Da 25 anni, ad Anghiari, va in scena in estate Tovaglia a Quadri, una “cena toscana con una storia da raccontare in quattro portate”.
Questa edizione, per la prima volta, non si è tenuta nel cuore della città ma al Castello di Sorci. Come per altre manifestazioni, l’emergenza della pandemia ha forzato una riorganizzazione pratica degli eventi in presenza. Sopratutto le arti performative hanno dovuto rivedere, e ancora questa riflessione non è finita, la modalità di proposizione da parte degli artisti e di fruizione da parte del pubblico dello spettacolo dal vivo, e sul senso ultimo di quello che il teatro e tutte le arti performative sono o dovrebbero essere.
Il Castello di Sorci è di per sé una scenografia, un palco, e diventa già narrazione raggiungerlo per la strada sterrata tra i campi. Simbolicamente ci arrocchiamo lentamente in questo spazio scenico per una condivisione totale della serata. Ci accomodiamo al nostro posto, in una delle tavolate, spettatori che non guardano verso il palco ma che cominciano a guardare loro stessi, realizzando il concetto di creare con il teatro una comunità. Una comunità che comincia anche a tavola, con il passarsi il pane o il vino, con il presentarsi o augurarsi buon appetito: il tempo che passa dall’essere estranei a complici spettatori è breve, i convenevoli diventano subito confidenza e le chiacchiere diventano racconti.
Anche la tavolata è un “qui e ora”, senza poltroncine rosse, ma con una tovaglia a quadri.
Non si tratta di “panem et circenses”, ma del senso ultimo dei bisogni dell’uomo: pane e arte.
Mi ricorda molto la filosofia di Peter Schumann, fondatore dei The Bread and Puppet Theater, ovviamente con tutti i distinguo, meno Agit-Prop, ma più toscanaccia, familiare, che riesce a dare vita ad una serata intensa e ad uno spettacolo divertente e sarcastico.
La cultura culinaria dei piatti della tradizione e la cultura teatrale. Due tradizioni che si intrecciano e si rinnovano annualmente, creando un evento unico dove il teatro colma lo spazio della cena, e la cena scandisce il tempo dello spettacolo.
Le scene si alternano tra una portata e l’altra, fra un tavolo e l’altro, voci che cominciano a raccontare una storia, che si fanno cercare alle finestre, dietro una porta, qualche tavolo più in là.
Tutti ci giriamo, qualcuno indica dov’è l’attore, tutto si mescola, tutto è spettacolo, anche le parole a cena riguardano l’arte, il teatro, le edizioni passate, altri racconti; sottovoce perchè c’è sempre quella reverenza che un attore possa riprendere lo spettacolo da un momento all’altro. L’atmosfera è gioviale ma rispettosa.
Quest’anno è andato in scena “Filocrazia”, con la drammaturgia originale di Paolo Pennacchini e di Andrea Merendelli, interpretato dagli abitanti della Valtiberina e da attori professionisti. E’ andato in scena in mezzo a decine di persone che arrivavano da tanti luoghi diversi, che ogni sera facevano registrare il tutto esaurito, perchè alla fine si torna a casa con la pancia piena di risate, ricordando le leccornie delle battute più divertenti.
Un menù sicuramente da replicare.