E dunque è assai logico che i nostri due eroi abbiano diviso in egual maniera i melomani che, come si sa, vivono la loro arte da autentici sportivi, tifando per cantanti e autori come fossero squadre di calcio.
Così, in vista anche del “Parsifal” di Romeo Castellucci che arriverà a Bologna la prossima settimana, per onorare Wagner e Verdi abbiamo voluto omaggiarli ipotizzando un dialogo tra due melomani-tifosi, in cui chi scrive ha assunto il ruolo del fanatico verdiano.
Eccoci a Milano, a Brera, estasiati davanti alla così detta “Madonna dell’uovo” di Piero della Francesca. Osserviamo che anche il nostro vicino è ammaliato da ciò che ha davanti; azzardiamo un laconico: “Bella, vero?”. Lui ci guarda e sorride: “Bella, sì, molto”.
Dall’accento capisco che non è italiano.
“Da dove viene, se posso permettermi?”.
“Dalla Germania, amo molto la vostra arte, soprattutto il Quattrocento e Piero in particolare, così solenne e metafisico nello stesso tempo… Sa, sono qui per la Scala, c’è tutta la Tetralogia del nostro Wagner, non potevo mancare: l’opera più bella del mondo eseguita nel teatro forse più bello al mondo”.
“Una delle più belle”, suggerisco…
“La più bella”.
“Non ne sono così sicuro, diciamo vi sono molte pagine sublimi, ma mi sembra un po’ troppo lungo. Come diceva Rossini, dei bei momenti e dei brutti quarti d’ora”. Sorrido, ma vedo che lui non scherza: “Non le sembra?”, proseguo.
“A me non pare, ma vedo che lei ama la musica lirica, ama Verdi suppongo”.
“Certo che lo amo, e moltissimo”.
“Le piace la musica da banda, allora” mi fa sornione l’amico tedesco.
“In che senso?”.
“Non le pare che la musica di Verdi sia un po’ bandistica, con quel ‘zum zum zum’ continuo? So che per voi è stato importante, per il vostro Risorgimento: “Viva Verdi” e storie del genere, ma la musica penso sia un’altra cosa, deve portare all’infinito, e quella di Wagner ci riesce benissimo”.
“All’infinito, dice lei. E l’infinito sarebbe un guazzabuglio di dei ed eroi, dove un misticismo di raccatto viene sempre posto in primo piano per ore e ore”.
Mi accorgo che sto trascendendo, e forse anche il mio interlocutore si è accorto di fare altrettanto.
“Fermiamoci un momento, mi spieghi dunque dove sta la grandezza di Wagner, poi io farò altrettanto con quella di Verdi”.
Usciamo dalla sala e ci accomodiamo in un caffè.
“Forse questa nostra dualità è causata dalla profonda diversità dei nostri due Paesi – afferma il tedesco – del resto siamo sempre stati in guerra”.
“Ma allora perché siamo d’accordo su Piero? Inoltre anche a me piacciono, e molto, sia Grunewald che Durer e Friedrich”.
“Certo, certo, ma la pittura è pittura, e poi Piero trascende ogni cosa a mio avviso”.
“Wagner mira all’assoluto; ascoltandolo vengo sempre catapultato nell’Empireo, non tocco mai terra, mi interessano poco i personaggi, perché è la musica che li tratteggia, non quello che dicono, e così non c’è mai discontinuità tra parola e musica, che in scena si mostrano come se fossero una cosa sola. Verdi invece…”.
“Qui sono d’accordo con lei: Wagner parte dalla musica, e Verdi sempre dal teatro, dall’azione che lo spettatore ha davanti; qui stiamo parlando di teatro, mi pare. Wagner infatti mi piace moltissimo nei preludi e nei pezzi orchestrali, ma mi annoia fortemente quando mette in gioco i sentimenti. Pensi al secondo atto del Parsifal, così lungo e noioso, e invece così meraviglioso nel preludio. Verdi al contrario riesce a toccare tutte le corde dell’animo umano, ma è ugualmente meraviglioso nelle sinfonie iniziali; pensi a quella del “Macbeth” o a quella della “ Forza del destino”. E pensi anche al “Don Carlo”, dove la grande e la piccola storia vengono intercalate con risultati eccezionali”.
“Ma anche Wagner lo fa. Si ricorda “I maestri cantori”? La nostra storia lì c’è tutta e poi: bellissima la musica di Verdi? Forse, ma non è orribile quella che accompagna Melitone o Preziosilla, o il finto egiziano di Aida?”.
“In tutti c’è musica buona e musica cattiva, caro Franz. Forse non doveva scrivere i testi lui. A mio avviso il giusto equilibrio teatrale avviene solo nel “Tristano”: lì veramente trovo ogni cosa perfetta. E poi, se posso aggiungere un’altra cosa, secondo me manca al suo compatriota (e molto) l’ironia, che invece Verdi calibra benissimo con il senso del tragico; pensi solo a Falstaff o al Ballo in maschera!”.
“Comunque possiamo ben dire che il destino ha molto abbondato in felicità nell’anno 1813, con Wagner e Verdi. Questo è un dato di fatto. Cosa ne dice Mario? Su questo possiamo essere concordi. E sa cosa le dico ancora? Posso azzardare che vi è un autore che, in qualche modo, li contiene tutti e due, sia l’infinito che il quotidiano, sia il tragico che l’ironia, sia l’amore che la morte”.
“Non me lo dica, lo so”.
“Certo, Mozart. Nelle sue opere tutto questo è presente, la musica e il teatro sono tutt’uno. Purtroppo non è né italiano né tedesco ma per fortuna usa le nostre due lingue per esprimersi…”.