Il sottotitolo di “Tu”, andato in scena per Romaeuropa al teatro Vascello, ha del trans-codice: «circo autobiografico». L’intervista nel foglio di sala cerca di porre disinvoltamente le premesse per questo scavalcamento di campi.
Olivier Meyrou, documentarista di formazione, mette al centro del proprio lavoro l’idea del cambiamento, della nascita e della rinascita, nel senso abituale del termine («a causa di eventi esterni o caratteristiche interne di cui non eravamo pienamente coscienti»), e poi chiarisce: è un tema a cui si interessa sia che si parli di «film, fiction, spettacoli».
Ciò dà la generosa misura di come egli intenda gli strumenti linguistici di qualsiasi medium come eventualmente intercambiabili, per un fine rappresentativo che esiste a prescindere da essi, di natura contenutistica.
Fonte prima del lavoro è dunque il concetto e l’esperienza di nascita in senso propriamente biologico, e di rinascita in quello che potremmo banalizzare come elaborazione di un lutto.
L’interprete, Matias Pilet, già presente a Romaeuropa nel 2014 con “Acrobates”, aveva una gemella la quale, dopo aver condiviso il grembo materno con lui, è morta prima di vedere la luce.
L’ecumenismo (l’approccio utilitaristico?) alle forme è evidente nelle scelte drammaturgiche del lavoro, compiute da Meyrou con Amrita David.
Lo spettacolo è diviso in quadri incorniciati da sistemazioni sceniche l’una differente dall’altra, l’una accostata all’altra come a disporre una lista di momenti da esplorare e licenziare. Situazioni sceniche non sempre eleganti, ma tutte caratterizzate da una spiccata icasticità, e come da un’ansia di esserci fisicamente, di proporre un problema.
O meglio, di costituire un terreno di gioco più o meno impegnativo: ora un enorme foglio di carta oleata (è questo il materiale scelto per tutto il lavoro, «rappresenta la pelle […] e l’universo fetale») un foglio che copre gran parte del palco, sotto al quale Pilet si insinua, e che viene raccolto in un crepitante cartoccio; ora tre larghe strisce-pannelli per proiezioni che calano dall’alto; ora un ammasso di fogli più piccoli che piomba sempre dall’alto, perturbati dall’azione di una batteria di ventilatori a terra.
Altrove, una videoproiezione mette in campo l’identità amerinda del protagonista – con strumenti tipici e milieu sciamanico. È quasi sempre qualcosa che obbliga l’artista a fare i conti con una materialità che ne sfida le possibilità ginniche, in un risultato mosso, impossibile da non vedere.
Anche l’illuminazione di Nicolas Boudier condivide lo stesso carattere di grande evidenza che talvolta, come arrogantemente prendendo di petto la scena, impone di essere constatata.
Classificare il tipo di linguaggio motorio che va in scena in “Tu” rischia di essere ozioso. Il legame con la danza appare evidente, però il tutto rimane ampiamente al di qua di ogni tipo di rapporto, anche contrastivo, con la componente musicale, con l’aspetto ritmico. Non è il tempo a guidare l’azione, ma lo spazio, ed è forse questo l’altro punto nodale, irrisolto del lavoro: l’incompatibilità tra un’espressione corporea che per esprimere il contenuto impostole vuole essere empatica, allacciare l’osservatore in un dialogo intimo, e che finisce quasi per autolimitarsi, rinunciando al viatico ritmico, il più immediatamente comunicativo. Il suono del respiro, spesso udibile, non vale a sostituirlo.
A ciò si aggiunga che il repertorio linguistico adoperato dà l’impressione di essere ingenerosamente angusto per un’esplorazione matura dell’impegnativo soggetto, e incapace di suggerire soluzioni che vadano al di là di una proiezione, nuovamente, tutta visiva.
Ciò nonostante, Pilet è padrone unico e assoluto della scena. Il suo corpo ora mima, ora evoca, ora disegna un angolo della scena, ora la percorre ansiosamente, esibendo controllo, forza, sveltezza, destrezza, virtuosità nelle diverse maniere di recuperare un equilibrio che sembra costantemente in pericolo, una linea costantemente flessa oltre il limite di rottura.
Ottima l’accoglienza del pubblico, che chiama ripetutamente l’artista alla ribalta per lunghi e convinti applausi.
Tu – Cirque autobiographique
Messa in scena Olivier Meyrou
drammaturgia Amrita David, Olivier Meyrou
Interprete Matias Pilet
In video Karen Wenvl, Françoise Gillard, socio della commedia francese Erika Bustamante
Musica François-Eudes Chanfrault, Sébastien Savine
Voce Karen Wenvl Scenografia Simon André Luci Nicolas Boudier
Video Loïc Bontems
Regia generale Jules Pierret
Regia luci Sofia Bassim
Regia del suono, Video Marie-Pascale Bertrand, Yohann Gilles
Coproduzione Les Subsistances – Lione, La Passerelle SN Gap, La Brèche – Cherbourg, Le Monfort – Parigi
Sostegno Le Quai – Angers, La Chartreuse – Villeneuve lez Avignon Assistenza Le CNT, DRAC Ile-de-France per l’aiuto alla produzione drammaturgica
Partner Chili Espace Arte Nimiku di Santiago
Altri partner António Câmara Manuel, Temps d’images, Lisbona, Association Nationale des Sages-Femmes Libérales et Union Nationale et Syndicale des Sages-Femmes, rencontres et échanges à Cherbourg et à Angers avec des sages-femmes Jacqueline Lavilloniere et Sophie Fouchet e tutte le donne incinta, per il lavoro svolto durante la gravidanza, la maternità e per la loro percezione della vita intrauterina
durata: 60’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 15 ottobre 2017