Terreni Creativi 21, tornare in serra fra danza e teatro

Daniele Ninarello ad Albenga (photo: Guido Mencari)|Photo: Guido Mencari||||||||||||||||
Daniele Ninarello ad Albenga (photo: Guido Mencari)|||||||||||||||||

E’ assai difficile, durante un festival, assistere ad una parte significativa del percorso performativo di un artista, potendo così approfondire la sua poetica e il modo di porla.
E’ invece accaduto nei quattro giorni in cui abbiamo partecipato a Terreni Creativi. Un festival bellissimo, è il caso di dirlo, non solo per la qualità degli spettacoli, ma anche per le modalità con cui viene proposto: si tiene da 12 anni nelle serre vivaistiche di Albenga, in provincia di Savona, per opera di Kronoteatro, di cui il nostro Ministero della Cultura pare non accorgersi, preferendo regalare prebende ad altre iniziative di infimo valore, o nate all’occorrenza per riceverle.

Noi che lo frequentiamo da diverso tempo, ben sappiamo che le scelte accurate compiute da Maurizio Sguotti & soci non sono mai casuali, tanto meno quest’anno, in cui, attraverso un discorso meditato e preciso, abbiamo potuto assistere in spazi delimitati da verdi piante fragranti, con diverse decine di spettatori con cui abbiamo anche cenato, a spettacoli assai diversi tra loro, che soprattutto ci hanno permesso di entrare nei percorsi di artisti di cui abbiamo potuto seguire l’evolversi della poetica.

Ecco per esempio che, del performer, danzatore e coreografo Daniele Ninarello abbiamo potuto gustare, di seguito, tre lavori, cominciando da “Kudoku” che già ci aveva incantato, nel vero senso del termine, in altra occasione, per quel suo rapporto stretto del corpo del performer con i prodigi musicali di Dan Kinzelman, anche lui ad un certo punto in scena: lo sguardo si concentra sul vero e proprio afflato che si instaura tra i due corpi e con il suono, che scaturisce dai marchingegni sonori e dagli strumenti messi in atto.
Stessa cosa accade per “Pastorale”. In scena ci sono quattro performer, tra cui lo stesso coreografo, costretto a sostituire una interprete impossibilitata ad essere presente. In un continuo turbinio di giravolte il corpo di Ninarello, riverberando l’omonimo quadro di Klee al Moma, si sfiora, si incunea, si inoltra con quelli di Vera Borghini, Zoè Bernbéu e Lorenzo Covello, appena sfiorandosi, occupando tutto lo spazio della scena, in un tripudio di piccoli gorghi come quelli dell’acqua in cui getti un sasso.
Si finisce poi con il primo studio di “Nobody nobody nobody – It’s not ok to be ok”, in cui Ninarello utilizza tutte, ma proprio tutte, le possibilità del suo corpo per combattere lo spazio che ha intorno, aiutato da una consona partitura musicale, colma di stridori e rimbombi.

La danza è stata presente a Terreni Creativi anche con Marco D’Agostin e Francesca Foscarini, il primo sempre più performativo. In “Best regard” la danza si infiltra nel concetto ormai desueto della lettera scritta, cercando – tra parola e gesto – di restituircene il senso più intimo.
Francesca Foscarini in “Hit me”, partendo dalla sua data di nascita, danza abbandonandosi ai ritmi dei brani in vetta alle classifiche in quell’esatto giorno, ogni anno a partire dalla sua nascita ad oggi. Lo fa ogni volta improvvisando ed improvvisandosi, in un continuo ed estenuante immergersi liberamente nella musica e in quel ricordo da lei ricevuto.

E passiamo al teatro. Alessandro Berti, autore che abbiamo varie volte frequentato con interesse al festival I Teatri del Sacro, ha presentato ad Albenga “Bugie bianche”, tre risultati del suo percorso di ricerca in essere, due spettacoli e un breve film. “Bugie bianche” è incentrato sul rapporto di estrema sudditanza della razza nera sulla bianca, ma Berti tende subito a precisare che il termine razza dovrebbe essere bandito e utilizzato solo in ambito culturale e non biologico.
La ricerca, documentatissima, si esprime prima in “Black Dick”, spettacolo che pone al centro lo sguardo interessato e osceno dei bianchi sul corpo dei neri; nel secondo, “Negri senza memoria”, si concentra invece sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti, mentre in “Blind love” una coppia – un bianco e una mulatta – si confronta forse per la prima volta sul loro rapporto, scoprendone riflessi nascosti.
Berti narra, cantando in perfetto inglese, mostra immagini e svela nomi di cui avevamo solo vaghi ricordi con un autocompiacimento che a volte tende però ad allontanarci dal tema a lui così caro.

Di Francesca Sarteanesi abbiamo poi assistito a due creazioni: il recentissimo “Sergio”, già apprezzato a Sansepolcro, e la precedente “Bella bestia”, in cui l’artista toscana è in scena insieme a Luisa Bosi.
Come avevamo già notato per “Sergio”, anche la drammaturgia di “Bella bestia” è intrisa di una melanconica ironia che sottende la difficoltà dei rapporti. Anche stavolta, con i componenti dell’altra metà del cielo, i maschi non sono visti non come elementi sopraffattori, ma come chiusi in un mondo tutto loro, pieno di stereotipi, in cui è difficile entrare.

Lasciamo il festival, insieme alla consueta piantina regalataci da Maurizio Sguotti, col sorriso che ci evocano le Nina’s Drag Queens e il loro varietà, ma soprattutto con ancora dentro di noi la poesia dello spettacolo più intenso e poetico rivisto ad Albenga, “Tiresias”, il meraviglioso testo di Kate Tempest messo in scena da Giorgina Pi con Gabriele Portoghese che, narrando l’esistenza del famoso indovino cieco, ci trasporta in un universo ancestrale ma di contemporanea valenza, dove il mondo, nel suo complesso, vive di palpitante e poetica energia vitale.

Vi lasciamo ora alle immagini dal festival realizzate da Guido Mencari, un ulteriore modo di raccontare Terreni Creativi 2021.

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