Una ragazza lasciata a metà: Elena Arvigo nella nostalgia di McBride

Photo: Manuela Giusto
Photo: Manuela Giusto

Mucchi di foglie secche, tracce di un autunno esistenziale. Una rete divelta, calpestata, stracciata, confine tra ciò che è casa, rifugio e sicurezza, e ciò che è altro: vuoto, insidia, minaccia.

Con “Una ragazza lasciata a metà”, opera prima della scrittrice irlandese Eimear McBride, traduzione di Riccardo Duranti, Elena Arvigo prosegue l’esplorazione dell’animo femminile ferito che avevamo già apprezzato in lavori come “Il bosco”, “4.48 Psychosis” di Sarah Kane, “Donna non rieducabile” e “I monologhi dell’atomica”.

Quella che vediamo in scena all’Out Off di Milano è un lettura scenica itinerante, un romanzo di formazione dagli esiti alienanti. Ne è protagonista una ragazza la cui vita si lega a doppio filo a quella di un fratello fragile: entrambi sono segnati da un’educazione severa, algida, dove anche la religione è una mannaia. L’assenza del padre, l’anaffettività della madre, il disprezzo della zia, le attenzioni morbose dello zio, riempiono di solitudine una creatura spezzata, sospesa tra nostalgia delle radici e bisogno di evadere, affascinata dalla città. Essa sarebbe capace di realizzarsi nello studio, ma sedotta da esperienze borderline, finisce per dissolversi in un vitreo deliquio.

Rami, pezzi di legno diroccati. Sei leggii sbilenchi sparpagliati sulla scena, costruita da Alessandro Di Cola: sono cartelli cadenti in una strada abbandonata. Elena Arvigo giostra tra essi come fossero amboni, ma si rivelano appigli precari, punti cardinali evanescenti. Ne nasce una danza obliqua di parole e gesti. La performance è un groviglio di graffi nel buio e bagliori opalescenti. Ogni leggio è luogo fisico e dell’anima, spazio bianco per cambi di scena e incontri fra personaggi. Una giovane donna s’immerge nella fatica di crescere, cerca vestigi d’amore, sbatte contro un avvilente recesso esistenziale.
Tra le foglie morte c’è un inginocchiatoio, preghiera gettata nel vento. Una ruota di bicicletta è relitto di un’infanzia sbigottita.

Felpa e minigonna, stivali, calze a rete smagliate, Arvigo, che cura anche regia ed elaborazione drammaturgica, realizza a un monologo variegato, frenetico, con una carica emotiva fortissima. È un susseguirsi di gesti dolorosi, rabbiosi, ammiccanti, disperati, gioiosi, impotenti. Sguardi nevrotici si alternano a respiri inquieti. Voci varie s’inseguono, cristallizzano, diradano. È il fluire dei pensieri di questa donna senza nome, dall’identità magmatica. Anche le voci di quelli che le stanno attorno si accavallano. Coaguli di parole si stratificano, oppure sfumano in silenzi grondanti emozione. È un mix di logorrea e afasia.

La musica entra in scena come contrappunto poetico alla crudezza delle situazioni. A volte è un gorgoglio di suoni. Oppure è stacchetto impalpabile, sospensione, aborto.
Frammentata, sottoposta alla forza centrifuga degli eventi, la protagonista di una “Una ragazza lasciata a metà” cerca di ricomporre in mosaico tessere scompaginate dal vento. Insegue l’affetto fraterno, si misura con la precarietà emotiva, si scontra con la distruttività delle relazioni umane. Infine opta per il “cupio dissolvi” consolatore.

UNA RAGAZZA LASCIATA A META’
di Eimear McBride
con Elena Arvigo
regia ed elaborazione drammaturgica Elena Arvigo
allestimento Alessandro Di Cola
disegno luci Manuel Molinu
luci Manuela Giusto
assistente alla regia Tullia Attinà
foto Manuela Giusto

durata: 1h 30’.
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Teatro Out Off, il 7 aprile 2018

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