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Il Werther di Vizioli e Pasqualetti, la nuova produzione del Teatro Sociale di Como

Werther (photo: Alessia Santambrogio)

Werther (photo: Alessia Santambrogio)

E’ stato veramente emozionante, e lo diciamo con sincerità e senza retorica, tornare a vivere il melodramma, dopo i mesi di forzata reclusione e prima della nuova interruzione, il 24 ottobre scorso al Teatro Sociale di Como per assistere al “Werther” di Jules Massenet con l’Orchestra I Pomeriggi Musicali, una grande e coraggiosa coproduzione che ha visto insieme i Teatri di OperaLombardia, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Verdi di Pisa e Fondazione Teatro Comunale di Ferrara.
Una scelta coraggiosa quella di predisporre un’orchestrazione con meno elementi, rimasti una trentina, ma pur sempre confacente all’impresa, e con una regia appropriata, pronta a salvaguardare le esigenze delle precauzioni da mettere in atto in questi momenti così difficili.

“Werther” fu composto in quattro atti da Massenet su libretto in francese di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, tratto – come suggerisce il titolo – dal romanzo epistolare “I dolori del giovane Werther” (1774) di Goethe.
La prima rappresentazione in tedesco avvenne il 16 febbraio del 1892 alla Wiener Staatsoper, mentre nel nostro Paese debuttò a Milano il 1º dicembre 1894 per poi arrivare al Teatro alla Scala l’anno seguente, il 20 marzo 1895, nella traduzione di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci.

L’azione si svolge nel 1780 a Wetzlar, città nell’Assia, e ha al suo centro l’amore del protagonista per Charlotte, la figlia maggiore del Borgomastro della città, che tuttavia, legata da una promessa fatta alla madre morente, sposa un altro, Albert.
Invano Sophie, la sorella maggiore di Charlotte, cerca di consolare Werther, dichiarandogli il proprio affetto: il giovane vuole andarsene per sempre da quel luogo che gli procura solo dolore.
La vigilia di Natale però, come promesso, ritorna per un’altra volta da lei e riesce a strappare un bacio all’amata che, presa da diversi sentimenti, lo lascia solo. Ed è qui che Werther intona l’aria più famosa dell’opera (Pourquoi me réveiller).
Il giovane poco dopo si spara con le pistola che ha chiesto ad Albert e che, ancora per dovere, Charlotte gli ha consegnato; davanti a lui morente, la ragazza gli confessa la verità: lo ha sempre amato, e si rammarica di aver sacrificato i propri veri sentimenti a un giuramento.
Werther morirà così, con il conforto di questa pur tarda confessione (Là bas au fond du cimetière).

Un dramma lirico lo definì il suo autore, basato sul binomio di amore e morte, ma in cui si intrufola il dovere, in perfetta simbiosi (nel 1774) con gli umori del nascente Romanticismo. Un melodramma permeato dal riverbero poetico del ciclo di Ossian e da Klopstock, dove la natura tutto coinvolge (O nature, pleine de grâce, Reine du temps et de l’espace) e dove impera il destino, perché non vi è più, come accade invece di solito nell’opera ottocentesca, nessuna forte diatriba tra soprano tenore e baritono, ma dove, in modo assolutamente contemporaneo, nessuno comunica più con gli altri, lasciando alla morte il suo compito in un flusso di sentimenti che la musica accompagna dall’inizio alla fine.
E’ il dramma dell’amore sublimato di un eroe che vorrebbe rimanere sempre bambino perché ha paura del dolore di diventare grande.

Una musica e un impianto originali si imbevono di riflessi schumaniani e wagneriani, ma avvertiamo anche il contemporaneo Debussy, con citazioni dal “Serraglio” mozartiano con il “Viva Baccus” e la “Traviata” di Verdi, che riecheggiata dai gioiosi canti di Natale che entrano dalla finestra del protagonista morente (là era il carnevale).
Musicalmente ed emotivamente l’opera è divisa in due parti, riassunti perfettamente nei preludi del primo e dell’ultimo atto: nella prima parte l’orchestrazione segue idillicamente i sentimenti dei protagonisti, che si concedono ad un amore nascente, mentre nella seconda le passioni si fanno forti ed esplodono in perfetta sintonia con l’orchestra.

Così Stefano Vizioli introduce la sua regia minimalista, ma dai segni ben precisi: “Con lo scenografo Emanuele Sinisi abbiamo immaginato un grande foglio bianco accartocciato in alto da una mano nervosa, un foglio che talvolta accoglie parole che si compongono e scompongono, macchiate da un inchiostro che scola, diventa lagrima o sangue, un tentativo scenografico di rapportarsi allo stile epistolare della fonte originale tedesca”.
E in effetti il regista segue coerentemente il disegno di Goethe, con Charlotte che, ormai vecchia su una sedia a rotelle, leggendo le lettere del suo amato che non ha potuto o voluto amare (il romanzo è in forma di epistolario), ritorna indietro nel tempo, alla casa paterna, tra il vociare allegro dei bambini (bravi i ragazzi del Coro a voci bianche del Teatro Sociale di Como diretto da Lidia Basterretxea), ricordando l’incontro con Werther, i suoi tentennamenti tra lui e Albert e infine la morte del protagonista.

Ogni cosa è trasposta da Vizioli in modo chiaro, in una ricostruzione di pulita e semplice evidenza, che si specchia nei rapporti dei personaggi, nel loro muoversi nei diversi spazi immaginati sulla scena e costruiti con finezza e totale aderenza ai fatti raccontati.
Una messa in scena caratterizzata dai costumi di Anna Maria Heinreich, che ben si adattano alla rivisitazione teatrale del mondo dello scrittore tedesco, e dalle luci di Vincenzo Raponi, che entrano nei pensieri dei personaggi, i quali appaiono e spariscono a seconda dei loro sentimenti.
Forse a volte un po’ didascaliche le immagini create da Immaginarium, ma ne comprendiamo l’utilizzo in tal maniera, data la difficoltà dei tempi pandemici in cui viviamo, e che sacrificano in parte il rapporto di Werther e Charlotte nello struggente finale dell’opera.

Ci è piaciuta molto la direzione dell’orchestra dei Pomeriggi musicali di Francesco Pasqualetti, che riesce a sottolineare in modo congruo ogni momento di quest’opera non facile da rendere nella sua complessità, collocata com’è alla fine dell’Ottocento, in un periodo in cui tutto sta mutando, anche la musica, qui sorretta dai due giovanissimi interpreti principali, Valerio Borgioni e Mariangela Marini, vincitori dell’ultimo concorso AsLiCo per giovani cantanti lirici del 2020, due protagonisti sempre a loro agio nelle diverse tessiture vocali, che il capolavoro di Massenet contiene, e dal perfetto physique du rôle, reso sempre in modo naturale.

WERTHER
Drame lyrique in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann dal romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe
Musica di Jules Massenet
Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali di Milano
Orchestrazione di Petter Ekman
Prima rappresentazione: Vienna, Hofoperntheater, 16 febbraio 1892
Direttore Francesco Pasqualetti
Regia Stefano Vizioli
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Vincenzo Raponi
Video Imaginarium
Assistente alla Regia Pierluigi Vanelli
Scenografo collaboratore Eleonora De Leo
Maestro del coro delle voci bianche Lidia Basterretxea
Coro delle voci bianche del Teatro Sociale di Como
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Verdi di Pisa, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara

Personaggi e interpreti:
Werther Valerio Borgioni, Gillen Munguía
Le Bailli Alberto Comes
Charlotte Karina Demurova, Mariangela Marini
Albert Guido Dazzini
Schmidt Nicola Di Filippo
Johann Filippo Rotondo
Sophie Maria Rita Combattelli
Brühlmann Andrea Gervasoni
Kätchen Luisa Bertoli

SOLISTI CORO VOCI BIANCHE: Francesco Beschi, Sara Cattaneo, Emanuele Gnecchi, Sofia Mancuso, Anita Mazzoli, Ludovica Roncoroni

Visto a Como, Teatro Sociale, il 24 ottobre 2020

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