«Quel diverso che ci fa paura»: Zygmunt Bauman intitolava così, anni fa, un articolo a proposito del pregiudizio e dell’intolleranza diffusi in Europa occidentale, profilando l’affermazione delle destre xenofobe.
Tre proposte teatrali milanesi rievocano, in prossimità della Giornata della Memoria, tragedie mai sopite come l’Olocausto, o si focalizzano sui drammi del presente: muri che si alzano, frontiere che si chiudono, insofferenza crescente verso chi non è omologato.
Ieri gli ebrei erano considerati portatori di ogni genere di vizio; oggi stranieri, clandestini e rom sono bersaglio di nuove apartheid. La discriminazione è il filo conduttore delle tre pièce: “Il mulo che riconobbe una SS” di Monica Bonomi e Andrea Parazzoli; “Alegher – Che fatica essere uomini” di Icdun Teatro; “Patricia nella città di zero” di Francesca Biffi, Simona Cosentino e Martina Rigotti Paba di Locanda Spettacolo.
Ne “Il mulo che riconobbe una SS” la tragedia trasuda speranza. Alla banalità del male si contrappone l’ingenuità del bene. Una vicenda buffa e onirica è messa in scena con linguaggi eterogenei che coniugano comicità vernacolare, movenze d‘arte circense e inserti surreali di varietà.
Lo spettacolo di Bonomi e Parazzoli, di scena al Teatro della Contraddizione, percorre un capitolo di storia italiana.
Si entra in temperatura già nel foyer. Gli spettatori ricevono bigliettini numerati. Vengono etichettati, esattamente come avveniva nei lager. Ma una volta entrati in sala, l’atmosfera si ribalta con risvolti felliniani, il buio e il sottofondo di un treno in marcia.
Ogni spettatore ha la possibilità di affidare a un foglio i propri pensieri, evanescenti come quelli della voce narrante. Il ricordo si coagula nella storia di un uomo semplice, un giovane originario di Brindisi, costretto per la guerra a prendere servizio tra gli alpini. Nell’ambiente ostile delle montagne del Nord, nella vita di caserma, con il nazismo alle porte, un’anima candida si trova ad affrontare l’epopea dell’Italia divisa tra repubblichini e partigiani. Un mulo diventa amico fidato, l’unico capace di smascherare una SS. Una storia semplice, il cui messaggio sarebbe forse stato più efficace se la regia non avesse giocato al rialzo con la commistione di generi e registri, finendo col mettere in campo troppe suggestioni.
“Alegher” di Icdun Teatro, lavoro di Eugenio Vaccaro e Alessandro Angelelli, anch’esso in scena alla Contraddizione, mostra il volto sempre attuale della discriminazione.
Lo spettacolo racconta il dramma dello straniero che passa tra la folla distratta, che sente addosso il peso del pregiudizio, gli sguardi di disprezzo, il disgusto e la pena che gli riserviamo noi europei.
Alegher è un uomo sempre allegro che racconta una storia molto triste: un viaggio in mare su un gommone, insieme a dodici persone; la paura di morire; la voglia di ricominciare non appena si tocca terra.
Alegher si rivolge al pubblico offrendo del tè e parlando di sé, del proprio paese di mare in cui c’è puzza di pesce, mentre le vetrine italiane profumano di ammoniaca. Ma qui lo sporco è qualcosa che viene da dentro, che nasce dall’anima. Alegher parla della sua attività di venditore di rose, un bel lavoro in cui la discrezione è tutto. Gli sguardi di disprezzo gli pesano. E Alegher non li regge. Si spoglia dei propri abiti e della propria identità. Indossa una tunica. Con voce a tratti distorta da un’interferenza acustica, snocciola il peggio degli stereotipi razzisti 2.0, interrotti di tanto in tanto da interviste registrate agli xenofobi di ultima generazione.
Un razzismo accettato e manifestato persino da coloro che ne sono colpiti, sfocia in delirio, fino all’esortazione finale di coltivare l’odio.
Un’ottima idea di teatro civile, che però eccede in retorica e pecca d’originalità, proponendo una figura di straniero eccessivamente manierata. Interessante è invece l’accompagnamento sonoro e musicale, e l’inserto d’interviste registrate da cui emerge l’intolleranza dei nostri giorni.
Altro bersaglio del fanatismo occidentale sono i rom, gruppo etnico su cui grava un pesante pregiudizio di cui portano testimonianza Francesca Biffi e Jovica Jovic con “Patricia nella città di zero”, presentato a IT festival.
Patricia (Francesca Biffi) è una giovane donna di origine rom orgogliosa della propria cultura, di cui illustra i principi sacri: l’ospitalità e la generosità. Appartiene a un gruppo dedito agli spostamenti, e così un giorno approda nella “città di zero”, luogo dai contorni indefiniti in cui si riconoscono i tratti di una città occidentale, meta ambita, simbolo di speranza ma anche di grandi illusioni.
Ad accompagnarla c’è la fisarmonica di Jovica Jovic, che impreziosisce lo spettacolo con la storia della propria vita: nato da una zingara, ha pagato per tutta la vita la propria origine vista come marchio d’infamia da quel mondo occidentale economicamente progredito.
Nel suo racconto scorre un pezzo di storia contemporanea: quella che vede una parte d’Europa intenta a ricostruire e a godersi gli anni del benessere economico, e la parte orientale del continente dilaniarsi in terribili guerre civili.
Con una drammaturgia forse un po’ disomogenea, i generosi e intensi Francesca Biffi e Jovica Jovic rendono omaggio ad uno dei gruppi etnici più ingiuriati dal pregiudizio, e mostrano – impietosamente – il grado d’intolleranza del nostro tempo.
IL MULO CHE RICONOBBE UN SS
di Monica Bonomi
musiche di Andrea Parazzoli
con Monica Bonomi e Andrea Parazzoli
consulente dialettale Paola Grande
Visto a Milano, Teatro della Contraddizione, il 27 gennaio 2017
ALEGHER – CHE FATICA ESSERE UOMINI
di Icdun Teatro
di e con Eugenio Vaccaro e Alessandro Angelelli
soundscape Massimo Airoldi e Giacomo Valentini
Visto a Milano, Teatro della Contraddizione, il 27 gennaio 2017
PATRICIA NELLA CITTÀ DI ZERO
di Locanda Spettacolo
con Francesca Biffi e Jovica Jovic
musiche dal vivo di Jovica Jovic
testo e regia di Francesca Biffi
collaborazione ai testi di Simona Cosentino e Martina Rigotti Paba
Visto a Milano, Villa Viva, il 29 gennaio 2017