Una produzione del Teatro i di Milano che vede protagoniste cinque figure femminili tra gelosie e insoddisfazioni
«Ma l’animale che mi porto dentro / non mi fa vivere felice mai, / si prende tutto, anche il caffè, / mi rende schiavo delle mie passioni. / E non si arrende mai e non sa attendere, / e l’animale che mi porto dentro vuole te» (Franco Battiato, “L’animale”).
“L’ultimo animale”, drammaturgia e regia Caterina Filograno, con Francesca Porrini, Carlotta Viscovo, Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi e Anahì Traversi, è un lavoro sul tradimento. Ma più in generale, è un lavoro sull’infelicità, sull’insoddisfazione umana, sull’invidia e la gelosia, sull’edonismo che degenera nell’egotismo e nel cinismo.
È anche un lavoro sul dualismo che ci pervade come esseri umani, nell’incessante lotta tra Bene e Male, e ci proietta oltre il crinale dell’infelicità.
Entrare nella piccola sala del Teatro i, sui Navigli a Milano, e trovare una specie di palestra con cinque figure femminili (due di esse in costume da procione, una terza da bruco) a fare ginnastica sul posto, ispirate da un video su un iPad davanti a loro.
Cristi (Carlotta Viscovo) vive in affitto a casa di Giudi (Francesca Porrini). Una convivenza che è anche amicizia. Se non fosse che, ad alterare gli equilibri tra le due ragazze, c’è un buco che Giudi tarda a far riparare, nonostante le richieste di Cristi, in realtà poco convinte. Quel buco è infatti abitato da tre strane creature animali parlanti: due procioni (Emilia Tiburzi e Anahì Traversi) e un bruco (Alessia Spinelli), che Cristi nasconde, nutre e protegge con cura. Cristi passa ore sul tapis roulant a smaltire i lipidi. La sua è una battaglia quotidiana contro i chili superflui. È l’arduo compromesso tra gola, salute e bellezza. Invece Giudi si diverte a preparare ogni genere di prelibatezze culinarie, viziata tuttavia da seduzioni junk food all’americana, cui non sono insensibili né Cristi, né gli animaletti del buco.
A far saltare gli equilibri di questa convivenza a cinque è un innamoramento di Giudi. Che decide che a quel punto Cristi dovrà andare via per lasciare spazio all’innamorato.
Giudi e Cristi sono due nomi molto evocativi. Ma chi tradisce chi? Chi tradisce per prima? E fin dove possono arrivare le conseguenze del tradimento?
“L’ultimo animale” è un lavoro energico, esuberante, in cui le protagoniste non stanno mai ferme. Il testo ha una verve grottesca che altera la sintassi borghese e spiazza per la sua metrica, in cui non mancano rime e versi dalla metrica nobile, ad esempio l’endecasillabo: «La mia camminata è veloce / quadro di donna dal passo feroce / Brucio molti grassi con i miei passi / rendimenti alti per pensieri bassi».
Ritmo. Sfumature rap. L’umorismo patafisico di questo spettacolo echeggia vagamente la poetica surrealista di Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. I costumi vivaci di Giuseppe Di Morabito destrutturano la pièce, disegnando fumetti, creando vignette, spiazzando lo spettatore con personaggi buffi, improbabili, che immancabilmente nascondono un lato cinico.
La drammaturgia è caotica solo in apparenza. Di fatto, essa crea un’intelaiatura rigorosa in cui spazi, interventi, silenzi, tempi, sono allegramente teatrali. Soprattutto, c’è un non detto da decifrare. I personaggi sono contrassegnati con segni minimali all’estremo della loro rappresentabilità. La loro recitazione pare sfrondarsi di tratti marcatamente umani. Sono figure dalla psicologia semplice, tratteggiate con una linea leggera, elementare. Lo spettatore resta destabilizzato dalle loro derive che le rendono schiave del cibo o della forma fisica, oppure del turbinio delirante di entrambe le cose. Le protagoniste sono prede delle passioni. Sono dimentiche della propria moralità. L’animale cui fa riferimento il titolo parrebbe allora la nostra parte istintiva, l’istinto di sopravvivenza inconsapevole, che viene allo scoperto in situazioni estreme, quando il nostro ego è sotto minaccia. Oppure, quando non siamo capaci di emanciparci dai nostri traumi e da quanto minaccia la nostra comfort zone.
Incomunicabilità e ipocrisia. Homo homini lupus. Finale truculento, che allude a una lotta di classe spietata più affine al pensiero di Thomas Hobbes che a quello di Karl Marx. Cinque donne in scena, e un immaginario femminile per niente accudente, rassicurante, etico. Un’allegoria dove i valori etici sono polverizzati in un esito orwelliano da “Fattoria degli animali”, in cui non si riesce più a distinguere il maiale dall’uomo.
Al netto di qualche ingenuità nella rifinitura dei personaggi secondari, “L’ultimo animale” è un lavoro spavaldo e dissacrante che certifica il talento drammaturgico di Caterina Filograno, che avevamo già apprezzato tre anni fa in “Potrei amarvi tutti” (Compagnia La Tacchineria). E attesta una volta di più – casomai ce ne fosse bisogno – che la pandemia non ci ha reso persone migliori.
L’ULTIMO ANIMALE
drammaturgia e regia Caterina Filograno
con Francesca Porrini, Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi, Anahì Traversi e Carlotta Viscovo
assistente alla regia Sebastian Luque Herrera
costumi Giuseppe Di Morabito
progetto audio/video Francesco Emmola
consulenza al movimento Aurelio Di Virgilio
una produzione Teatro i
durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’
Visto a Milano, Teatro i, il 3 aprile 2022