Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci sono due giovani diciottenni freddati a colpi di pistola il 18 marzo 1978 a Milano da un gruppo di estremisti di destra. Frequentavano il centro sociale Leoncavallo e stavano conducendo approfondite indagini sul traffico di eroina e cocaina nel quartiere di Lambrate Città Studi, gestito da potenti ambienti della malavita organizzata e dell’estrema destra milanese.
Nel corteo spontaneo che si crea dopo che Radio Popolare fa uscire la notizia, c’è anche un César Brie ventenne, scappato dall’Argentina.
Oggi, a più di trent’anni di distanza, l’artista decide di tornare a quell’episodio non limitandosi ad esporre i fatti; la sua intenzione, nella messa in scena del testo di Roberto Scarpetti (insignito della menzione speciale Franco Quadri al Premio Riccione per il Teatro 2011), è ri-raccontarne i dettagli, le emozioni dei protagonisti, i contorni incerti e dubbiosi.
La scena è estremamente semplice, un grande schermo sul fondo, una parete di nylon dall’altra, alcuni oggetti simbolici in scena, qualche elemento scenografico con cui gli attori interagiscono. Il tutto per un teatro di narrazione raffinato e alto che riesce a far entrare e uscire continuamente gli interpreti dai personaggi, in una sorta di danza teatrale all’interno della quale ogni movimento è preciso ma naturale, niente è dato al caso ma nulla è artificioso.
La prima scelta interessante è quella di portare al pubblico i due protagonisti spostandone il punto di vista classico e centrale.
Se Federico Manfredi interpreta Fausto, la definizione del personaggio di Lorenzo viene invece delineata dagli altri protagonisti della storia, in particolare dalla figura della mamma, immersa, da subito, in un dolore umanissimo e profondo, portato in scena da Alice Redini, sensibilissima ambasciatrice delle emozioni di tutte le figure femminili.
Non si assiste mai a qualcosa di statico, il dinamismo del racconto fa sentire al pubblico il profumo di una vera e propria creazione collettiva; gli attori non si limitano a raccontare o interpretare ma portano il loro contributo entrando nel cuore delle scelte registiche.
Tutto questo è vivo e tangibile nei cinque monologhi principali che compongono lo spettacolo, intrecciandosi e divincolandosi in molti bozzetti di figure più o meno delineate.
La passione di Brie per i pensieri più intimi e personali dei personaggi vive nella definizione di tutte quelle persone che, a vario titolo e consapevolezza, si trovano ad entrare con forza nella storia di Fausto e Iaio; fra tutti emerge la caparbietà di Salvo Meli, poliziotto della Digos che non si vuole arrendere, interpretato da Massimo Donato. Interessante anche l’umanità che lo spettacolo riesce a far trapelare perfino dagli assassini o da altre figure come quella del coraggioso giornalista dell’Unità, incaricato di seguire la vicenda e tristemente ucciso da un misterioso pirata della strada.
Le tracce audio e le proiezioni aiutano lo spettatore ad entrare in un mondo ormai lontano che, però, tutti abbiamo vissuto, direttamente o per riflesso.
L’emozione diventa sempre profonda e tangibile quando una comunità osserva in scena la storia della comunità stessa, anche se riarrangiata.
“Viva l’Italia” è uno spettacolo di attori e regia che riesce a farci intravedere nuove possibilità per il teatro di narrazione, e che ricorda tanto la storia di un artista come César Brie, che ha fatto della denuncia, dell’approfondimento e della salvaguardia della memoria collettiva una ragione di vita e di teatro.
In scena fino al 14 aprile.
VIVA L’ITALIA. Le morti di Fausto e Iaio
di Roberto Scarpetti
regia: César Brie
musiche originali: Pietro Traldi
con: Massimiliano Donato, Andrea Bettaglio, Alice Redini, Umberto Terruso, Federico Manfredi
luci: Nando Frigerio
suono e programmazione video: Giuseppe Marzoli
progetto video: Boombang Design
produzione: Teatro dell’Elfo
durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 3′ 15”
Visto a Milano, Teatro dell’Elfo, il 22 marzo 2013
Prima nazionale