Zerbey l’improvvisazione è un linguaggio fluido e sciolto che circola attraverso l’intero corpo, dalla testa ai piedi, dalla parola al suono. Il corpo accoglie e rifiuta, si espande e si ritira come un’onda, si blocca in movimenti sincopati o si libera in una corsa; l’uno insegue l’altro per poi essere inseguito, come in tutte le tappe salienti di una relazione.
Se improvvisare significa scoprire ed essere sorpresi dai propri gesti, nel percorso si può inciampare in uno spasmo mentre si cammina, o trovare un oggetto con cui interagire, come il filo giallo del microfono che si trasforma in figure a terra, o la parete sul fondale che diviene un magnete per i corpi. Perfino il rumore del treno della adiacente ferrovia trova un suo spazio in questo universo. Tutto è possibile, tutto è in divenire.
A rendere la performance ancora più ricca e doppiamente interessante dal punto di vista dell’improvvisazione è la partecipazione del duo canadese Instant Places, musicisti che creano in estemporaneo performance audiovisive interattive usando sistemi hardware e software in continua evoluzione, che integrano con consolle e strumenti fatti a mano, sensibili al tocco.
Laura Kavanaugh e Ian Birse sono due anomali dj dietro una consolle (posta a un lato della scena) composta da decine di strumenti di vario genere: minuscoli mixer, microfoni, carillon, campanelli, l’arco di una viola suonato su una chitarra, bacchette e consolle collegate tra loro da innumerevoli cavi.
Più che un suono quello riprodotto è una manipolazione del suono, che conduce a sperimentazioni acustiche uniche, che un momento risultano freddi e stridenti suoni industriali, mentre in un altro sembrano riprodurre i suoni della natura, come il canto di uccellini o il soffio del vento. Ed è impressionante come riescano a condurre a variazioni acustiche solo giocando su impulsi e vibrazioni al tocco di una consolle, una vera e propria architettura del suono che dà origine a improvvisi luoghi immaginari, sensazione che ha dato il nome del loro ensemble (“Instant Places”).
È un suono che potrebbe anche disturbare, anziché accompagnare, che riavvolge il corpo come un nastro riprodotto al contrario, ma che insieme ai due danzautori ci conduce in mondi totalmente nuovi, in cui ironia e mondo onirico si fondono in un’atmosfera lynchiana che raggiunge il suo apice nei suoni raccapriccianti di Charlotte Zerbey al microfono, o in un fermo immagine dell’artista congelata in un’espressione straniante, che affascina e ripugna al tempo stesso.
È una narrazione che basta a sé stessa, senza dover aggiungere altro, e che ipnotizza lo spettatore catapultandolo in un processo creativo irripetibile e inafferrabile, proprio perché rappresenta l’essenza dell’improvvisazione.