Dal testo all’azione drammatica. Diario dalle Ville Matte. Atto III

Campanacci di un gregge
Campanacci di un gregge
Campanacci (in prestito) di un gregge (photo: Thea, Benedetta e Laura)

23, 6, 1. La combinazione dei giorni di residenza allo stato attuale prevede: ventitre fatti, sei da fare, uno per concludere.
All’orizzonte sabato 17 ottobre, giornata di presentazione dei lavori.
Ognuno di noi offrirà delle brevi messe in scena, comprese tra i cinque e i venti minuti, di ciò che avrà pensato, scritto e sperimentato nell’arco del periodo orrolese. La residenza infatti tiene molto all’aspetto di verifica, di tenuta sulla scena del testo drammatico. Tanto che, sin dalla seconda settimana di lavoro, Claudia Castellucci non ha più chiesto spiegazioni o letture dei nostri lavori ma delle vere e proprie regie degli scritti – sul sottilissimo filo di quella delicata linea che corre tra la scrittura di un testo e la sua messa in scena. Brevissimi estratti purché messi in atto, in azione.
E così ognuno si è ricavato pian piano il suo piccolo spazio di prove, il gruppo di persone con cui provare (scegliendo gli attori all’interno del gruppo a rotazione o tra gli abitanti del luogo), gli oggetti, le musiche e le luci.

Ci sono stati i primi momenti di confronto duro, diretto, con Claudia e gli assistenti (Stefano, Marco e Filippo), con il testo e con noi stessi. Non è facile capire il proprio linguaggio e avere fiducia in ciò che si fa. Nulla si può gettare prima di averlo verificato in scena. Bisogna avere molta fiducia, pazienza e onestà, innanzitutto nel portare una cosa fino in fondo al suo compiersi, fidandosi anche solo di un impulso, di un istinto momentaneo. Ogni immagine ha uguale dignità e importanza nelle prime fasi di lavoro e solo alla fine, se non risulterà essere utile coerente o necessaria, si potrà eliminare – avendo il coraggio di buttar via anche tutto se necessario – purché inizialmente ci sia una grande predisposizione ad accogliere e portare avanti tutte le immagini – e sottolineo immagini – che ci vengono agli occhi, che ‘affiorano’.

In tutto questo Claudia Castellucci ci suggerisce una strada, una tra le tante possibili ovviamente, accompagnandoci su di essa e mettendoci costantemente di fronte alla duplice condizione della ricezione e dell’elaborazione. Il fine è renderci aperti e disponibili all’emergere delle immagini, per far sì che diventino testo teatrale o, meglio, opera drammatica. E’ come se indicasse una sorta di percorso in cui non si sta seduti a scrivere parole, ma ci si abbandona a far venire alla luce azioni, atti da combinare in seguito, montando e smontando i vari pezzi sulla scena.
E’ un processo compositivo incredibilmente percettivo e coinvolgente. E’ un modo. Come ce ne sono tanti. Ma qui ed ora noi siamo tutti totalmente immersi in questo modo.

Mentre si organizzano calendari, orari, turni di prove, viaggi a Cagliari per recuperare materiali, c’è chi registra il suono del cancello di casa, chi costruisce piccoli burattini, chi tenta di recuperare un vecchio spazio abbandonato prendendo accordi con le famigliole di scarafaggi che vi abitano. La sera, stanchi, ci riuniamo ancora una volta tutti assieme per la cena: una ragazza suona l’organetto, un’altra balla, sul tavolo i campannacci di un intero gregge gentilmente prestati da un pastore.

La riflessione sull’opera d’arte questa settimana ha trovato il suo culmine nella conferenza di Geraud Didier, drammaturgo e direttore artistico de Le Maillon-Théâtre de Strasbourg sul “Problema del tempo nella rappresentazione teatrale”. La questione cruciale si è sviluppata analizzando l’evoluzione della forma drammatica dal Rinascimento ad oggi passando per Cechov e fino ai lavori di Christoph Marthaler.
Il prossimo appuntamento sarà con Chiara Guidi su “La verità retrograda della voce”.
Ma per il racconto di questi due importanti appuntamenti vorrei prendere un tempo a parte, dedicato, visto che è proprio il tempo, ora, a sfuggire…

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