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Theatertreffen. L’aria buona che si respira a Berlino

Der Prozess|Hier und Jetzt

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Hier und Jetzt
‘Hier und Jetzt’, in scena domani (photo: © Matthias Horn)

I dieci migliori spettacoli in lingua tedesca della stagione passata, scelti da una giuria di critici ed esperti: ecco cos’è il Theatertreffen, la rassegna in corso a Berlino fino al 18 maggio.

E’ una pioggerellina ad accoglierci la sera di martedì, quando da Tegel arriviamo direttamente al Deutsches Theater di Berlino. Il teatro è spettacolare, broccato rosso nel foyer e una struttura che ingloba diversi ambienti, dalla sala lounge alla libreria-biblioteca.
Va in scena “Il Gabbiano”, per la regia di Jürgen Gosch, fra i registi più noti della Germania, presente in questo festival anche con “Hier und Jetzt”, in programma domani, 9 maggio.
Il suo Checov, prodotto dal Volksbühne Berlin am Rosa-Luxemburg-Platz, non ha praticamente scene. I protagonisti occupano uno stretto spazio della ribalta, mentre sullo sfondo un tabellone grigio nero neutralizza il sentimento ambientale. Gli attori sono vestiti in borghese, e siedono tutti in fila, per poi a turno alzarsi e dar vita ai dialoghi. Gli altri assistono, evolvendo in forma dinamicamente statica la psicologia dei loro personaggi, presenti anche quando assenti e forse assenti anche quando presenti.

Il cast è di giovani talentuosissimi, come la fragile Nina affidata ad un’eccellente Kathleen Morgeneyer, il Kostia di Jirka Zett, e il Trigorin di Alexander Khuon, spogliato dalla regia di ogni afflato romantico e dandy, per vestire i panni di un poetastro di città, cafoncello e stupido. Affascinante la Irina di Corinna Harfouch, con la sua spietata e inconcludente acrimonia, l’incostante umoralità, il tentativo di gestire l’ingestibile, tipico dell’età e del profilo umano.
A fine spettacolo incontriamo (a sorpresa) anche gli amici di Emilia Romagna Teatro e di Motus (per Santarcangelo), ospiti di un progetto di scambio culturale. Il Goethe Institut è fra i maggior promotori dell’iniziativa nel suo versante internazionale ed ha invitato istituzioni culturali straniere per gemellaggi e interscambi.

Affascina e divide il festival “Wunschkonzert. Concerto a richiesta” del drammaturgo contemporaneo Franz Xaver Kroetz, presente sia allo spettacolo che alla successiva conferenza stampa, disertata invece dalla regista Katie Mitchell, tornata velocemente a Londra, città che l’ha portata alla ribalta assoluta grazie alle collaborazioni con Royal Court e National Theatre.
La pièce è un atto unico costruito solo sulle azioni, quasi senza parole. Il testo, del 1973, corrisponde praticamente alle didascalie che descrivono con minuziosa ossessività una sera nella vita della signorina Rasch, impiegata tra i quaranta e i cinquant’anni, “ancora ben messa di corpo a parte le gambe che sono abbastanza grosse”. La donna “dà l’impressione di curarsi più della media” per attenuare la sua evidente bruttezza, con un abbigliamento “conservatore e di buona qualità”. Vive la condizione di celibato e “questa lunga involontaria astinenza sessuale”, dopo un unico amore giovanile, la espone alla “pubblicità e al consumismo”.
Nella casetta, dove la donna tiene in un ordine maniacale le sue cose da niente, avviene il dramma di una vita, che di colpo manifesta tutta la sua assoluta e tediante inutilità. Il ritorno a casa alle 18,30 come ogni giorno, e la solita serie di azioni quotidiane, compiute con scrupolo e assoluta tranquillità: ritirare la posta, posare sul tavolo la spesa, togliersi il cappotto, aprire un po’ la finestra, accendere la televisione e fumare una sigaretta, per poi lavare le stoviglie e preparare la cena.
La Mitchell decide fondamentalmente due cose: di ricavare dalla drammaturgia un film di un’ora e un quarto, e di realizzarlo in diretta davanti al pubblico, con tanto di rumoristi, quartetto d’archi dal vivo, controfigure per le riprese in campo strettissimo e zoom. Mentre un mega schermo proietta il film girato sul palcoscenico, in scena ci sono il set della casa della protagonista e altri due/tre micro set con telecamere, occupati da altri attori che animano le riprese in dettaglio, riproducendo i gesti che Therese Dürrenberg, la straordinaria interprete femminile, compie sul set principale.
Troppo sfoggio di tecnologia, dirà qualcuno all’uscita; inutile ridondanza di elementi laddove la storia e il prodotto filmico sono già di per sé perfetti e quindi sufficienti.
La Mitchell è da tempo impegnata in studi sulle interazioni fra video art e teatro, e con questo lavoro compie uno sforzo di grande fascinazione e impatto. Il prodotto assomiglia in linea artistica ai lavori che da anni svolge Live Arts, il collettivo americano creato nel 1989, fra gli altri, da Thane e Will Kerner, Fran Sackett, Mark e Karen Schuyler.
Lo spettacolo, prodotto dal Shauspiel di Colonia, si può guardare in vario modo: solo dal punto di vista del film, o seguendo i cameraman con i loro trucchi di luci, o ancora i rumoristi che fanno suonare i bicchieri accarezzandoli nelle immagini di flashback. Descrivere la complessità del tutto e la perizia tecnica è pressoché impossibile, e forse inutile. Di simile in Italia, in piccolissimo, il recente ‘blu screen’ usato da Barberio Corsetti in “Tra la terra e il cielo”, ma con esiti assai più modesti.

‘Der Prozess’ (photo: © Arno Declair)

La presenza italiana al festival? Oltre agli ospiti già menzionati e a Paravidino con “Peanuts” nella sezione di teatro ragazzi che si terrà a fine mese, nelle masterclass collaterali riservate a giovani drammaturghi e talenti emergenti non c’è praticamente nessuno. Le uniche eccezioni sono per la poliedrica Agnese Cornelio, ormai da tempo via dall’Italia e impegnata in diverse produzioni in Europa, e Davide Carnevali, collaboratore di Ubulibri per le recenti pubblicazioni sui drammaturghi spagnoli e catalani, giovane studioso e drammaturgo, anche lui costretto all’emigrazione, come ci dichiara in un’intervista che Klp proporrà più avanti, insieme al resoconto video del festival.
Seduti nel giardino del teatro sede del festival, mentre alcuni preparano il falò per la sera e attorno scorazzano liberi e ignari leprotti, parliamo di come il clima che si respira fra Barcellona e Berlino sia tutt’altra cosa; della straordinaria qualità del lavoro e della vita artistica e professionale a confronto con quella dell’Italietta, interprete – suo malgrado – non del teatro povero ma del “povero teatro!”. Alla domanda sul perché in Italia ce la si tira tanto per pochissimo, perché anche attorini o giornalisti di piccolo cabotaggio assumano atteggiamenti di portata messianica, Carnevali è lapidario: “Forse c’è così poco, che chi quel poco fa, deve autopromuoversi a livelli esagerati. Qui invece tutto è diverso, se vali vieni considerato”.

E’ quello che pare anche a me dando un semplice sguardo attorno: la qualità, la perfezione del lavoro. Sarà per il denaro che qui arriva più copioso, sarà per una serietà nell’approccio a cui in Italia non siamo comunque abituati. Insomma, Berlino è un altro continente, almeno Hier und Jetzt, qui e ora. Mi preparo per “Der Prozess”, nella lettura del regista Andreas Kriegenburg. Le foto dello spettacolo sembrano richiamare “La classe morta” di Kantor. Vi sapremo dire.
E mentre qualche nuvola addensa il cielo sopra Berlino e il suo spirito di metropoli aperta, da un palazzo all’ombra della torre di Alexanderplatz ci rituffiamo nell’evento.

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