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Un alt(r)o Everest. Atir fra i crepacci della solitudine

Fabris e Bicocchi in scena

Fabris e Bicocchi in scena

Superare il dolore di un abbandono è paragonabile alla scalata di una montagna ripida. Significa stare in equilibrio tra i crepacci e valicare con granitica delicatezza le zone fragili dell’anima.
Un’arrampicata per elaborare un lutto. Avendo come unico sostegno il dialogo silenzioso, profondo che si perpetua con chi non è più tra noi fisicamente ma continua a far parte della nostra esistenza: per sopravvivere. In questa zona grigia della vita scavano Mattia Fabris e Jacopo Bicocchi, autori e interpreti di “Un alt(r)o Everest”, in prima nazionale al Teatro Ringhiera di Milano.

Dopo aver portato in scena “S(l)egati”, Fabris e Bicocchi tornano ad attingere materiale drammaturgico dalle montagne e dalle scalate. Prendono spunto da una storia vera ma poco conosciuta: la vicenda di due amici, Jim Davidson e Mike Price, che nel 1992 decidono di salire sul Monte Rainier, nello stato di Washington (USA). Una cima leggendaria, la cui scalata per gli americani significa potersi fregiare del titolo di alpinisti.
Il percorso riserverà ai due un’amara sorpresa: il cammino verso la vetta diventerà un viaggio di esplorazione negli abissi dell’anima e della loro amicizia.

L’inizio dell’arrampicata è tiepido. I discorsi sull’alpinismo e sulle imprese dei due amici a tratti illanguidiscono. L’interpretazione, tesa a restituire il colore e l’odore dell’America, sa un po’ di maniera. Ma è solo questione di tempo. Quando il dramma prende corpo, si avverte la potenza drammaturgica di una storia che trasuda amore, amicizia, sentimenti genuini profondi.
Il cielo terso, l’ascesa, la fatica diventano metafore di un’esistenza tesa a sfidare la morte. Tra il cielo limpido dell’alta quota e il fondo del crepaccio, tra la dipartita di chi è costretto ad abbandonare precocemente il mondo e la resistenza di chi sopravvive al dolore dell’assenza, si aprono squarci di poesia.
Dalla sofferenza lancinante dell’abbandono nasce la necessità di creare un dialogo silenzioso e costante, che nella pièce assume la forma di una lettera indirizzata a un’assenza ingombrante.

I due protagonisti si muovono su una scena spoglia: unici oggetti di scena sono due sedie di legno che vengono composte e ricomposte.  Le seggiole diventano ora poltrone da american pub (su cui incontrarsi per mangiare carne, patatine con birra ghiacciata, discutendo dell’impresa sportiva da realizzare) ora strumenti di sostegno per l’erta impervia, ora sedili d’auto su cui viaggiare nel solco di atmosfere beat.

La scena (a cura di Maria Spazzi) semplice, povera ma evocativa è illuminata da Alessandro Verazzi. Le luci scandiscono il discorso drammaturgico, sono didascalie emozionali, dal buio della notte ad alta quota fino l’oscurità dell’anima inerte in una voragine di dolore, inframmezzato da bagliori sporadici.
Una pièce intima, capace di toccare con sensibilità le corde dell’animo umano. Silvia Laureti, supportata dalle scelte musicali Sandra Zoccolan, accompagna lo spettacolo con un sound intimo e profondo.

UN ALT(R)O EVEREST
di e con Mattia Fabbris e Jacopo Bicocchi
Scene Maria Spazzi
Luci Alessandro Verazzi
Scelte musicali Sandra Zoccolan
Sound desingner Silvia Laureti
Produzione Atir Teatro Ringhiera

durata: 50’
applausi del pubblico: 2’ 30”

Visto a Milano, Teatro Ringhiera, l’8 aprile 2017

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