Il Festival Ammutinamenti ha ospitato la nuova generazione della danza di ricerca
Come succede ogni anno riguardo al teatro per il Premio Scenario, il nostro interesse per i giovani artisti emergenti nel campo della danza si concentra soprattutto a Ravenna in occasione della Vetrina della Giovane Danza d’Autore, che si svolge all’interno del Festival Ammutinamenti.
La vetrina, come del resto anche Scenario, si basa su una precisa e attenta disamina compiuta da tutti i partner del network che, nei rispettivi territori, vanno alla ricerca delle più promettenti nuove generazioni di autori e autrici della danza contemporanea e di ricerca.
E’ un lavoro in atto da più di vent’anni, che mette in relazione i giovani artisti con il pubblico ma anche con operatori e operatrici, oltreché critici, che numerosi giungono nella città romagnola da tutto il Paese. In questo modo i partecipanti hanno la possibilità di confrontarsi con loro, ricevendone consigli e suggestioni riguardo agli studi e ai percorsi spettacolari, presentati durante i tre giorni del festival.
Quindici quest’anno le creazioni che la rassegna ha offerto ai nostri occhi dal 14 al 16 settembre, in un’edizione che – dobbiamo subito dire – è stata soddisfacente sia per il livello qualitativo espresso dai giovani artisti, sia per la varietà delle proposte.
Iniziamo con alcuni duetti che hanno evidenziato già una notevole perizia tecnica, illuminando il nostro sguardo verso direzioni inesplorate. Ecco allora Emma Zani e Roberto Doveri di YoY Performing Arts che, in “Inesorabilmenteunavia”, creazione inserita nel progetto Dialoghi con l’Arte, danzano in modo accattivante sulle pertinenti musiche di Timoteo Carbone, che si innestano in modo sapiente e coerente con quelle originali di Stefano Taglietti.
Il lavoro è ispirato a “Il Bisonte”, una video installazione dell’artista iraniano Bizhan Bassiri del 1998. E l’immagine dell’enorme animale ci accompagna nei primi momenti della creazione, immergendoci in un’atmosfera primordiale, in cui la natura – con tutta la sua prorompente energia – piano piano si acquieta in una danza di equilibrato spessore.
Il nostro sguardo si muove sui corpi dei due performer cercandone inedite connessioni e immaginifiche simbologie.
La stessa cosa accade anche per “Albatros”, con Alessandra Cozzi e Giuseppe Zagaria su coreografia di Pablo Ezequiel Rizzo. I due danzatori giocano sapientemente, tra luce ed ombra, con il nostro sguardo che mai si affatica nel guardarli. I corpi di Alessandra e Giuseppe sembrano ogni volta trasmutarsi in qualcosa d’altro, di animalesco spessore, per poi unificarsi, rivelando un misterioso corpo che naviga di volta in volta tra maschile e femminile, utilizzando il movimento con grande efficacia.
L’ironia coinvolge in modo benefico un altro duetto dai risvolti interessanti. “ALEX” è la coreografia creata da Roberta Maimone, in scena con Alice De Maio su musica di Clara Cozzolino. La creazione ci narra di un incontro con un nostro simile, quasi una nostra immagine riflessa. Ne nasce una specie di cartone animato, da rendere nel prosieguo, secondo noi, ancor più deformante nella sua costruzione, ma già decisamente ben progettata e accattivante.
Un vero peccato non avere rivisto, per l’indisposizione di una delle due performer, “Ototeman” di Stefania Menestrina e Sofia Galvan, di cui avevamo percepito con favore l’eccellente perizia tecnica a Gualtieri per “Under 30 direction”, che si esprime con grande generosità in contesti diversissimi tra loro, da Gershwin a Hermann.
“Ototeman” è un variegato contenitore coreografico in cui lo spettatore può immergersi con piacere attraverso una danza liberatoria, complice un piccolo coniglio, utilizzato come totem.
Abbiamo rivisto con grande piacere, dopo Kilowatt, “Cuma” di Michele Ifigenia Colturi, in cui la nudità di Federica D’Aversa ci appare, attraverso i suoi movimenti di sapore ancestrale, amplificati da un ambiente scenico di misteriosa sostanza, come un’entità sacra, rimembrando la mitica figura della Sibilla, la profetica sacerdotessa di Apollo.
Il corpo del performer che si offre al pubblico per esserne modificato, mostrandone nuove possibilità, è presente in due originali creazioni: “Lingua” di Chiara Ameglio e “Come sopravvivere in caso di danni permanenti” di Francesca Santamaria.
Nel primo la performer si muove in mezzo agli spettatori interagendo con il loro sguardo, invitandoli a disegnare sopra il suo corpo una specie di geografia di linee e punti.
Nel secondo invece la fisicità di Francesca Santamaria viene man mano imbrigliata in rotoli di scotch argentati, che ne impediscono la libera danza.
Bellissimi i dieci minuti, dirompenti nella loro voluta semplicità, di “Mute” di Martina Gambardella. Il corpo della giovane danzatrice, che avevamo già apprezzato in un‘altra edizione della vetrina, si muove nel piccolo spazio lasciatole a disposizione, cogliendone tutte le possibilità, in rapporto anche al silenzio, interrotto da piccolissimi rumori, e allo sguardo degli spettatori.
Ma l’esibizione che ci ha più conquistato è stata “A solo in the Spot lights”, del giovanissimo performer Vittorio Pagani, di cui è evidentissima la formazione internazionale, non solo per l’utilizzo della lingua inglese, ma per la capacità di gettarsi con perizia e divertimento in ogni contesto, dalla recitazione al mimo, dalla danza classica alla performance tout court, con momenti esilaranti di stand-up comedy.
Autocelebrativo, debordante, accattivante, iperbolico, dirompente, Pagani offre il suo corpo alle mille possibilità che l’arte gli può concedere, evidenziando anche attraverso didascalie, in modo sarcastico, tutte le difficoltà di un mondo respingente che non sa che farsene del suo corpo così mutevole e appagante.
Ci piace infine segnalare altri tre assoli: quello proposto all’aperto da Michele Scappa, che si muove con coerenza in un mondo formato dagli spettatori che lo accerchiano, per poi essere capace di uscirne; il sommesso monologo di Massimo Monticelli, che in “Erodiade” danza, scompigliando i ricordi affidati alle più famose donne del mito lasciate dai propri uomini, e “Infieri” di Pierandrea Rosato, che sulle musiche struggenti di Nina Simone imposta una danza di misurata e congrua densità.