YC4D / La danza filosofica sorprende in Blitz Metropolitani

I Blitz di Interplay fotografati da Daniele Martinello
I Blitz di Interplay fotografati da Daniele Martinello

Ad aprire, in un assolato sabato pomeriggio, i Blitz Metropolitani del festival Interplay di Torino – che invadono piazze e luoghi della città per portare la danza contemporanea anche tra il pubblico più casuale – è il duo di giovani coreografi ed interpreti Nicola Marrapodi e Roberto Orlacchio, sostenuti dalla compagnia Danse Ensemble Opera Studio in collaborazione con il network Anticorpi XL.

Nella cornice, già di per sé scenografica, di piazza Vittorio Veneto presentano “La partita sull’aria”, performance che, dichiara Roberto Orlacchio, “nasce essenzialmente dalla relazione fra i corpi nello spazio. Importante, per noi, è stata la lezione filosofica di Merleau-Ponty, di Tonino Griffero e di tutta la fenomenologia tedesca per quanto riguarda l’idea di atmosfera, così come la riflessione di Lévinas sugli spazi del Medesimo e dell’Altrui”. Una concezione dello spazio, dunque, non come semplice involucro o contenitore geometrico-astratto di (s)oggetti, bensì come spazio predualistico, significativamente ed affettivamente connotato da un corpo-proprio sempre incarnato nella simultaneità ambivalente del percepire e dell’essere percepiti.

Quella del duo Marrapodi-Orlacchio si configura come una danza di eterei spiritelli del vento che si rincorrono, si incalzano ed acciuffano, giocando con l’elasticità della distanza, simulando transitorie lontananze al solo scopo di colmarle repentinamente nel ricongiungimento impetuoso di un tango o negli amplessi sfiorati dei corpi avvinghiati sul terreno. Sono baruffe di nuvole, scorribande di cirri irrequieti intenti a misurare il cielo a grandi passi, disegnando curvilinei arabeschi con ampi movimenti degli arti, che simili a volute di fumo contribuiscono a veicolare l’impressione complessiva di una (in)sostenibile leggerezza.
Spesso i due danzatori tendono a polarizzarsi sugli angoli opposti del perimetro di ballo, in una dialettica di attrazione e repulsione magnetica, di esecuzioni speculari sincronizzate o reduplicate da una sorta di effetto eco motorio che si riverbera da un ballerino all’altro. I due corpi, apparentemente senza peso né attrito, si sollevano e manipolano, scolpendo e guidando i reciproci movimenti come burattinai che giochino, attraverso fili invisibili, con la mutua vulnerabilità.
Cercarsi, trovarsi, prendersi, lasciarsi e di nuovo smarrirsi: variazioni sul tema della coesistenza, della condivisione di uno spazio fisico ed emozionale comune, in cui decadono i confini di partizione tra l’identità e l’alterità, tra il dentro e il fuori, e si accede all’intero, all’unità primigenia e compenetrativa dell’Essere nella mobilità fugace del suo divenire.

Dalle vertigini dell’atmosferiologia del duo Marrapodi-Orlacchio si passa alla terrestrità lirico-mistica del short format “Dei crinali” di Manfredi Perego – produzione MP.ideograms con il sostegno di TIR Danza – che ha debuttato nel 2015.
“Dei Crinali”, ci spiega il suo autore, “parla del desiderio di ascendere e dell’inevitabile caduta. […] È nato da una passeggiata in crinale, da una camminata in montagna al parco dei Cento Laghi. Quando mi sono trovato nel crinale in mezzo alla nebbia, completamente sospeso su tutto, mi sono detto: ‘Voglio parlare di queste sensazioni e anche della fatica che ho fatto ad arrivare qui”.

Ad esibirsi, in un clima di rarefatta bellezza d’alta quota, è un trio di kouroi dalla virile flessuosità, che ricordano per fisicità e passi gli efebi spartani delle gimnopedie o gli euritmici danzatori di Henri Matisse: Manfredi Perego, Andrea Dionisi e Maxime Freixas sono impegnati per quasi tutto il corso della performance in plastiche figure ricorsive di gruppo, sviluppate alternativamente sulle linee di forza in dissidio della verticalità e dell’orizzontalità o di vorticosi mulinelli individuali.
In una delle combinazioni statiche più ricorrenti uno dei tre performer si carica gli altri due sulla schiena, come a voler riprodurre con i corpi il profilo roccioso delle creste montuose e il relativo conatus ascensionale ed ascetico. Sul sottofondo di una musica quasi iniziatica, queste forze titaniche e ctonie si coagulano in brevi figure e scindono in estasi isolate, come massi erratici sempre esitanti tra la fluidità dell’ardito volo solitario e la vischiosità del riagglutinamento nel triangolo materico.
Ad ogni azione, in quello che pare un reiterato esercizio zen di stone-balancing, i tre interpreti sembrano smarrire l’equilibrio e ritrovare a fatica il proprio baricentro, rinnovando ogni volta il tentativo – vano – di lib(e)rarsi dal suolo, eradicarsi ed elevarsi, come Prigioni michelangioleschi, dall’amorfa e solida resistenza della pietra. Ad alimentare lo streben, spiega Manfredi, è il concetto di crinale non tanto come limite di separazione fra terra e cielo, ma come orizzonte di congiunzione fra le due dimensioni, dunque soglia di mutamento, spazio liminale di possibilità e di palingenesi.

La performance di Manfredi Perego nello sguardo di Beatrice Decaroli, YC4D
La performance di Manfredi Perego nello sguardo di Beatrice Decaroli, YC4D

A concludere magnificamente il trittico presentato in piazza Vittorio è “Ehiza”, di e con gli spagnoli Héctor Plaza e Agnes Sales: La Caccia o, potremmo ribattezzarla, il “Bellum omnium contra omnes” con cui il filosofo Thomas Hobbes descriveva lo stato di natura, privo di qualunque legge a regolamentare l’interazione fra prede e predatori. E pare infatti – complice forse l’inaspettato caldo estivo – di trovarsi nel cuore di tenebra del continente africano ad assistere, acquattati in religioso silenzio fra i bassi arbusti della savana, all’epico scontro tra due leoni che lottino per uccidersi. Una singolar tenzone omerica, una barbara e rituale danza di morte, non priva di sfumature erotiche, che fonde le figure in rotazione e le prese acrobatiche di coppia tipiche del repertorio break dance con l’eleganza stilizzata delle arti marziali.

La formazione sportiva dei due interpreti non tarda infatti a mostrarsi: l’atletico e disciplinato dinamismo di questi corpi ginnici dalle movenze quasi selvatiche, primitive, vibranti di forza e ferinità, viene magnificamente catalizzato nell’energico rigore di una partitura di movimenti agili e fulminei volti a sottomettere l’avversario. In scena, un duello all’ultimo sangue, sostenuto da musiche cariche di tensione, fra due belve che si fiutano, si braccano ed inseguono, imitando le posture di attacco degli animali selvaggi, che si agguantano mordendo il collo per immobilizzare l’avversario.
Similmente, i due ballerini si afferrano per la nuca, interrompendo l’azione del partner e scaricando, attraverso il contatto, la spinta violenta del gesto che diventa stretta passionale, quasi che il corpo dell’altro fosse materiale isolante pronto ad attutire l’aggressione.
Meraviglioso è l’assolo di Agnes Sales, pura esibizione di potenza intimidatoria, in cui la danzatrice usa le gambe come perno fisso ancorato al suolo per mobilitare tronco e spalle e trasformarsi in una sinuosa e possente fiamma che si innalza ed espande minacciosa verso quel nemico, l’uomo, che verrà infine sconfitto e trascinato brutalmente fuori scena in una prevedibile inversione dei ruoli di genere.

In chiusura di giornata, nel teatro crepuscolare della rinnovata piazza Carlina, Daniele Ninarello porta infine in scena “Songlines” insieme ai 17 perfomers de Il Corpo Intuitivo, gruppo permanente di ricerca e composizione all’interno del progetto “Still Body Experience with digital brain” sostenuto da Compagnia di Sanpaolo nell’ambito di “Ora!”, che quest’anno vanta anche la collaborazione dell’interaction designer Emanuele Lomello e dell’artista visivo Gigi Piana.

“Songlines è frutto di un laboratorio che nasce come gruppo di ricerca sulla composizione – ci racconta Ninarello – Sono danzatori e non, ricercatori in varie discipline, dal teatro alla danza, dall’arte contemporanea all’arte visiva e alla musica, che seleziono ogni anno e che da ottobre a maggio lavorano solo su pratiche di composizione, a partire dal corpo per espandersi allo spazio. Si tratta di una composizone istantanea attraverso pratiche che loro hanno allenato tutto l’anno”.

Photo: Daniele Martinello, YC4D
Photo: Daniele Martinello, YC4D

L’ensemble di ballerini si dispone nello spazio secondo una conformazione “a bouquet” artificiosamente randomica che richiama, forse non a caso, l’aleatorietà armonica delle costellazioni celesti. E proprio il carattere cosmico contraddistingue questa circoscritta flânerie urbana, questa deriva a tratti alienata ed irregimentata, che impone all’attenzione dello spettatore lo sforzo di una focalizzazione discontinua, frastagliata e quasi schizofrenica, richiedendole di distribuirsi su un quadro entropico di temporalità multiple e compresenti.
Entro il margine regolatore del cerchio-palco si anima progressivamente un alveare di convergenze e interferenze fra atomi in moto perpetuo, dove ogni danzatore-particella, impegnato com’è nel solcare traiettorie ellittiche o concentriche e nel disegnare imperscrutabili ed effimere geometrie, compie figure e movimenti diversi, contagiando gli elementi contigui con le proprie accelerazioni e decelerazioni in un’inarrestabile e fluttuante concatenazione.

Come satelliti vincolati alla propria orbita, mossi da un ignoto primo motore immobile sulle note di “Space Oddity” di David Bowie, i ballerini gravitano dunque fra nucleo e periferia, in simultanea dissonanza, alternando movimenti centripeti di aggregazione a dilatazioni evasive ed eversive in splendidi assoli centrifughi, e creando così una partitura intermittente di pieni e di vuoti in continua espansione e contrazione. Questi corpi che paiono costantemente posseduti dall’anelito e dalla frustrazione di un’impossibile comunicazione con i corpi a sé prossimi, rispondono a una precisa poetica di “spaesamento esistenziale” che non è solo la suggestione portante di “Songlines”, ma uno dei leit-motiv dell’attività artistica di Ninarello:”Sento i corpi disorientati, le persone disorientate. Sento che le persone sono mosse dal desiderio di trovare un’unità, un legame, con il fuori, con chi sta di fianco a loro”.

Proprio lui stasera presenterà a Interplay, in prima nazionale, “Still” realizzato con il dramaturg Enrico Pitozzi, “indagine sulla figura umana nel suo eterno tentativo di resistere alla minaccia della caduta”. Alle 21 alla Lavanderia a Vapore di Collegno, ad apertura della serata che vedrà protagonisti anche Pere Faura e Lucio Baglivo.

Photo: Beatrice Decaroli, YC4D
Photo: Beatrice Decaroli, YC4D
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