Terre noire di Stefano Massini. Gli attori sopra tutto

Terre noire (photo: © Jean-Claude Fraicher)
Terre noire (photo: © Jean-Claude Fraicher)

È raro recarsi a Pistoia a Il Funaro e tornarsene indietro senza essersi un po’ riappacificati col teatro. Il discorso vale anche quando capita di imbattersi in lavori che non convincono sotto tutti gli aspetti, come “Terre noire” – testo di Stefano Massini, regia di Irina Brook – andato in scena in prima (e unica!) nazionale il 23 e 24 marzo, mese dedicato dal centro teatrale toscano al teatro francese.

“Terre noire” racconta la spietata azione di una multinazionale priva di scrupoli che vuole impadronirsi dei terreni coltivati a canna da zucchero a spese di contadini ignari, abbindolati dalla possibilità di guadagni immediati e facili. Hagos Nassor, piccolo proprietario terriero, si fa ingannare col pretesto di raccolti miracolosi, firma un contratto ed in realtà firma la sua fine. La sua terra sarà contaminata da prodotti chimici ed egli finirà col perdere tutto, compreso il mondo che porta con sé, quello degli antenati.

Anche se ambientato in un’epoca diversa, il pensiero corre al libro dello scrittore nigeriano Chinua Achebe, “Il crollo”, in cui l’autore descrive il passaggio tra due mondi, con la scomparsa di quello tradizionale a favore dell’occidentale. Il personaggio principale Okonkwo ricorda per il tragico destino Hagos, che soccombe inghiottito dal vortice di interessi di un’azienda vorace come il mitologico Cerbero, la quale di teste non ne ha tre, ma molteplici, una più feroce e famelica dell’altra.
Quando si rende conto di essere stato ingannato e di aver perso i suoi pochi ettari si rivolge ad un giovane avvocato donna, Odela Zaqira, che sposando la sua causa intraprende una lotta impari contro la multinazionale, “rappresentata” in scena da uno spietato avvocato e da un agente commerciale senza scrupoli.

L’ambiente scenico è suddiviso in quattro zone d’azione. Un umile interno domestico – un tavolo, due sedie e poche suppellettili di una cucina -, posizionato sullo sfondo, mentre due scrivanie da ufficio – l’una di legno, semplice ed essenziale, l’altra in cristallo ed acciaio, con tanto di pelle di zebra come tappeto – si contrappongono ai lati della scena, “l’una contro l’altra armata”, lasciando libero il proscenio, luogo principale degli eventi.

Stefano Massini costruisce una drammaturgia articolata in trentuno quadri che si succedono in un montaggio serrato, senza seguire un andamento lineare, catturando così l’attenzione dello spettatore. Tuttavia alcune scelte apportate dalla regia non convincono del tutto. Nel delineare e caratterizzare i personaggi dei due avvocati, ad esempio, alcune scelte appaiono stereotipate. Per fare un esempio, in uno dei quadri il maturo professionista dialoga nel suo ufficio con la giovane collega mentre allena i bicipiti con gli estensori, non si sa se per dimostrare più indifferenza o machismo. In entrambi i casi ci appare una soluzione troppo facile, che quindi non convince del tutto, così come il finale, che a sua volta suona un poco retorico. Irina Brook lo affida ad un video in cui una bambina cammina in un prato accarezzando l’erba, accompagnato da una citazione dell’attivista indiana Vandana Shiva, nota per le sue battaglie contro la coltivazione di vegetali geneticamente modificati e contro la globalizzazione.

Fortuna vuole che tutto ciò passi però in secondo piano per merito della prova degli attori e del felice impatto d’insieme della messinscena. Così le perplessità si affievoliscono, e col passare dei giorni si è felici di aver visto lo spettacolo.
Tra gli interpreti come non sottolineare soprattutto la prova del protagonista Pitcho Womba Konga, il quale, oltre che calcare con successo il palcoscenico (ha lavorato tra gli altri con Peter Brook) è anche un affermato cantante della scena hip-hop belga.
Al termine dello spettacolo il pubblico regala ai protagonisti una vera e propria ovazione. Peccato quindi che lo spettacolo sia rimasto in Italia solo per lo spazio di due repliche.

Terre noire
di Stefano Massini
traduzione dall’italiano Pietro Pizzuti
regia di Irina Brook
con Romane Bohringer, Hippolyte Girardot, Jeremias Nussbaum, Babetida Sadjo, Pitcho Womba Konga
musiche di Jean-Louis Ruf-Costanzo
scene di Noëlle Ginefri
suono di Guillaume Pomares
luci di Alexandre Toscani
costumi di Élisa Octo
una produzione del Théâtre Nationale de Nice – CDN Nice Côte d’Azur (Francia)
(spettacolo in francese con sopratitoli in italiano)

durata: 1h 7’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Pistoia, Il Funaro, il 24 marzo 2017
Prima nazionale

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