Si riapre con la quarta edizione del festival FOG la programmazione, a Milano, del Teatro della Triennale. FOG coinvolgerà 33 artisti da 7 Paesi (Stati Uniti, Olanda, Spagna, Belgio, Francia, Svizzera, Italia) per un cartellone di 24 appuntamenti, tra cui 11 produzioni e coproduzioni targate FOG, tre prime assolute, cinque prime nazionali, tre concerti e sei dj set, per un totale di 61 repliche.
I nomi sono assai allettanti: dalla pluripremiata compagnia belga Ontroerend Goed, che apre stasera e di cui leggerete presto su Klp, a Pascal Rambert dal 14 al 16 maggio con “Sorelle”; da Deflorian/Tagliarini a Marleen Scholten e Trickster-p e, dal 9 all’11 giugno, Romeo Castellucci con “Il Terzo Reich”. Ma ci sarà anche molta danza contemporanea, con la Batsheva Dance Company, Annamaria Ajmone, Trajal Harrell, Igor x Moreno, Barokthegreat, Alessandro Sciarroni, Marco D’Agostin…
In occasione di questa importante ripartenza abbiamo intervistato Umberto Angelini, da gennaio 2017 direttore artistico del teatro, diventato – attraverso una programmazione innovativa, sperimentale e di alto livello – uno degli avamposti in Italia del teatro contemporaneo più interessante, votato alla ricerca multidisciplinare e al collegamento con gli artisti internazionali più intriganti.
Conosciamo la tua curiosità e il tuo modo di concepire il teatro sin dalla fine degli anni ‘90, dai tempi delle esperienze milanesi di Uovo performing arts e del CRT. Ma se tu dovessi raccontare, a chi non ti conosce, quali sono le caratteristiche che più rappresentano il tuo modo di pensarlo, quali sottolineeresti?
Mi interessa il teatro che non si cura dei confini disciplinari e cerca la radicalità dello sguardo.
A partire da quest’anno, e fino alla fine del 2024, Romeo Castellucci sarà il Grand Invité alla Triennale. Perché questa scelta?
Romeo Castellucci è un artista che mi sconvolge per la potenza dell’immagine e per il pensiero sul teatro. Le sue possibilità di intervento sono artisticamente illimitate e non riguarderanno la sola dimensione teatrale.
Nella mente di molti c’è l’idea che il teatro, quello che fuori dalla tradizione sperimenta nuove forme, sia un’espressione di nicchia. Lo vedi come un problema? In che modo potrebbe avvicinarsi di più al sentire comune?
Fin dai tempi di Uovo abbiamo coprodotto e ospitato artisti considerati di nicchia in Italia, ma presenti abitualmente nei maggiori teatri e festival internazionali. Nel mondo, il teatro italiano più amato e programmato è quello poco presente nelle stagioni teatrali italiane. È una questione di prospettiva. Sono scelte di programmazione, e pertanto tutto dipende da chi fa queste scelte.
Tu sei anche Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro Grande di Brescia. Come si adattano le scelte che fai a Milano con quelle – doverosamente diverse – di Brescia?
L’esperienza bresciana è straordinaria, perché mi ha permesso di sperimentare la mia visione di programmatore indipendente all’interno di una istituzione. In questi anni gli spettatori sono quadruplicati. Il pubblico è ben disposto a farsi sorprendere e ad abbracciare una programmazione che non rinuncia al rischio culturale, purché sia al servizio di una comunità e non un puro esercizio stilistico fuori contesto. E questa forse è anche una possibile risposta alla precedente domanda…
Quali sono gli artisti italiani che ti intrigano di più? E quelli stranieri?
È una domanda a cui preferisco non rispondere per non dimenticare qualcuno di importante per me. L’elenco sarebbe comunque numeroso.
Da maggio a luglio hai programmato la quarta edizione del festival FOG. E’ un progetto per la ripartenza?
Sono oltre 60 appuntamenti distribuiti negli spazi esterni e interni di Triennale, con la precisa volontà di riprendere il dialogo con il nostro pubblico senza snaturare la nostra identità. Abbiamo dato priorità agli impegni – sospesi lo scorso anno a causa della pandemia – con gli artisti e con i lavoratori. Non abbiamo spettacoli “sul Covid”, ma lavori che riflettono e mettono in scena le contraddizioni della società contemporanea, rese ancor più urgenti dal tempo sospeso che stiamo vivendo. Si tratta di una edizione importante, perché consolida percorsi artistici e produttivi avviati negli anni precedenti confermando Triennale Milano Teatro come un punto di riferimento in Italia per la scena internazionale.
Nei prossimi progetti hai intenzione di collaborare con altri soggetti?
A me piace molto collaborare con artisti e altri colleghi. Sono curioso del pensiero e delle pratiche curatoriali diverse dalle mie. Sto ragionando con diversi soggetti con cui non ho mai collaborato in precedenza. Ma siamo ancora in fase preliminare.
Hai la fortuna di dirigere un teatro all’interno della Triennale. In che modo il teatro si collega con le altre arti?
È quasi impossibile per me immaginare il teatro separato dalle altre arti. La mia formazione artistica e culturale nasce dalle avanguardie del primo Novecento, e la Triennale è il posto migliore in Italia per immergersi in questa dimensione.
Quali sono le nuove domande che il teatro dovrà proporre allo spettatore dopo la pandemia?
Il teatro ha davanti a sé una sfida epocale nel rapporto la società. Lo sgretolamento della socialità, l’attrattività della tecnologia immersiva, le dinamiche di dominio, il collasso ambientale interrogano il senso profondo dello stare insieme. Il teatro ci aiuterà ad abbracciare lo sconosciuto.