Una storia sulla crudeltà della guerra. “L’uomo seme”, romanzo breve di Violette Ailhaud trasposto per il teatro da Sonia Bergamasco, descrive con laconicità di emozioni e sincerità il desiderio di amore e riproduzione delle donne di Saule-Mort, un villaggio dell’Alta Provenza.
Siamo nel 1852. Gli uomini del paesino vengono uccisi, deportati o imprigionati perché ostili al colpo di stato di Napoleone III. Estinti gli uomini, in paese restano solo mogli, figlie, madri e fidanzate. Con dolore e tenacia, cercano di ricostruire la comunità.
A narrare questa storia è la sedicenne Violette: lei evoca con semplicità la solitudine, il bisogno di un abbraccio, la propria curiosità verso l’altro sesso.
Le donne stringono un patto: condivideranno il primo uomo che metterà piede nel villaggio. Avrà precedenza quella che lui toccherà per prima. Subito dopo, il seme maschile sarà diviso senza generare rivalità.
Infine l’uomo arriva. Per Violette è un misto di curiosità e paura: “Conosco la mia fame ma non so cosa bisogna fare. Eppure conosco le cose dell’amore: ne abbiamo parlato spesso tra donne”. Anche se Violette si era ripromessa di tenere a bada l’amore e di mirare soltanto all’istinto primordiale di dare continuità alla specie, i sentimenti la intrappolano. Lei ne resta volentieri prigioniera.
I mesi passano, le pance crescono, la vita ritorna sotto forma di vagiti e seni pieni di latte. Nulla può cancellare il dolore subito, l’assenza che ha scavato voragini. Tuttavia questo manipolo di donne trova nell’uomo-seme una nuova speranza di vita, una ragione per andare avanti sino a quando altri uomini compariranno all’orizzonte.
Sonia Bergamasco, ideatrice, regista e interprete di questo racconto, crea uno spettacolo corale in forma di ballata. È un allestimento raffinato che si vale delle scene e dei costumi di Barbara Petrecca. L’elegante disegno luci di Cesare Accetta rinforza la narrazione emotiva.
Al centro della scena un enorme albero spoglio stilizzato, i rami come mani tese semoventi. Quest’albero è habitat, totem, reticolato, trincea. Rappresenta le radici e l’attaccamento alla vita. È il bisogno di rinascere: le donne non si allontanano per il timore di scoprire che, oltre l’orizzonte delle loro terre, non ci siano che silenzio e morte.
La Bergamasco racconta lo spaccato di vita di una giovane donna, le sue lacerazioni, un amore che la farà vibrare e che pure resterà dimezzato. La sua voce risuona in scena roca e sofferta. Rimbomba anche fuori campo in assoli che sono flussi di dolore.
Un punto di vista originale. Una riscrittura ricca di pennellate e colori. La forza di questa drammaturgia sta nell’alternarsi di ricordi e sogni, in un senso di resilienza e fragilità tutte femminili. La debolezza sta in un recitato lento, sospeso, sostanzialmente monocorde. Anche i cambi di ritmo che potrebbero essere avviati dalla comparsa in scena dell’uomo non sembrano sfruttati pienamente. E allora la Bergamasco si affida all’accompagnamento del quartetto vocale pugliese Faraualla (Loredana Savino, Gabriella e Maristella Schiavone, Teresa Vallarella) per un itinerario musicale che fonde ritmi, timbri, voci ed espressioni musicali variegate in soluzioni armoniche dal sapore atavico.
È la drammaturgia sonora a sortire gli indispensabili cambi di ritmo. Le Faraualla sono creature mitologiche dalla religiosità taumaturgica, vestali ingenue e ammiccanti. Alla comparsa dell’uomo sono mantidi dal canto a cappella, capaci di potenti accensioni erotiche. Le mani si sfiorano, gli sguardi diventano abbacinanti.
Supportano il canto le fascinose coreografie di Elisa Barucchieri e la drammaturgia sonora di Rodolfo Rossi, fatta di percussioni, sibili, tonfi. E poi ci sono i rumori dell’esterno, quelli degli spari, degli uccelli, delle cicale.
“L’uomo seme” è il racconto di un femminile arcaico legato al cerchio delle stagioni e ai rituali della terra. Queste donne sopportano la violenza, ma riescono ad arginare gli oltraggi della guerra e dell’odio. Tornano a gioire, anche se ristagna un sottofondo malinconico. L’istinto di sopravvivenza è restituito con vivacità.
L’attenzione alla forma, importante non solo da un punto di vista estetico, aiuta a mettere a fuoco i personaggi, a centrarne pensieri e gesti. La ricercatezza stilistica contribuisce a caratterizzare la noia, il tormento, l’estasi, gli effetti dell’isolamento, il candore virgineo e la voglia di abbandono di un universo femminile che la Bergamasco non si stanca di indagare.
In scena il 25 gennaio a Verona.
L’UOMO SEME
racconto di scena ideato diretto e interpretato da Sonia Bergamasco
da “L’uomo seme” di Violette Ailhaud (traduzione di Monica Capuani)
drammaturgia musicale a cura di Rodolfo Rossi
e del quartetto vocale Faraualla
con Sonia Bergamasco, Rodolfo Rossi, Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone, Teresa Vallarella
scene e costumi Barbara Petrecca
luci Cesare Accetta
cura del movimento Elisa Barucchieri
assistente alla regia Mariangela Berardi
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
Produzione Teatro Franco Parenti / Sonia Bergamasco
si ringrazia per la collaborazione Triennale Teatro dell’Arte, e il Comune di Lucera
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 3’ 15”
Visto a Milano, Triennale – Teatro dell’Arte, il 20 gennaio 2018