Il festival di Kronoteatro nelle serre di Albenga ha offerto anche in questa edizione un’immagine reale dello stato di salute del teatro contemporaneo in Italia
Il festival Terreni Creativi, che si tiene da tredici edizioni nelle serre di Albenga per merito della piccola compagnia Kronoteatro, ha acquisito nel tempo una fisionomia precisa, che si è dimostrata per lo spettatore comune un’occasione per avventurarsi in visioni sempre nuove e sconosciute.
Per noi è una ulteriore possibilità di tastare il polso del teatro contemporaneo del nostro Paese.
Così, dopo essere stati presenti per quattro giorni, con altrettanti spettacoli ogni giorno, colmi di suggestioni diversissime tra loro, possiamo dire che la scena contemporanea ci pare alquanto in difficoltà, perché alla fine raramente ci siamo imbattuti in performance teatrali interamente soddisfacenti (almeno per noi), una percezione in linea con ciò che abbiamo visto durante l’estate, nelle altre occasioni festivaliere che abbiamo attraversato.
Forse il motivo risiede nelle conseguenze dovute alla inconsulta frantumazione della drammaturgia che la tradizione ci aveva doverosamente consegnato per essere rimodulata in altro modo, foriera di nuove vibrazioni contemporanee, e che invece ha sortito risultati per la maggior parte inconcludenti.
Spesso anche ad Albenga, come avevamo già notato altrove, abbiamo dovuto rintanarci nel foglio di sala per sperare di approfondire ciò che avveniva in scena, o peggio, e con più frequenza, siamo stati costretti ad inaridire la nostra voglia di essere spettatori attivi perché l’autocompiacimento degli autori ha allungato a dismisura l’atto performativo, tramutandolo in una gloriosa noia. Altre volte, pur riconoscendo gli stilemi utilizzati, che spesso ci avevano perfino entusiasmato in passato, ci siamo subito accorti che questa volta erano ripetuti senza che i personaggi in scena potessero essere rappresentati come reali e riconoscibili.
Eppure altri spunti ci sono parsi buoni per cercare di entrare di petto e coraggiosamente nelle ferite del mondo; talvolta questo coraggio non è però bastato per condurre a spasso la nostra immaginazione, dentro quel sangue che vedevamo versato sulla scena.
Allo stesso tempo, Terreni Creativi regala da sempre la preziosa opportunità di seguire il cammino di molti artisti e gruppi attraverso diverse prove, così da mostrare l’evolversi della loro arte: un’occasione di azzardo culturale forse unica nel panorama dei festival in Italia.
Così il vero e proficuo interesse per la scena che ci hanno stimolato i giorni di Albenga è risieduto soprattutto nell’approfondimento meditato del percorso teatrale di alcuni artisti, avvenuto attraverso la presentazione, nell’arco dei giorni della manifestazione, di diverse creazioni che hanno offerto la possibilità di identificare un cammino artistico lungo anni.
E’ quanto accaduto per Teatro dei Borgia, per Giuseppe Cutino e Sabrina Petyx, e per la danzatrice e coreografa Francesca Foscarini, che abbiamo avuto la fortuna e il piacere di seguire sin dai suoi esordi.
Il Teatro dei Borgia, diretto da Gianpiero Borgia, attraverso un percorso già dall’inizio riconoscibile, partito com’era dal suo must del 2016 “Medea per Strada”, in cui la straordinaria Elena Cotugno, a bordo di uno furgone, parafrasando Euripide, diventava una giovane migrante fuggita dal proprio Paese, è proseguito ancora nell’alveo del mito con “Eracle l’invisibile” (anche questo visto ad Albenga), qui con l’ottimo Christian Di Domenico, e infine portando in scena “Filottete Dimenticato” (con Daniele Nuccetelli) sempre con le parole di Fabrizio Sinisi.
I tre spettacoli hanno creato con efficacia un’analogia di forte impatto emotivo legando un personaggio della mitologia classica e un suo corrispettivo contemporaneo, identificato in altrettanti sconfitti, ambientati in contesti diversi ed esemplificativi della loro condizione: un camioncino, un presidio di primo soccorso e una casa di cura per la demenza senile.
L’ultimo spettacolo della compagnia è stato dedicato a Giacomo Matteotti, rapito e ucciso per ordine di Benito Mussolini di cui avevamo già parlato a Cortona in occasione di Kilowatt, e ancora in via di perfezionamento.
Del percorso degli artisti siciliani Giuseppe Cutino e Sabrina Petyx ci ha intrigato soprattutto la riproposizione in chiave musicale, tra parola e suono, del capolavoro di Franco Scaldati “Totò e Vicè”, già messo in scena con estrema maestria da Enzo Vetrano e Stefano Randisi.
Qui Cutino amplia l’esistenza poetica delle due tenerissime anime angeliche, protagoniste dello spettacolo (Rosario Palazzolo, AntonGiulio Pandolfo), immettendola in una raffinata atmosfera musicale, ricreata in scena da Egle Mazzamuto (canto popolare), la stessa Petyx (presenza narrante) e dai due musicisti Maurizio Curcio (polistrumentista e compositore) e Pierpaolo Petta (fisarmonicista e, anche lui, compositore).
Per la danza, assai coinvolgente ci è parsa l’opportunità di seguire il percorso di Francesca Foscarini, caratterizzato dalla presentazione di quattro pezzi molto diversi fra loro, che dimostrano l’estrema varietà di accenti dell’artista bolognese: dal duo realizzato con l’altrettanto pregevole performer Andrea Costanzo Martini “Vocazione all’asimmetria”, su musiche originali di Andrea Cera, sul rapporto con il doppio, all’omaggio a Pier Paolo Pasolini “Ragazzo di vita” con in scena Giovanfrancesco Giannini, fino all’assolo “Grandmother” su idea e regia di Sara Wiktorowicz, per arrivare al suo progetto forse più ambizioso, “Punk. Kill Me Please”, ideato sempre con Cosimo Lopalco e in cui Foscarini è in scena con Beatrice D’Amelio.
“Punk. Kill me please”, attraverso il movimento e la composizione di una serie di quadri, pone in scena i riverberi emotivi, estetici e concettuali del fenomeno culturale del punk rock.
In sintonia con questi percorsi ci è sembrato azzeccatissimo e in linea con lo spirito del festival l’incontro proposto tra il coreografo francese Jérome Bel e la danzatrice italiana Laura Pante.
La performance nasce dal loro dialogo a distanza, avvenuto durante i lockdown. Laura Pante racconta al pubblico il suo percorso di artista, performer e ricercatrice, e mentre lo illustra, sul palco tutti i momenti importanti della sua formazione e della sua arte vengono esplicitati con brevi dimostrazioni di esercizi, movimenti ed estratti di performance.
Così la vita si intreccia con l’arte, mentre ci viene offerta la visione di uno spaccato della danza contemporanea degli ultimi anni, dagli incontri – fra gli altri – con Abbondanza/Bertoni, Cristina Kristal Rizzo, Romeo Castellucci e Xavier Le Roy, sino al progetto con lo stesso Bel.
Tirando le somme, Kronoteatro (di cui abbiamo rivisto con estremo piacere l’ultima creazione “La fabbrica degli stronzi”, composta in collaborazione con i Maniaci d’Amore) ci ha regalato – in barba al Fus ministeriale, da cui è stato ancora una volta colpevolmente e inspiegabilmente dimenticato – una illuminante edizione, non a caso denominata “Tribù”, che sotto le stelle della Liguria ha raccolto, tra spettacoli, presentazioni di libri, laboratori e cene condivise, centinaia di spettatori insieme a nuove generazioni di artisti, lavorando con costanza e abnegazione in cerca dell’arte, come osservatori che tentano di capire, attraverso il teatro, come va il mondo. E proprio per questo il festival, a fine luglio, ha vinto il Premio Hystrio Altre Muse, assegnato da una giuria composta dalla direttrice Claudia Cannella e da una quarantina di giornalisti e critici collaboratori della rivista; il premio sarà consegnato a Kronoteatro il 19 settembre, nella serata finale dell’Hystrio Festival.