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Via della fucina. Integrazioni d’arte senza troppe vetrine

Anna che balla a Porta Palazzo|Brice Coniglio a Porta Palazzo

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Brice Coniglio a Porta Palazzo
Brice Coniglio a Porta Palazzo
Sui muri del mercato coperto di Porta Palazzo campeggia una scritta: “Cacciano i proletari, costruiscono una città-vetrina e gli artisti la abbelliscono”.
Da qui partiamo per raccontare cosa vuole essere e cosa non vuole essere il progetto Via della fucina, prima residenza per artisti nel multietnico quartiere di Porta Palazzo a Torino, da sempre meta di migranti, prima dal Meridione e poi dall’estero: Africa, Cina, Europa dell’est…
Porta Palazzo è conosciuta per l’area mercatale più grande d’Europa, un enorme luogo di scambio/incontro dei grandi flussi migratori nella città.

Partiamo dalla genesi del programma: Via della fucina è nata da un’idea di Brice Coniglio (più conosciuto come parte di Coniglio Viola). Nel 2009 viene fondata Kaninchenhaus, in italiano Casa del coniglio,  un’organizzazione no profit che, come recita la sua mission, ha l’intento di promuovere progetti artistici, dove per artistici si intendono mostre, spettacoli, audio- video…
Kaninchenhaus è composta per la maggior parte da artisti che hanno sposato l’idea di condividere uno spazio che possa aprirsi alla comunità non solo ad opera “finita” ma per l’intero processo di ricerca che porta l’artista all’opera stessa.

Dal 15 novembre, per due mesi, tre coppie di artisti vivranno insieme nel quartiere con l’intento di realizzare un progetto che parli e viva proprio nel quartiere stesso.
Per partecipare alla residenza le coppie si sono auto-formate, il bando prevedeva la presenza di un artista torinese in “gemellaggio” con uno straniero.
Mi spiegano che ognuno ha usato metodi diversi per “trovarsi”: qualcuno di loro aveva già collaborato in passato, altri si sono conosciuti sui network, altri hanno apprezzato via web le rispettive opere e si sono cercati.

Domenica scorsa, 30 settembre, si è svolta la prima uscita pubblica del progetto: il pranzo del vicinato sotto il porticato, area del “mercato dei contadini”.
Arrivo in bicicletta. I tavoli sono preparati e, a gruppi sparsi, si condivide il cibo che ognuno ha portato. Arrivo a mani vuote… mi è mancato il tempo!

La torinese Irene Pittatore, che nella vita conduce una ricerca sul linguaggio visivo e performativo, qui in coppia con la francese Annelies Vaneycken, mi racconta come intendono svolgere l’intero progetto, ma soprattutto mi chiarisce il concetto primario da cui Via della fucina parte, la domanda che è doveroso porsi: a chi interessa tutto questo? Ma soprattutto, a chi interessa nel quartiere?
Ed ecco il perché della scritta da cui siamo partiti.

Troppo spesso, infatti, i progetti artistici non si calano davvero nella realtà circostante, abbelliscono, certo, ma non interagiscono davvero con il mondo esterno.
Allora i primi appuntamenti di Via della fucina saranno proprio dei tavoli comuni a cui saranno invitati sociologi, storici e la popolazione stessa per poter discutere insieme: dal 10 ottobre, per dieci giorni.

Il progetto a cui lavorano Irene e Annelies è una ricerca su visibile e invisibile: Irene cattura le immagini, Annelies le storie. E la ricerca di integrazione sta anche in questa “divisione” dei ruoli: Irene conosce il quartiere, ci ha lavorato per anni, Annelies no, e soprattutto parla ancora pochissimo l’italiano. Sarà lei a doversi davvero calare nella realtà quotidiana di Porta Palazzo, superando la barriera linguistica come ogni giorno fanno centinaia di migranti.

Alessandro e Liliya (che arriva dalla piccola republica del Kirghizistan, in Asia Centrale) stanno scrivendo un copione su testi di Rilke, e da qui il progetto si articolerà verso un cortometraggio interpretato dai cittadini stessi.
Maurizio e la greca Mary per ora lavorano all’interno del Cottolengo, storico istituto di carità torinese, come volontari tra i reparti e la mensa dei poveri.

Ad affiancare dal punto di vista organizzativo l’inafferrabile Brice Coniglio sono Nicoletta Daldanise, coordinatrice del programma, e Ilaria Gai, che insieme a Carlotta Serminato si occupa della comunicazione.
Sono loro a parlarmi di Lapinot, un vino creato in collaborazione con l’azienda agricola Terzoni (Lapin-Pinot) per sostenere Via della fucina.
Accennano anche a Pirate camp, altro progetto nato dalla mente di Coniglio, che lo scorso anno è stato il primo programma di residenza itinerante allestito in un campeggio, in concomitanza con la Biennale di Venezia. Una residenza che ha violato il divieto di campeggio in Laguna, ma che ha permesso a giovani artisti di essere presenti e di poter vivere gli eventi della Biennale soggiornando gratuitamente.

Il prossimo appuntamento di Via della fucina è domani, 5 ottobre, per l’inaugurazione della mostra “Arte al Centro di una Trasformazione Sociale Responsabile” alla Fondazione Pistoletto, dedicata proprio al rapporto fra arte e trasformazione urbana. Le coppie di artisti presenteranno quello che può essere definito il “manifesto programmatico” dei loro progetti.

Anna che balla ha trovato anche la musica dal vivo (photo: Silvia Limone)
L’augurio è quindi che Via della fucina non serva ad abbellire la città-vetrina. C’è bisogno che l’arte compia la sua opera, ricordando la definizione di arte data dall’Unesco: “Artisti e creativi sono vettori di diversità culturale e artistica. Il loro lavoro è un importante contributo allo sviluppo della società e per la creazione di legami sociali tra i cittadini, ed essendo anche un lavoro intellettuale, consente al singolo di acquisire conoscenze e benessere morale”.

Lascio Porta Palazzo. Alle spalle gli artisti, qualche tossico che chiede cibo da portare a casa, e Anna che balla (chi non la conosce deve venire a Torino!). L’integrazione parte anche da qui.
 

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