Dopo pochi minuti dall’inizio vengo colto da una sensazione che mi accompagna per tutta la durata del lavoro, senza più abbandonarmi. Come un cortocircuito tra il testo e la recitazione, troppo enfatica, quasi impostata, con parole scandite accompagnate da una mimica ben definita e esibita, che sembra porre in secondo piano un testo, potente e provocatorio, secco e tagliente come una lama di coltello, esaltando invece la partitura dei gesti, che dovrebbe essere complementare invece che preponderante.
Testo di non facile approccio, “Il Presidente” di Thomas Bernhard, rappresentato per la prima volta a Vienna nel maggio del ’75, prende di mira la situazione politica austriaca dell’epoca nei confronti della quale l’autore nutre un profondo disprezzo, tanto che, alla sua morte, nel 1989, lascerà nelle disposizioni testamentarie il divieto che le sue opere vengano rappresentato all’interno dei confini nazionali.
È un testo nel quale l’arte dell’esagerazione, nota dominante dell’opera dello scrittore, è più che mai tangibile. Ma negli scritti di Bernhard la tendenza all’esagerazione si confronta sempre con la realtà, ed è in questo gioco continuo, in una prosa al contempo diretta e artificiosa, che si può riconoscere l’intero nucleo della sua poetica.
Il pretesto per parlare di politica e potere, ma anche di teatro e arte, scaturisce ne “Il Presidente” da un attentato a cui scampa il protagonista, leggermente ferito alla fronte, e nel quale perdono la vita un colonnello e il piccolo cane della moglie, stroncato da un infarto. Gli anarchici hanno colpito ancora e minacciano di distruggere e minare lo Stato alle sue radici.
Sono “dialoghi apparenti” in cui è soprattutto un personaggio a parlare, a fare da padrone, sfogando tutti i suoi rancori ed esponendo teorie estreme e crudeli, all’apparenza irreali, lontane dal buon senso, ma che finiscono sempre per avvicinarsi al massimo grado a una sorta di lucida analisi del mondo, un mondo fatto di “ambizione, odio, nient’altro”.
Ci troviamo di fronte a due protagonisti dai tratti ben distinti, il presidente e la moglie, che danno libero sfogo alle proprie allucinate riflessioni, così esagerate da sfiorare talvolta la comicità, da provocare un riso stupito e stupido, ma che ben giungono a enucleare la tragicità di una situazione, quella politica austriaca degli anni ’70, che Bernhard ha sempre visto con feroce e schietto disprezzo. Sono tuttavia due figure ben distinte, appunto: la moglie è caratterizzata da un pensiero “dissociato” e il Presidente è un uomo che fa della decisionalità il suo tratto distintivo.
La compagnia Archivio Zeta, attraverso le scelte registiche e di recitazione, sembra invece uniformare i due personaggi, forse attribuendo al famoso “culto dell’esagerazione” di cui sopra l’unica la chiave di lettura di un testo forse più composito e frastagliato, che trova nelle parole in scena e nella forza di alcune digressioni su arte e politica aperture verso un’analisi del reale stratificato e centrifugo.
Anche il quinto e ultimo atto, in cui tutto si spinge in direzione comica e parodistica, con toni quasi da “sceneggiata napoletana”, si allontana dalle intenzioni dell’autore, aggiungendo qualcosa di eccessivo, magari per alleggerire il lungo lavoro, ma finendo per creare un’atmosfera lontana dal testo, dove è prevista una sfilata davanti al catafalco che accoglie la salma del presidente.
Un’ultima osservazione. Nel foglio di sala, parlando dello spettacolo, si cita il pittore Lucas Cranach il Vecchio, affermando che si vuole riprodurre in scena, così come nei lavori dell’artista, “il volto deforme che sempre in contropelo, dopo attenta osservazione, appare”. Attenzione, però, a non scambiarlo per un artista del periodo barocco.
IL PRESIDENTE
di Thomas Bernhard
traduzione di Eugenio Bernardi
regia: Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti
musica: Patrizio Barontini
con: Enrica Sangiovanni, Bianca Francioni, Gianluca Guidotti, Giovanni Carli
Pproduzione: Archivio Zeta
durata: 1h 35’
applausi del pubblico: 2’ 56’’
Visto a Buti (PI), Teatro F. di Bartolo, il 2 marzo 2011