Tragico rapporto fra voce e corpo, fra presenza e assenza, fra il conoscere e l’ignorare, teatralissimo dilemma fra essere e non essere.
Giancarlo Cauteruccio “approfitta” dell’esito di un laboratorio con un gruppo di diciotto ragazzi fra attori, performer e tecnici, guidati da collaboratori-docenti in Quadriscenia della Percezione Teatrale (un percorso di Alta Formazione finanziato dalla Provincia di Firenze con fondi FSE dell’Unione Europea) per sventrare il teatro e ristabilirne connotati spaziali ed esistenziali.
Il progetto Voce off Corpo in vuole gettare le basi per pensare ad un nuovo luogo “tragico” in cui la funzione scenica di corpo, voce, scena e testo avvenga per lo spettatore e anche per chi è in scena attraverso un progetto di teatro “immersivo”.
Il teatro tradizionale non esiste più: le comode poltroncine in cui lo spettatore annegava la sua sonnolente funzione passiva sono state smontate e portate via dal Teatro Studio di Scandicci, per arrivare alla creazione di un luogo aperto, di un quadrilatero delimitato da quattro grandi pedane oblique che diventano palcoscenici, spazi di proiezioni, luogo del corpo.
Al centro dello spazio sventrato, su una pedana e una sedia a rotelle rotante, la voce “off” dello stesso Cauteruccio che, su questa sedia recante sul retro la scritta “regista”, torna sulle sue passioni testuali di sempre: da Bataille a Majakovskij, da Pessoa a Beckett, per accarezzare Petrarca e citare, in un monco “Io so”, quella consapevolezza Pasoliniana che, nel suo apodittico affermarsi, ragiona sull’impossibilità di contemplare il conosciuto in un’epoca in cui tutto è partito, fatto a pezzi, dilaniato.
E questo processo di dilaniazione, di scarnificazione, di erosione della pelle è ciò che maggiormente dialoga, entro gli spazi ben illuminati delle pedane laterali, con i corpi scenici dei performer, ora persi in bui siderali, ora in metaforiche rappresentazioni di masaccesche cacciate dal paradiso, ora travolti da una cascata che è di parole, di luci, di video.
Lo spettatore è così costretto a perdersi nello spazio, in piedi, nel buio, cullato nelle sue insicurezze dalla voce roca di Cauteruccio e dai corpi scenici che, ad un certo punto, invadono lo spazio fino ad allora partito in maniera così netta tra fruitori e performer.
Uno spettacolo che agisce con impulsi a 360 gradi, in cui lo spettatore è letteralmente circondato e non ha angoli in cui può sfuggire.
E’ un ragionamento che il regista vuole prodromico a futuri sviluppi sull’elaborazione di un nuovo tragico, di una sua personale e impattante rilettura di classici greci. Infatti questo esperimento è una sorta di grande prodromo metodologico, perfino “troppo perfetto” nel suo rapporto con il tecnologico e con l’ambiente. Studiatissimo e di grande impatto.
Non può quindi che destare grande interesse lo sguardo lanciato verso gli sviluppi creativi. La strada delle dicotomie fra corpo e voce, fra leggerezza e pesantezza, fra in e off è una modalità che ben può portare verso interessanti approfondimenti che affondino nel classico, nel sempre esistito, in quella voce del teatro così fuori, eppure così dentro, le vicende dell’umano.