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Trittico: Antonio Tarantino nella doppia veste di autore e attore

Cara Medea - A. Tarantino
Cara Medea - A. Tarantino
Antonio Tarantino e Gilda Postiglione in ‘Cara Medea’

“Torino-Bacau-Roma”, “Cara Medea”, “Una casa razzista”. Tre storie, la stessa parola, quella cruda e diretta di Antonio Tarantino.
A 73 anni Tarantino, acclamato e attualissimo autore di testi come quelli raccolti in “Quattro atti profani”, questa volta si mette a nudo fino in fondo calcando (quasi) per la prima volta il palcoscenico.

Presentato dallo stesso clown (Oreste Valente) che ci accoglie nel foyer del teatro, l’autore mostra i suoi libri e introduce i tre atti che compongono “Trittico”. E con la naturalezza di un vecchio amico racconta di essere in scena per restituire al teatro tutto quello che il teatro gli ha dato. Confessa di aver capito cosa significa per un attore la fatica di dare voce alla parola scritta senza essere superficiali, scendendo nelle profondità dell’anima.

La scena è semplice, tre grandi cornici bianche inquadrano volta per volta disegni che accompagnano nelle storie, insieme alla musica di Roy Paci.
Il primo quadro, “Torino-Bacau-Roma”, racconta l’esistenza di due disgraziati ormai ben oltre il margine della società. Lui, un anziano ex-operaio trasferitosi a Roma da Torino, ha imparato a cavarsela con l’elemosina, trucchi ed espedienti che cerca di insegnare anche a lei, giovane donna incinta arrivata da Bacau (Gilda Postiglione).
Le giornate scorrono alla stazione Ostiense o davanti a San Giovanni in Laterano: il vecchio tenta di insegnare il mestiere alla giovane donna con la “spocchia” di un maestro dell’accattonaggio (“bisogna metterci la faccia, essere professionali”; lei ha solo fame, sonno e rabbia: cerca un posto per dormire ma soprattutto qualcuno da avere a fianco. Nulla di romantico nella storia di questi derelitti, nulla se non la povertà che ti azzanna e non da’ tempo e spazio ai sentimenti.

“Cara Medea” è invece lo sfogo rabbioso di una donna sull’orlo dei cinquant’anni che ha passato l’orrore dei campi di prigionia nazista. Questa moderna Medea ha ritrovato il suo Giasone, un vecchio stanco e finito guardiano del silurificio di Pola (un Tarantino muto rivestito di nylon). Per lui sono le parole di odio, per lui e per quel Dio che non ci ha fatto con una marcia indietro per poter ritornare sui nostri passi.
Avrà davvero ucciso i suoi figli? Di certo l’inferno lo ha attraversato tutto.

Per “Una casa razzista” il clown smette le sue vesti classiche per indossarne altre che non fanno più così ridere, semmai sorridere di tristezza. E davanti al pubblico si trasforma nel presentatore cinico e volgare di “Telesogni”, una fantomatica televisione che tanto ricorda il nostro tempo, una televisione spazzatura che sfrutta le quotidiane storie degli uomini per rivoltare la realtà.
Il signor Pino, ospite della puntata, è un anziano solo e disgraziato, abitante di un condominio dove vivono prevalentemente extracomunitari. Nella sua ignoranza, incalzato dal conduttore, racconta un mondo in cui tutti gli altri sono razzisti: razzisti i bambini, razziste le donne, razzista chi tiene altro il volume della televisione e chi blocca l’ascensore costringendolo alla fatica delle scale.
La paura del diverso viene cavalcata ancora una volta. Ma sarà proprio quell’ascensore lo scenario dell’epilogo che finalmente lascerà una porta aperta sulla speranza, sulla pace, sulla possibilità di una nuova convivenza.

Tarantino non è attore, lo si sente, lo si vede, ma la sua parola arriva diretta, non ha filtri.
I suoi testi colpiscono come un pugno nello stomaco, e se si ride è forse per allontanare da noi per un attimo quella povertà che ci viene narrata. Una miseria che è fame e stanchezza, ma soprattutto ignoranza, indifferenza, cinismo.

TRITTICO
di Antonio Tarantino
con: Gilda Postiglione, Antonio Tarantino, Oreste Valente
scene e costumi: Elena Bianchini, Federica Francolini
creazione e postproduzione immagini: Francesca Pagliai
luci: Francesco dell’Elba
musiche: Roy Paci
tecnica: Adriano Todeschini
assistente alla regia: Erik Sogno
regia: Cristina Pezzoli
spettacolo presentato in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi
durata: 1h 10′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Torino, Teatro Astra, il 28 aprile 2011

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