Vetrano, Randisi e l’onorevole di Sciascia

L'Onorevole di Sciascia secondo Vetrano e Randisi
L'Onorevole di Sciascia secondo Vetrano e Randisi
L’Onorevole di Sciascia secondo Vetrano e Randisi

Passare da professore di liceo, costretto ad arrotondare il magro stipendio con lezioni private, ad onorevole, potente, rispettato e ammirato. Ma la parabola che trasforma Frangipane da insegnate onesto e dalla salda morale ad onorevole è costellata di menzogne, meschinità, compromessi e connivenze che modificheranno la sua natura, prima integerrima, umile, legata alla sostanza e non all’apparenza, alimentata da letture e riflessioni colte a gretta e vuota, interessata solo al potere ed alla ricchezza esteriore.

Leonardo Sciascia ha scritto “L’onorevole” nel 1965 in un’Italia in pieno boom economico, dove però, ai suoi occhi attenti, erano già evidenti le prime crepe di una società investita da una ricchezza repentina; un testo che, partendo dall’immediato secondo dopoguerra – le prime vicende sono del 1947 –, ripercorre quasi un ventennio di storia del nostro Paese per svelare, attraverso una scrittura tagliente ed affilata, cosa si nasconde dietro al potere che invade come un morbo le anime e se ne impossessa.

Partendo da questo materiale, scottante e sempre attuale, la coppia di attori e registi palermitani (ma emiliani d’adozione) Enzo Vetrano e Stefano Randisi hanno proposto la loro versione de “L’onorevole”: attraverso le parole di Sciascia hanno riproposto temi ed intenzioni già ben presenti nella scrittura del giornalista e saggista di Racalmuto, poco avvezzo, a dire il vero, alla scrittura teatrale, tanto da definire egli stesso “L’onorevole” una sorta di “sketch”, una “provocazione” intellettuale, destinata più ad essere letta che interpretata.

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo insieme a Emilia Romagna Teatro, ha debuttato allo Stabile palermitano a gennaio per iniziare poi un tour nazionale.

La parabola che conduce alla corruzione viene tradotta sulla scena attraverso una sorta di metamorfosi dei personaggi principali; così Frangipane, professore, onorevole e ministro, interpretato da Enzo Vetrano, assume prima un tono dimesso per poi diventare più spregiudicato.

Sorte peggiore ha la moglie Assunta, interpretata da Laura Marinoni, che a ricchezza, corruzione e disfacimento morale del marito risponde con una prima latente e poi urlata follia, trovando rassegnazione solo in quelle letture, il Don Chisciotte su tutte, abbandonate dal compagno, opponendosi con forza al registro scelto da Vetrano per dar corpo e voce al professore apparso troppo monotono in certi frangenti.

Attorno a loro il viscido monsignor Barbarino (Stefano Randisi), che con fare subdolo orchestrerà la metamorfosi di Frangipane e di una serie di personaggi che ruotano attorno al protagonista, votati alla causa senza possibilità di opposizione: i figli (gli attori Aurelio D’Amore e Aurora Falcone), il fidanzato di quest’ultima – da comunista a segretario dell’onorevole -, ben caratterizzato da Angelo Campolo, Giovanni Moschella un brillante Don Giovannino Scimeni, Antonio Lo Presti/Agostino Micciché e Alessio Barone/Margano, tutti impegnati a render omaggio al potere, tra contaminazioni mafiose e ambizioni personali.

I tre atti del testo sciasciano vengono condensati in uno, e i tempi del cambiamento scanditi da uno spazio scenico – realizzato da Mela Dell’Erba – prima piccolo ed angusto, quasi ad indicare le condizioni poco abbienti della famiglia Frangipane, poi via via più ampio, con cambi a vista effettuati dagli stessi attori, per trasformarsi in ufficio elettorale e infine in grande salone, spoglio negli arredi, come a marcare la mancanza di valore che si contrappone al lusso sfrenato ed all’accumulo di ricchezze.

Alle spalle un velatino scuro mostra passaggi e azioni di personaggi non in primo piano, talvolta rappresentando quella coscienza che manca ai protagonisti.
Seppure d’impatto, questa scelta appare però fine a se stessa, incapace di comunicare pienamente quella metamorfosi dei personaggi, avvinti dal fascino della ricchezza ma svuotati dai valori morali che ne guidavano l’agire.

Manca in questa messa in scena quella capacità di legare alla tradizione uno sguardo nuovo, peculiare, che ha caratterizzato negli anni e in maniera positiva il lavoro della coppia Vetrano e Randisi, soprattutto nell’affrontare alcuni testi pirandelliani.
Qui le parole di Sciascia, seppur moderne, folgoranti in alcune battute – impossibile non collegarle alla situazione politica odierna, tra compromessi e crisi identitarie dei partiti – e beffarde nella scelta della chiusa che consegna al pubblico un finale farsesco, un epilogo che in un trionfo di glamour mostra l’abisso nel quale tutti i personaggi, nessuno escluso, sono diretti, perdono di ritmo ed intensità in alcuni passaggi, affidati ad una recitazione troppo statica ed ad una regia che non riesce appieno a renderle più incisive, enfatizzando quella satira e il gusto della denuncia proprie della scrittura sciasciana, di cui ancora si sente forte il bisogno.

L’onorevole
di Leonardo Sciascia
regia: Enzo Vetrano, Stefano Randisi
con: Laura Marinoni, Aurelio D’Amore, Aurora Falcone, Angelo Campolo, Giovanni Moschella, Antonio Lo Presti, Alessio Barone
scene e costumi: Mela Dell’Erba
luci: Max Mugnai
produzione: Teatro Biondo Stabile di Palermo, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Associazione Diablogues

Visto a Messina, Teatro Vittorio Emanuele, il 22 gennaio 2015

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