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Terra Nova. Spedizione ai limiti delle proprie paure

Crew - Terra Nova
Crew - Terra Nova
Crew – Terra Nova
Il tema del viaggio nel più profondo e radicale dei Sud apre e chiude lo spettacolo presentato dalla compagnia belga Crew al Contemporanea Festival di Prato, in corso fino al 7 ottobre.
Il viaggio, tuttavia, è ricco di divagazioni, almeno apparentemente incoerenti e bizzarre, e si dipana nell’arco di quasi due ore su livelli drammaturgici, temporali ed esperienziali piuttosto differenti.

Si parte dall’ingresso al Fabbricone: ad ogni spettatore è fornita un’audio-guida che lo accompagnerà da subito e per tutta la durata dell’esplorazione di “Terra Nova” per gli spazi del teatro, traducendo per lui lo spettacolo ma anche scandendone le sezioni in base al gruppo di appartenenza del singolo individuo.

Ogni gruppo (formato da undici persone) viene di volta in volta chiamato e introdotto da un componente della compagnia nel teatro, nella sala a lui destinata per l’inizio della performance a seconda della lettera che reca scritta sul proprio apparecchio.

Il gruppo a cui appartiene chi scrive si ritrova così sulla scena del monologo di un uomo in spedizione, una voce che in parte ricorda e in parte tenta di rivivere nella parola un’esperienza al limite del conosciuto.
A parlare potrebbe essere Robert Falcon Scott o uno dei componenti della sua rovinosa spedizione al Polo Sud nel 1911. Il suo è un discorso del tutto evocativo, specchio di tracce delebili sul pavimento antartico che tentano di ricalcare impronte sempre più grandi e al contempo paradossalmente sempre più eteree.
C’è il mistero del luogo, c’è l’ideale della ricerca e c’è la condivisione di questo ideale, ma c’è soprattutto la violenza indifferente della natura: rumore bianco a cui la voce umana tenta di opporre via via sempre più resistenza, mentre le possibilità di realizzazione del sogno e la sua stessa irrealtà non designano più solo una terra senza nome, ma anche la mente di chi la pensa e la chiama. Segue, così, l’irrimediabile naufragio nel mare freddo dei ghiacci, e lo sfrigolio di una razionalità che prende progressivamente fuoco attraversandoli.

Seguendo i passi e i pensieri del comandante, il testo di Peter Verhelst vuole immergere il pubblico nella disfatta della spedizione. Durante la performance, ogni spettatore è quindi catapultato in altre realtà sconcertanti per mettere alla prova le proprie sensazioni, nella volontà di far rivivere il caos interiore di Scott, e liberare la personale Terra Nova interiore di ognuno.

Cambiamo stanza e lo stesso tenta di fare l’orizzonte drammaturgico.
Ci ritroviamo sul luogo dell’immersione: è quanto annuncia una donna dal maxischermo, da cui osserviamo in contemporanea le visioni dei gruppi che ci precedono. Lo stesso verrà ripetuto anche a noi poco dopo.
Il cambio di tono è manipolato da uno staff di inservienti di scena e relative estensioni più o meno invasive: notebook agganciati alle spalle dello spettatore di turno e piccoli schermi sul petto rimandano, su superficie piatta, ciò che accade tridimensionalmente all’interno dei visori.

Il legame con la narrazione precedente rimane in parte incomprensibile, se non nella metafora: ci ritroviamo di volta in volta ospiti e cavie di una esplorazione strategica, durante la quale il viaggio dello spettatore, inizialmente immaginario, viene diretto in un ambiente virtuale. Per lo spettatore non c’è possibilità di movimento, se non minimo e in gran parte imposto, all’interno di questo sistema mediano che colloca le sue reazioni e la sua stessa concezione del viaggio al centro dello spettacolo.
Tuttavia questa sfera di mediazione sembra soffrire di meccanicismi e simbolismi dichiarati, tanto da non oltrepassare mai la soglia dell’evidente artificio.

Se ad ogni idea di luogo è connessa un’idea del vedere, e la riproduzione per immagini del reale poteva qui servire ad ampliare o perlomeno a ribadire la visione suggerita dall’io narrante iniziale, i pochi tratti allucinati del monologo precedente lanciano solo rimandi nell’esperibilità immediata di paure e fobie ricorrenti. Topi, siringhe, bare, stretti condotti di areazione si susseguono in maniera forse fin troppo prevedibile, e sempre incastonati in atmosfere confuse e frammentarie, lasciando poco spazio all’immagine di una bandiera nera, che sventola muta al vento gelido, e a quella cordata di uomini finale, in direzione di una terra in cui troveranno la morte.

TERRA NOVA

ideazione: Eric Joris
direzione artistica: Eric Joris & Stef De Paepe
attori: Jorre Vandenbussche, Stef De Paepe
testi: Peter Verhelst
suono: Kreng
software design: Philippe Bekaert, EDM, University Hasselt and Vincent Jacobs
tecnologia: Vincent Jacobs
assistente alla tecnologia: Koen Goossens
assistente artistico: Chantalla Pleiter
assistente al palcoscenico: Jakub Rehak
set: Leo Verlinden – luci Kim Rens e Jens Laureyns
costumi: Olivia Mortier e Marije Dewit
Terra Nova è parte del progetto europeo ‘New Media, Performing Arts and Spectatorship’ (2011-2012) finanziato da Culture 2007-2013 Program of the European Commission
durata: 1h 50′
applausi del pubblico: 1′ 50”

Visto a Prato, Teatro Fabbricone, il 25 settembre 2012
Festival  Contemporanea


 

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