La bellezza controcorrente di questa “Trilogia della villeggiatura” firmata Antonio Latella non è una novità. Era infatti già andata in scena nel 2008 in Germania, terra d’adozione di Latella, con il titolo “Die Trilogie der Sommerfrische”, introducendo il pubblico all’utilizzo della doppia lingua, italiano e tedesco, e alla duplice provenienza degli attori.
Gli spettatori, spaventati dalla durata dello spettacolo (cinque ore inclusi due intervalli) e dalle lunghe parti recitate in tedesco, si accomodano straniti e pronti a fuggire al primo intervallo. Poi avviene la magia, e alla prima nazionale al San Carlo di Napoli il pubblico non stacca gli occhi da palcoscenico ed attori; e perfino l’orecchio meno esterofilo si adatta alle dure sonorità della lingua tedesca.
Tre le parti, come di consueto. Ma questa volta si assiste a tre spettacoli differenti in uno. La prima parte, riscrittura contemporanea della giovane autrice Letizia Russo, è inquietante. Nessuna ambientazione goldoniana: gli spettatori entrano con un palcoscenico a telone aperto, che resterà tale fino alla fine dello spettacolo, mentre gli attori, figurine in controluce su un palco nero illuminato di spalle da luce bianchissima, posano, camminano, osservano incuriositi il pubblico che si affanna ad accomodarsi, al suono di un ronzio che aumenterà fino all’inizio della recitazione. Al centro solo panche di legno: sedili di una metropolitana o di un tram.
Angosciose figure, che ricordano i “Sei personaggi in cerca d’autore” pirandelliani, fuoriescono e rientrano da un’oscurità irreale. Figure irreali che escono dalla mente del regista, dai fogli del copione, per rendersi vivi agli occhi del pubblico, anime in pena del purgatorio dantesco. E, in alto, i lampadari mobili imprigionati in gabbie giganti: il tempo si è fermato e la ragione è stata imprigionata.
La trama conosciuta tratta di intrecci amorosi fra alcuni ragazzi di famiglia borghese, scatenati da un battibecco nato per un vestito. La partenza per la villeggiatura, più volte rimandata, è imminente. Tra intrighi amorosi, incesti e bancarotte, la villeggiatura – che Letizia Russo trasforma ironicamente in una “buffonata” – si farà.
La seconda parte, goldoniana per ambientazioni, vestiti e parti recitate, si svolge durante la villeggiatura: qui si snodano le vicende amorose, si intrecciano i tradimenti e nascono nuove storie d’amore. Finalmente entra in scena la tanto amata cioccolata goldoniana, anche se i servi, veri protagonisti di questo atto, per vendicarsi dei padroni prepareranno tazze di una mistura puzzolente che scopriremo non essere altro che feci.
Su un sottofondo di cicale, Latella si sbizzarrisce non solo linguisticamente, con un’alternanza tra italiano, tedesco e brevi tratti di latino (mettendo spesso in bocca all’attore tedesco Michaeil Weber difficilissimi versi danteschi), ma soffermandosi anche su un’attenta ricerca musicale: dalla taranta pugliese, ballata sul palco con svenimento finale della giovane Sabina, ad un’antica cantata siciliana che rese famosa Rita Botto, “Mi voto e m’arrivotu suspirannu”.
L’atmosfera del terzo atto cambia completamente: il rientro dalla villeggiatura ha sconvolto tutto. Le coppie si sono rimescolate, le persone che non si amano si sposano, e si abbandona chi si ama davvero. Girano le lettere, gli intrighi, su un palcoscenico svuotato, con botole magiche da cui appaiono e scompaiono gli attori e le loro nuove vite, in cui si ritrovano completamente nudi, così come in scena.
A chiudere la pièce, insieme a Leonardo e Costanza, anche il guanto rosso dell’amore, della passione, della follia e del sentimento torbido indossato da alcuni personaggi: da chi, a turno, tesse i fili della vicenda.
Il pubblico resta immobile (con alcune eccezioni) dalle 19 alle 24 grazie ad uno spettacolo visionario che contiene grandi riferimenti alla storia del teatro moderno e contemporaneo. Ma che non manca di sottolineare la perdita d’identità contemporanea a favore di una logica dell’apparire.
Il trionfo di Latella movimenta (“bene o male, purché se ne parli”) il Napoli Teatro Festival Italia 09, capovolgendo le aspettative di alcuni spettacoli, troppo pubblicizzati ed acclamati, felicemente soppiantati da altri “meno attesi”.
LA TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA
di Carlo Goldoni
adattamento: Letizia Russo, Antonio Latella
regia: Antonio Latella
produzione: Schauspiel Koln
riallestimento commissionato da Napoli Teatro Festival Italia
durata: 280′
applausi del pubblico: 3′ 50”
prima nazionale
Visto a Napoli, Teatro San Carlo, il 13 giugno 2009
Napoli Teatro Festival Italia
a Emanuela Ferrauto e a Renzo Francabandera devo le scuse per l’affermazione di mancanza di genitura nella recenzione di “La villeggiatura” e quindi erronea attribuzione: non me ne vogliano, e’ per non completa – da parte mia – padronanza del mezzo elettronico; in tempi di carta-e-penna avrei sbianchettato……..
grazie, g. elio
… veramente l’autore della recensione è citato in alto, sotto il titolo !!!
— la recensione ritengo sia di Francabandera a cui si devono alcuni spunti interessanti ma perche’ non ricordare Rosa Balistreri al momento di “Mi votu e mi rivotu”? (la bibliografia dice: tradizionale, rielaborazione Balistreri-Profazio);
— una chiamata in campo – ancora – per Dante da parte dei personaggi scivolati nelle “male bolge” del pavimento;
— un deja’ vu ne “La tempesta” – sempre latelliana – per il corpo dell’attore portato via sul disco a tipo feretro;
— 5 ore son sembrate (a qualcuno!) tante? provate (e ne e’ valsa la pena!) con le 16 ore del “Progetto Amleto” ( 16 compresi gli intervali…).
e.