Uno scandalo della democrazia. L’acciaieria Thyssenkrupp di Torino è ormai per tutti la fabbrica della morte. Qui, la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, morirono bruciati sette operai: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi.
La Thyssenkrupp, nel dicembre del 2007, si preparava alla chiusura definitiva, prevista per il settembre del 2008. Molti lavoratori erano già andati via. Dei 180 rimasti, il 90% aveva meno di trent’anni. Per questo era chiamata “la fabbrica dei giovani”.
I lavoratori più esperti erano riusciti a ricollocarsi. Alcuni di essi erano manutentori. Forse anche a causa dell’assenza di manutentori, ma soprattutto per l’incuria di proprietari e dirigenti, quella notte scoppiò un incendio, e sette persone si trasformarono in torce.
Un mese dopo la tragedia, il direttore di “Repubblica” Ezio Mauro rivestì i panni del cronista e tornò nella sua Torino, la città dove aveva mosso i primi passi da giornalista, alla “Gazzetta del Popolo” (in seguito sarebbe diventato direttore della “Stampa”) narrando gli Anni di Piombo. Anche Mauro aveva rischiato la pelle, quando le Brigate Rosse gli piazzarono Patrizio Peci alle calcagna, per fargli pagare le sue inchieste.
Uno dei tratti del buon giornalista è l’umanità: prendere per mano il lettore, guidarlo nel cuore della notizia. Commuovere senza toni reboanti, senza aggettivi né avverbi. «Se a Torino chiedi degli operai della Thyssen, ti indicano il cimitero».
Alla Thyssenkrupp Ezio Mauro ha dedicato un reading teatrale che nasce dalle sue inchieste. “Thyssen. Opera sonora”, dopo essere stato presentato alla Camera dei Deputati, e dopo una tappa all’Arena del Sole di Bologna, ha raggiunto anche il Teatro Leonardo di Milano.
Definirlo uno spettacolo sarebbe riduttivo. Ezio Mauro, giacca e cravatta, in scena rimane quello che è: un giornalista. Di fronte a una tragedia che ancora brucia il cuore di Torino, di fronte all’affarismo assassino e al vuoto delle coscienze, Mauro resta nei suoi abiti.
«Ci sono i biglietti dei bambini appesi con lo scotch, come quello di Noemi per Angelo, ci sono le sciarpe della Juve, mazzi di fiori piccoli col nailon appannato dall’umidità, un angelo azzurro disegnato da Sara per Roberto, quattro figure colorate di rosso da un bambino per Giuseppe, tre Gesù dorati, due lumini per terra. Attorno alle cinque tombe, una striscia azzurra tracciata dal Comune le separa dagli altri loculi. È un’idea del sindaco Sergio Chiamparino e del suo vice Tom Dealessandri, una sera che ragionavano sulla tragedia della Thyssen. Se tra un anno, cinque, dieci, qualcuno vorrà ricordarla, parlarne, partire da quei morti per discutere sulla sicurezza nel lavoro, ci vuole un posto, e non ci sarà neppure più la fabbrica, non ci sarà più niente: mettiamoli insieme, quelli che non hanno una tomba di famiglia; hanno lavorato insieme e sono morti insieme. Quelle fotografie di ragazzi sono le uniche tra i loculi, le altre sono di vecchi e dove non c’è la foto c’è la data: 1923, 1925, 1935, 1919, anche 1912. Intorno, un telone nasconde lo scavo di una gru nel campo del cimitero, si sente solo il rumore in mezzo ai fiori, ma c’è lavoro in corso. Siamo a Torino, dice un guardiano, è la solita questione: lavoro, magari invisibile, ma lavoro».
Sul piano artistico il valore aggiunto dello spettacolo è dato dalla partecipazione in voce di Umberto Orsini e Alba Rohrwacher. Ne sentiamo le voci fuori campo nitide, flussi di un dolore sopito e stentoreo. Riproducono testimonianze di mogli e colleghi. A raccogliere sogni svaniti, senza troppa rabbia né risentimento. Perché di fronte a un amore reciso, resta soprattutto l’amarezza.
Non è facile mettere in scena un fatto di cronaca. E “Thyssen. Opera sonora” è un’avventura teatrale che racconta la Torino operaia e lo scacco delle nostre istituzioni. Una fabbrica in dismissione diventa metafora della crisi di un intero Paese.
Perdere il proprio ruolo sociale in una (ex) città-fabbrica come Torino significa diventare invisibili. Senza libertà materiale non c’è libertà sociale o politica.
La consistenza eterea di questa liturgia del dolore è data dal concept audio elettronico di Alberto Fiori e Pietro Babina, quest’ultimo anche regista.
Babina crea con Fiori, musicista dal vivo, sonorità elettroniche sotterranee, aloni immaginifici che azzerano la scenografia e fanno nascere immagini all’interno dello spettatore. Amplificati o distillati, i suoni creano una sinfonia aliena. È uno straniante rimbalzo di stati emotivi. Paradossi dell’arte, che trasfigura l’inferno in spazio per l’interiorità. Il tempo languisce, tra metallo liquefatto e lamine tuonanti.
Le voci di Orsini e Rohrwacher, sganciate dalla presenza fisica, sembrano raffinare l’opera, senza affastellare immagini orride, evitando derive teatralizzanti che risulterebbero grossolane. Nel segno della sottrazione, nasce un film dell’immaginario che agisce sull’inconscio dello spettatore.
Un diaframma sonoro unisce i suoni della città e le note della musica. È il preludio allo smarrimento che caratterizza la nostra epoca. Dove i diritti che sembravano acquisiti una volte per tutte si perdono, e i parametri della quotidianità non funzionano più.
THYSSEN. OPERA SONORA
di e con Ezio Mauro
regia di Pietro Babina
concept audio di Alberto Fiori & Pietro Babina
esecuzione live di Alberto Fiori
con la partecipazione vocale di Umberto Orsini e Alba Rohrwacher
produzione Elastica
durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 2’ 25”
Visto a Milano, Teatro Leonardo, il 18 dicembre 2017