Questo Napoli Teatro Festival Italia 2010 sembrava soffermarsi soprattutto sulle meraviglie visive, sulle sperimentazioni, sulla tecnologia portata in scena, sulla lunga durata e gli spettacoli a puntate. Insomma, molta apparenza e poca sostanza. Invece, proprio alla fine, ecco che favola e sperimentazione, recitazione e tecniche visive, si mescolano ne “L’uomo che dava da bere alle farfalle” per la regia di Juan Carlos Zagal. Ritorna il concetto di “puntata”, è vero, qui declinato in quello di “saga”, poiché lo spettacolo che quest’anno viene presentato al teatro San Ferdinando è il secondo capitolo di una trilogia definita “viaggio nelle possibilità della mente”. Durante la prima edizione del Napoli Teatro Festival, nel 2008, la compagnia cilena TeatroCinema aveva portato in scena “Sin Sagre”, tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco e quest’anno nel cartellone del Festival di Edimburgo.
L’allestimento di questo capitolo vede la collaborazione di diversi paesi, dal Belgio a Cile, Francia, Scozia e ovviamente Italia, e soprattutto di Napoli, dove la sede Rai ha svolto un grande lavoro. Parliamo di un processo di post-produzione digitale: mentre in scena agiscono attori in carne e ossa, i luoghi da loro abitati sono completamente virtuali. Chi ha conoscenza della visuale a 360 gradi fornitaci ormai da piattaforme di gioco come XBOX o Playstation può immaginare di che effetto scenico parliamo.
Due schermi si alternano sul palco, scivolano, mostrano mondi inesistenti che sembra possano essere toccati con mano, in cui s’inseriscono personaggi che si fondono con le loro sagome virtuali. Diverse storie toccanti si intersecano: un uomo anziano racconta la propria vita dopo essere svenuto, affaticato da una corsa, sotto una statua dei giardini pubblici. Un guerriero possente, pietrificato in questa immagine, sarà il simbolo di tutto il percorso.
Cosa significa dare da bere alle farfalle? Significa essere un eletto, seguirle nella loro nascita e crescita, averne riconoscenza eterna, sfamarle con piccole pozioni di nettare, significa vivere. Dopo la morte della moglie, un anziano musicista cerca di gettarsi in un burrone, trascinando lo sguardo dello spettatore in un tuffo virtuale che toglie il respiro, ma improvvisamente un turbine di farfalle sale dal mare e lo salva. Solo allora lui capisce. Un giovane regista ascolta il racconto e ne prende spunto per un suo film, richiamando a lavorare due vecchi attori dimenticati da tutti e rinchiusi nell’oscurità delle rispettive case. Interpreteranno una dama medievale e il suo cavaliere, quello rappresentato dalla statua, simbolo di coraggio, lealtà, di amore sincero. Lo stesso cavaliere che Mariana, ex fidanzata del giovane regista, aveva disegnato ripetutamente. Poi uno sparo, in un vicolo della città, e il coma. La fuga del regista che non vuole vedere la sua donna spegnersi e il tardivo ritorno, l’incontro, tra farfalle ed epica medievale.
Queste le storie che si intersecano in un discorso a ritroso che avanza per flashback, partendo da un’immagine simbolo che ritorna, in un circolo che si chiude e si ripete, alla fine dello spettacolo: il vecchio corre lungo il corridoio del suo palazzo e per i marciapiedi della città. Le farfalle hanno sete, bisogna far presto.
Le tecniche cinematografiche fanno sì che gli spettatori riescano a provare le stesse emozioni di profondità del cinema, le stesse sensazioni di un mondo che gira attorno. L’effetto ottico viene completato dall’utilizzo di pedane girevoli sotto i piedi degli attori. Se l’immagine virtuale nel video ruota a 360 gradi, anche gli attori presenti sul palco girano, in una visione uniforme e complessa. La musica di sottofondo è costante, rende le emozioni più intense. Uno spettacolo che non vuole sorprendere solo con la tecnologia ma soprattutto con i sentimenti. Finalmente non ritroviamo in scena le angosce della psiche umana e i problemi sociali, ma una semplice favola poetica incastrata tra passato e presente, tra mondo immaginario e realtà dei sentimenti, elegante, dolce, commovente, che finisce per dare anche un insegnamento: l’amore profondo, il legame che si mantiene, anche dopo la morte, con i nostri cari non può sparire se lo manteniamo in vita. Le farfalle sembrerebbero queste piccole anime che volano e ci accompagnano ogni giorno, ma bisogna “nutrirle”, pensarle, affinché ci stiano accanto.
Uno spettacolo profondo e indimenticabile che chiude in bellezza il festival di quest’anno. Tantissimi gli applausi degli spettatori, che si alzano in piedi per applaudire i cinque attori ma poi si voltano verso la postazione di regia per ringraziare tecnici, fonici e tutta l’équipe che ha lavorato dietro questo spettacolo (22 solo per l’animazione digitale e la postproduzione spondylus). Ma non finisce qui. L’incasso dello spettacolo verrà devoluto alle popolazioni del Cile colpite dal terremoto del 27 febbraio 2010, e alla fine gli spettatori ricevono anche un gadget: una matita in pasta di mais con ali di farfalla di cartone in cui è nascosto un piccolo sacchettino con semi di fiori. Quest’estate potremo contribuire così al ripopolamento delle farfalle che ormai, causa l’inquinamento (ambientale e morale), sembrano essere sparite dai giardini delle nostre città.
L’UOMO CHE DAVA DA BERE ALLE FARFALLE
regia: Juan Carlos Zagal
sceneggiatura originale Teatro Cinema: Juan Carlos Zagal, Laura Pizarro, Dauno Tótoro
con: Laura Pizarro, Juan Carlos Zagal, Ita Montero, Cristián Garín, José Manuel Aguirre.
scenografia: Cristian Majorcga, Vittorio Meschi, Luis Alcaide.
musica composta ed eseguita da Juan Carlos Zagal
regia video: Dauno Tótoro, Juan Carlos Zagal
in collaborazione con Rai Centro Di Produzione Di Napoli, Iberescena
durata: 2h 10’
applausi del pubblico: 3’ e 40’’
Visto a Napoli, Teatro San Ferdinando, il 26 giugno 2010