Diciotto progetti finalisti tra i 279 pervenuti all’Associazione Scenario per un premio fra i più ambiti del nuovo teatro contemporaneo.
La giuria, presieduta da Renata Molinari e composta da Stefano Cipiciani, Gianluigi Gherzi, Cristina Valenti e Cristina Ventrucci, ha decretato i vincitori e le segnalazioni speciali della XII edizione, che faranno parte della Generazione Scenario di quest’anno:
– Premio Scenario a “Pink, Me & The Roses” di Codice Ivan (Bolzano)
– Premio Ustica per il teatro a “E’ bello vivere liberi!” di Marta Cuscunà (Gorizia)
– Segnalazione speciale a “A tua immagine” di Davide Goria, Enrico Ballardini e Giulia D’Imperio (Milano)
– Segnalazione speciale a “Tempesta” di Anagoor (Treviso)
Dopo aver visto tutti e 18 i finalisti mi rendo conto di non avere l’entusiasmo delle annate precedenti: non c’è una vera rivelazione, manca la scoperta di un gruppo davvero sorprendente o davvero disturbante. Non ci sono, per intenderci, i Phatosformel del caso a mettere in crisi il mio modo di concepire il teatro, e neppure i Babilonia Teatri della situazione a darmi nuove prospettive di lingua teatrale.
Ci sono però molti lavori interessanti e ben fatti, una grande qualità di interpretazione e pochissimi lavori noiosi.
Se ripenso a questi finalisti, lo spettacolo che mi ha lasciato sensazioni più forti e nitide è “Tempesta” del gruppo Anagoor. Il lavoro, ispirato all’iconografia del Giorgione, è di forte impatto estetico e di grande qualità, e non a caso il gruppo fa già parte di un certo “giro” ed è già in programma in diversi festival estivi. La riproduzione dei dipinti del Giorgione, attraverso video a cristalli liquidi (che ricordano i meravigliosi lavori di Bill Viola) e l’interazione dei performer (due fratelli di rara bellezza), mette in relazione la tradizione del pittore con la contemporaneità dei nostri giorni.
Altro progetto di tipo performativo e di stampo mitteleuropeo è “Pink, Me & The Roses” di Codice Ivan. Una performance meta-teatrale ricca di ironia e di semplicità, capace di mettere in discussione il teatro odierno, l’incomunicabilità e l’incertezza del mestiere teatrale. Uno spettacolo molto rischioso, per la verità, che ricorda lo stile di Kinkaleri o di Teatro Sotterraneo e che, rispetto agli altri finalisti, si fa certamente riconoscere come elemento di rottura per rimane impresso nelle memorie del pubblico.
Restando nel filone performance c’è anche “Progetto Dearest. 2° studio performativo” di Chiara Bersani e Claudia Valla, un lavoro molto personale ed intimo sull’infanzia, centrato sul corpo della sua ideatrice (Chiara Bersani, attrice diversamente abile già conosciuta con Lenz Rifrazioni e con Alessandro Sciarroni). Fatico, purtroppo, a trovare in questo caso una necessità drammaturgica che mi tenga legata al lavoro o che possa emozionarmi.
C’è da rilevare, in quest’edizione, una grande incursione del teatro di figura.
Ci sono i bellissimi pupazzi de “La collina degli angeli ovvero ricordanze e sortilegi” di Marzia Gambardella, in un lavoro che ha grandi potenzialità ma che ad oggi è ancora scollegato, con alcuni momenti davvero poetici sulla vecchiaia e sull’ospizio come luogo di sofferenza, ma in cui andrebbe forse fatta una ricerca più accurata su suoni e musiche.
C’è la bellissima marionetta di “Edith” di Valentina Grigò, che racconta la storia di Edith Piaf dal punto di vista della figlia scomparsa prematuramente. Valentina Grigò lavora bene nell’interazione con i linguaggi, soprattutto con le proiezioni, ed è brava interprete, ma il lavoro pare ancora un po’ acerbo e poco chiaro.
Ci sono i burattini e le marionette in “E’ bello vivere liberi!” della brava Marta Cuscunà, spettacolo che racconta la storia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia deportata ad Auschwitz, con una freschezza e una leggerezza davvero encomiabili, affidandosi anche al linguaggio dei burattini e delle marionette per arrivare a raccontare l’orrore dell’Olocausto senza retorica.
E c’è una maschera anche in “Pino” di Camilla Barbarito, di cui apprezziamo la capacità dell’attrice di modificare la propria voce tanto da parere maschile, seppure rimaniamo interdetti sul senso del lavoro, forse troppo intellettuale.
Altro versante è quello dei narratori finalisti del Premio Ustica per il Teatro Civile, tra cui Luca Serrani con “Come senza respiro”, monologo sulla BPCO (Broncopneumopatia cronica ostruttiva), Massimo Zaccaria con “La Cisterna”, che racconta la strage di Molfetta in cui cinque operai morirono intossicati dalle esalazioni di zolfo, e “Come bestie che cercano bestie” di Imamama, ispirato ad un racconto di Pier Paolo Pasolini.
C’è poi il vasto filone, più consono al palcoscenico del Premio – che di per sé ha già un suo stile -, di spettacoli “alla Scenario”, come il ben fatto “A tua immagine” di Davide Goria, Enrico Ballardini e Giulia D’Imperio, in cui i tre bravi interpreti inscenano un dialogo a tre fra il Diavolo, Dio e Gesù nel momento in cui Dio spiega a suo figlio il destino che gli ha riservato. Segnalato per la drammaturgia visionaria in grado di affidarsi ai vari generi teatrali (dal cantautorato al cabaret), affronta tematiche universali e ha il coraggio di mettere in luce le debolezze di questi personaggi non umani.
C’è poi il beckettiano “Quando saremo grandi” della compagnia La fabbrica, in cui tre fratelli vecchi e bambini insieme aspettano con ansia la loro mamma, impossibilitati ad uscire dal recinto che si sono costruiti intorno, in un finale di partita molto coinvolgente e ben interpretato.
“Non merita lamenti” dei napoletani Teatro di Legno è uno spettacolo che ricorda molto i vincitori delle passate edizioni di Scenario (da Emma Dante al “Deficiente”), e che non dimenticheremo sia per l’uso della scenografia che per la grande interpretazione dell’attrice che interpreta la madre.
Ci sono poi “La bella Lena” del gruppo Franca Battaglia e “Masculiata” di Andolina-Calò-Di Matteo, il primo legato ad una storia di violenze e prostituzione e il secondo, in palermitano stretto, in cui si immaginano donne che diventano uomini attraverso un rito di iniziazione e che costringono con la violenza altre donne a diventare uomini, senza lasciar loro alcuna possibilità di scelta.
L’edizione 2009 ha visto poco la danza, rappresentata solo da “Eden” dei palermitani Nuda Veritas, in cui si legge bene la provenienza dalla scuola di Essen diretta da Pina Bausch, e “Cosmopolis. Psicopatologia della vita quotidiana” di Baloon Performing Club, un lavoro dal ritmo serrato e contemporaneo sulle ansie del nostro vivere quotidiano, con momenti di toccante umanità.
Ultima, ma non ultima, perché corre da sola, la milanese Daniela Fiorino con “Finché ci siamo”, uno spettacolo comico dove l’attrice interpreta tre personaggi tra il clown e la caricatura.