Time for talk is over. La piccola città di Garten: Giorgia Maretta e Andrea Cavallari

Time for talk is over
Time for talk is over
Time for talk is over (photo: Lucia Puricelli)

In scena una superficie ricoperta di pellicola trasparente. Due strutture cubiche molto leggere poggiano in bilico su due ruote. Una cittadina con laghetto e casette è riprodotta come una machette (un plastico).
Intervengono due performers: accartocciano il verde in fogli, danno un colpetto alle ruote che se ne vanno via. I cubi precipitano a poggiare sulle fondamenta e la piccola città del duo Giorgia Maretta/Andrea Cavallari, in arte Garten, prende vita.

Come in una versione più sofisticata del tradizionale Monopoli, il primo cubo diventa un hotel a 5 stelle (il performer, semplicemente, lo disegna sulla superficie con un pennarello).
Prima tappa dello sviluppo della piccola città: il paesino diventa una meta turistica. Poi i performer prendono le misure della superficie con i metri, li fissano e li tramutano in una piccola sopraelevata, da cui rotolano, con ritmo incalzante, palline/automobili (e qualcuna precipita anche).
Seconda tappa: le palline/macchine sono il chiaro segno dell’urbanizzazione.
Terza tappa: la costruzione delle periferie industriali e lo sviluppo dell’edilizia popolare, con l’inserimento nella maquette di contenitori in domopak, capovolti. Tre bottiglie piene di liquido rosso vengono collegate ad un sistema di microcannule che attraversa tutta la città modello e i suoi palazzi (che, intanto, si sono moltiplicati).
Quarta tappa: la città comincia ad ammalarsi ed ha bisogno di una trasfusione fognaria.
Quinta tappa: si alza il vento provocato da piccoli ventilatori ai lati della maquette, perché non è solo l’uomo che distrugge il suo habitat, ma ci sono anche le catastrofi naturali.
Sesta tappa: e non ci sono solo le castastrofi naturali, ricordiamoci anche di Godzilla (un performer con felpa verde e maschera, effetto tra i più credibili che abbia visto negli ultimi anni, così assuefatta ai colossal holliwoodiani).
Dalla settima tappa in poi ecco il declino dell’impero occidentale: il liquido rosso che alimenta la città viene sostituito con una poltiglia nera, una nebbia densa e appiccicaticcia si insinua tra gli edifici già acciaccati dalle suddette catastrofi naturali ed aliene; il verde accartocciato passa ai piani alti (qualcuno lo chiama “verde pensile” o “tetto verde” e pare che funzioni parecchio a livello di risparmio energetico). Il nostro hotel a 5 stelle viene surclassato a motel e su tutto cala, inesorabile, il cartello “The end”.

La giovane compagnia milanese Garten continua la ricerca sulla città e le sue mutazioni cicliche, iniziata con lo spettacolo “I will survive”, progetto Ares 2009, presentato all’interno della scorsa edizione di Danae Festival.
La performance “Time for talk is over” vuole raccontare lo sviluppo ed il declino degli spazi abitati nell’era della globalizzazione, con gesti lenti e precisi, sguardo semplice e linguaggio quasi infantile. E, in parte, ci riesce.
Un consiglio? “Non cercare di trovare rapidamente una definizione di città, non è cosa da poco e ci sono molte probabilità di sbagliarsi” scrive lo scrittore francese Georges Perec (Especés d’espace, Galilée, 1974). Ma, soprattutto, “per costruire la città ideale ci vogliono più Godzillas” (Carlo Scolari, www.disegnomancino.it).

Time for talk is over
di Giorgia Maretta e Andrea Cavallari
con la collaborazione e la partecipazione di Andrea Rimoldi e Corrado Tagliabue
disegno sonoro e live electronics: Paolo Calzavara – pax~
disegno luci: Fabio Bozzetta
produzione: Garten
coproduzione: Danae Festival
residenza creativa PIM Spazio Scenico – Milano
durata: 40′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Milano, Teatro I, il 10 aprile 2010
Danae Festival

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