Tra Campsirago e dintorni, il primo weekend delle Esperidi nel segno di cibo e infanzia

3 Pigs (ph: Alvise Crovato)
3 Pigs (ph: Alvise Crovato)

“Cucine(s)” di Floriane Facchini ha inaugurato il festival diretto da Michele Losi. Che ha deliziato gli spettatori in erba con il teatro di figura di Anna Fascendini

Non era scontata la partenza della XIX edizione del festival lecchese Il Giardino delle Esperidi, appuntamento fisso d’inizio estate per gli appassionati di teatro e performance nella natura.
Nel 2022 la vittoria del bando Pnrr di 1,6 milioni per la riqualificazione dei borghi aveva portato a Campsirago un’ondata di entusiasmo. Un anno dopo, il direttore artistico Michele Losi e la sua compagnia aspettano che le polveri bagnate si asciughino. I ritardi nei finanziamenti da parte delle istituzioni avevano messo in forse l’edizione 2023. Cose che capitano quando si parla di spettacolo dal vivo in Italia, Paese dove uno dei proverbi più citati è «si stava meglio quando si stava peggio».
Lo staff ha attinto a risorse personali per finanziare il festival. Per dare continuità a un rapporto consolidato con il territorio. Cercando di armonizzare economia e qualità.

Nel primo weekend la risposta del pubblico è stata tiepida, complici le belle giornate e la fine dell’emergenza sanitaria, che hanno dirottato l’attenzione anche verso altri lidi ed eventi.
L’atmosfera festosa la percepiamo in ogni caso all’avvio del festival, la sera di venerdì 23 giugno. La piazza principale di Valgreghentino è tutta una tavolata.
Floriane Facchini, la padrona di casa, ci propone il suo “Cucine(s)”: una sorta di cena di comunità per 200 avventori. Ogni convitato porta sei porzioni di cibo. Il cibo diventa momento conviviale. Compagnia e letizia, come in “Vino e pane”, romanzo di Ignazio Silone.
Sulla tavola imbandita regna la sobrietà. Di vino se ne vede poco. In compenso, su ogni tavolo ci sono due pani, connubio d’allegria e condivisione. C’è il senso della socialità. Ci si conosce grazie al cibo condiviso, che diventa pretesto per una drammaturgia di incontri e racconti. La frazione del pane si tinge di connotazioni simboliche. Le pietanze sono fonte d’aggregazione, fra tradizioni agricole e arte. A fare capolino durante la cena, c’è il canto e il suono dei Picett del Grenta, con flauti di Pan di tutte le dimensioni. Picett, vale a dire pettirossi; e Grenta, come il fiume che scorre nelle vicinanze. I Picett sono un ensemble di una ventina di elementi di tutte le età, che sciorina un repertorio tra folclore lecchese e canzone napoletana. Una delizia per le orecchie, con strumenti a fiato ricavati dalle canne lacustri: l’arte a chilometro zero.

La musica anima i luoghi e permea Azioni Fuori Posto a Olginate, con la prima regionale di “Percorsi incrociati”, performance itinerante di corpi e suoni. “Percorsi incrociati” è un mix di danza e musica, in armonia con il lago e il fiume Adda, mentre il sole cala sulle Prealpi. Nelle acque nuota una fauna placida di germani, aironi, anatre e cigni. Siamo tra pioppi, salici, querce e betulle. È una danza semplice, che intercetta i rari passanti divertiti, e seduce più con il suono che con il movimento. Strumenti come tamburi, bongo, archetti di violino. E poi campane tubolari, xilofono, tubi Wah-Wah. Incontri, improvvisazione. Una performance destrutturata. Schizzi performativi, che nascono dalle suggestioni dell’incisore Tullio Pericoli, lasciando spazio alla bellezza del panorama.

Approccio sonoro anche in “Miloemaya” di Scarlattine Teatro/Campsirago Residenza. Una palestra a Ello, nella scuola elementare. Una tavolata rasoterra, davanti a cui si accovacciano bimbe e bimbi da zero a cinque anni.
Quali suoni si possono ricavare con semplici stoviglie, bicchieri e piatti, con coltelli (che non tagliano) cucchiai e cucchiaini? Una semplice tavola può trasformarsi un un’architettura di botole da cui fuoriescono mille sorprese. Un canto buffo, denso di filastrocche, gorgheggi e complicità, esce dalla bocca delle due performer Barbara Mattavelli e Sara Milani.
Con la regia di Anna Fascendini, “Miloemaya” è un gioco di piccole cose che trasforma il palco in cucina e la cucina in automobile. Lo spettacolo è un rito di chicchi di riso (da far saltare però in aria), sorrisi e risate. È una performance multisensoriale che libera la fantasia di bimbi piccolissimi, che si cimentano in libertà con i materiali scenici.

Miloemaya (ph: Alvise Crovato)
Miloemaya (ph: Alvise Crovato)

Stessa regia e stesse attrici per “3 PIGS”, con in più Benedetta Brambilla e la drammaturgia figurativa di Sofia Bolognini. Spettacolo nel verde antistante Villa Sirtori, a Olginate. Borse, valigie. Giochi fatti di niente e con niente: dei rami, della paglia, e una casetta disegnata nel vuoto. Zero parole o quasi, per un teatro di figura che lascia spazio a un buffissimo grammelot di suoni, guaiti e grugniti.
Ma qui la drammaturgia è nei gesti naif che ricordano i giochi di una volta in campagna, quando ci si impiastricciava la faccia di terra, e per accendere la fantasia bastava l’immaginazione.
In “3 PIGS” la fantasia disegna orizzonti utopici. Si carica di idealismo. Tocca temi come l’ambiente e la solidarietà. Allora si può riscrivere la favola dei “Tre porcellini” e ribaltarla. Ecco comparire delle rudimentali marionette, le zampe e il muso di un maiale. Ecco che la testa di un lupo diventa l’alieno; ma è soltanto uno straniero, e la paura si fa curiosità, e la curiosità diventa accoglienza.
Il valore aggiunto di questo teatro semplice è nella musica di Luca Maria Baldini, che proietta sul lavoro l’immaginario di una campagna assolata, la canicola su distese di grano. Baldini riproduce il sapore del rito. Ricostruisce, con la regia di Anna Fascendini, un piccolo mondo remoto. E riesce persino a rendere affascinante, riarrangiandolo, l’ormai trito e abusato valzer n. 2 di Šostakóvič.

La natura del bosco intorno a Ello, a La Fura, è anche il contesto per la performance site specific “La Capra”, della compagnia Bocchi/Scarrocchia.
Agnese Bocchi, ideatrice, danzatrice e regista, affronta il tema della pena di morte insieme a Tobia Scarrocchia. La suggestione parte dall’omonima poesia di Umberto Saba, versi di un dolore umile e universale, e prova a rielaborare il simbolo del capro espiatorio. I costumi di Mavranyma disegnano un mondo subliminale in cui umano e ferino si confondono. I performer svelano dietro di sé una coda di cavallo, e vorrebbero denunciare il destino di violenza che accompagna gli uomini, sempre pronti a rimuovere la propria cattiva coscienza proiettandola su chi sta peggio di loro. Con il paradosso di proclamare la propria innocenza nell’atto di commettere un delitto pubblico, perpetrato come rituale collettivo.
Ma questa “Capra” stranisce senza impietosire. È un lavoro velleitario, con segni seminati confusamente nello spazio scenico. È una drammaturgia impalpabile. L’assenza di un’architettura solida inibisce nel pubblico il tentativo di discernere. La danza è rudimentale. L’ambientazione rurale non è assolutoria. Non si può ridurre il gesto scenico a una questione di lana caprina.
E allora, distogliendo per un attimo lo sguardo, riconosciamo la poesia in uno scoiattolo saltellante su un ramo in alto, davanti a un tramonto assopito.

Chiusura per “Aldo morto” di Frosini/Timpano a Villa Sirtori (Olginate).
Che Daniele Timpano sia un perfetto animale da palcoscenico è assodato, e anche in questo lavoro di dieci anni fa ne abbiamo un saggio. Si affronta il personaggio di Aldo Moro, cui tv, cinema e teatro continuano a tributare una pletora di omaggi. Il merito di questo lavoro è di scompaginare ogni coordinata, di scuotere ogni ragionevole certezza. Il rischio è di esagerare: tanta carne al fuoco per dire tutto e il contrario di tutto. Finendo per empatizzare sia con la vittima, sia con i carnefici.
Timpano incarna il presupposto del teatro che preferiamo: semina dubbi nello spettatore, ripulendolo da ogni certezza ipocrita e perbenista. Nondimeno, reputiamo indispensabile un minimo di calibratura (che non è orientamento) prima di approcciare figure complesse come Aldo Moro. Per accostare gli Anni di Piombo. Ed evitare che la notte della Repubblica diventi la notte in cui tutte le vacche sono nere. Per scongiurare il paradosso (in fondo un po’ ruffiano) dello spettatore inerme davanti a un materiale drammaturgico a sua volta pletorico, ambivalente, contraddittorio: una cabina armadio con abiti da uomo e da donna di tutte le taglie, sportivi ed eleganti, kitsch o sopraffini, dove ognuno possa trovare il proprio vestito su misura. E quindi, dopo aver demolito ogni luogo comune, ritornare esattamente alle certezze che si possedevano prima di vedere lo spettacolo.

Ricchissimo il cartellone di oggi, sabato, e di domenica, con gli spettacoli che si ripetono (“Tutto passa tutto resta” di Gabriella Salvaterra e “Sun Followers” di Campsirago Residenza). Di rilievo “Humana Foresta” (Campsirago Residenza) e “Signora Rossetta” (Is Mascareddas). Happy end a Campsirago sabato con Dammacco/Balivo (“Spezzato è il cuore della bellezza”, ore 21.30) e domenica con il concerto di Camilla Barbarito.

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