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Wonder Woman. Latella e Bellini contro la cecità della Giustizia

Wonder woman (ph: Andrea Macchia)

Wonder woman (ph: Andrea Macchia)

In scena al Teatro Astra di Torino fino al 21 gennaio quattro giovani e potenti attrici

Un pugno nello stomaco, questo “Wonder Woman” di Antonio Latella e Federico Bellini, in scena al Teatro Astra di Torino fino al 21 gennaio, nell’ambito di una stagione che ruota intorno al tema della cecità, intesa come caratteristica che mettiamo in atto quando ci rifiutiamo di vedere la verità, la nascondiamo, la camuffiamo o, come in questo caso, la ribaltiamo.

Un pugno nello stomaco è la vicenda di cronaca da cui lo spettacolo è tratto, ossia l’iter giudiziario, con annesso scalpore mediatico, subìto da una ragazza peruviana di Ancona che, dopo aver coraggiosamente denunciato lo stupro di gruppo a cui era stata sottoposta, si è vista passare dal ruolo di vittima quasi a quello di imputata.
Le quattro giudici chiamate a deliberare sull’accaduto l’avevano infatti ritenuta ‘troppo mascolina’ (sul cellulare di uno degli stupratori la ragazza era registrata con il nome di ‘Vichingo’) per riuscire a destare nel branco anche solo il desiderio sessuale. E la sentenza, in seguito rovesciata, che aveva portato all’assoluzione degli stupratori, non risale al secolo scorso, ma a meno di dieci anni fa.

Un pugno nello stomaco è la restituzione drammaturgica, firmata da Antonio Latella e Federico Bellini, di questa vicenda: un flusso ininterrotto di parole che, per almeno tre quarti della durata dello spettacolo, a ritmo serrato, ripercorre le violenze vissute dalla ragazza. Dalla violenza sessuale alle ciniche e quasi surreali reazioni di chi aveva il compito di raccoglierne la denuncia, dal ributtante processo giudiziario a quello mediatico, fino al rinnegamento della figlia da parte del padre perché “una figlia così” non la si vuole più.

Le voci sarcastiche degli aguzzini, quelle indifferenti o allusive del commissariato, quelle offensive della sentenza, il blablà infinito dei media, lo sconcerto della madre che – unica voce fuori dal coro – si traduce poi in sostegno e orgoglio per la figlia: tutto risuona nella mente della ragazza, parole che si fondono e confondono con i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue emozioni.

In piedi, in proscenio, su un palco praticamente spoglio, quattro giovani e talentuosissime interpreti (Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara e Beatrice Verzotti) rovesciano sul pubblico questo flusso di parole e ferite in un’equilibratissima partitura che non consente replica né respiro.
La verità richiede di essere raccontata così com’è, senza sconti né retorica, ed è faticosa da ascoltare, scomoda e penosa, tanto più che la distanza tra attrici e spettatori è minima, resa ancora meno percepibile dalla luce quasi piena che investe entrambe le parti.

Da Vichingo a Wonder Woman (l’eroina disegnata dal fumettista e psicologo William Marston, inventore tra le altre cose della macchina della verità), costretta a difendersi e combattere come una moderna amazzone, la protagonista si fa portavoce di una lotta ancestrale al patriarcato, riemersa oggi con potenza nelle piazze e nelle città italiane, acquisendone slogan, grida e rivendicazioni. Il suo grido di denuncia, altissimo e feroce, si estende a ogni forma di violenza subìta dalle donne – fisica, culturale, politica, psicologica -, è un urlo che ha bisogno di essere amplificato (a un certo punto le attrici afferrano i microfoni per gridarci dentro tutta la loro rabbia) ma che, raggiunto l’apice, lascia spazio a un silenzio assordante.

Nell’ultima parte dello spettacolo a parlare è solo più il corpo. Ancora una volta non un solo corpo, ma quattro, insieme, in una partitura rallentata e perfettamente equilibrata che fa da contrappunto a quella verbale e frenetica della prima parte, e che trasporta definitamente la vicenda in una dimensione universale, quasi mitologica.
Via dai piedi le scarpe rosse, gettate ai bordi del palcoscenico. Come in un rituale, le attrici indossano ora, una dopo l’altra, ingombranti collane colorate, via via sempre più strette attorno al collo. E se l’impressione iniziale è che si tratti di vivaci e innocui ornamenti sudamericani con cui abbellirsi, viene poi a poco a poco fugata dal generale senso di soffocamento, nausea e desiderio di ribellione che trascina con sé anche il pubblico in sala.

Ridotti al minimo, ma studiati ed efficaci, i commenti musicali e la regia delle luci, in uno spettacolo che punta all’essenzialità e che, nel mettere in scena la verità, non cerca gratificazioni ma obbliga alla riflessione.

WONDER WOMAN
di Antonio Latella e Federico Bellini
regia Antonio Latella
con Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti
costumi Simona D’Amico
musiche e suono Franco Visioli
movimenti Francesco Manetti, Isacco Venturini
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Stabilemobile

Durata: 1h 20’
Applausi: 3’

Visto a Torino, Teatro Astra, il 14 gennaio 2024

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