Mentre stasera a Torino torna la seconda tappa del festival Interplay, protagonisti Roberto Castello con “In girum imus nocte (et consumimur igni)“, e Andrea Costanzo Martini in “Trop”, oggi vi lasciamo allo sguardo giovane e fresco sulla serata d’apertura che ci offre Tobia Rossetti, studente del Dams di Torino, che anche in questa edizione ha scelto di partecipare al progetto Youngest Critics for Dance YC4D. Una passione, quella per la danza contemporanea, che Tobia coltiva già da qualche anno, e che ci traduce attraverso una rilettura efficace e attenta della serata.
Interplay/17 apre le sue porte all’insegna della nuova danza israeliana. A confrontarsi al Teatro Astra nella serata d’apertura del festival sono l’analisi di un corpo femminile esposto allo sguardo, condotta dalla coppia di coreografi Ivgi&Greben, israeliano il primo, olandese il secondo, e l’esposizione di tutto ciò che è (o non è) maschilità secondo Roy Assaf, uno dei più affermati coreografi israeliani del momento.
Una doppietta coerente e accattivante, che fa temere il boicottaggio contro gli artisti israeliani (poi non avvenuto), richiamando all’esterno del teatro la consueta camionetta della polizia, pronta a reagire ad eventuali manifestazioni. Il sold-out è immediato.
Il primo spettacolo, “Object”, è un solo veloce e drammatico scritto per una donna, la russa Alyona Lezhava, la quale, all’interno di un cerchio bianco disegnato sul palco, unica concessione ad uno spazio totalmente vuoto, fra l’iniziatico e il carcerario, si mostra al pubblico, vestita di cellophane e di uno strappo di nastro nero sulla bocca.
Il titolo pare far riferimento alla donna-oggetto che, per venti minuti, si muove sulla scena, coinvolgente anche nei momenti di silenzio, in una morsa da cui non ci si può esonerare, come a trovarsi nello stesso cerchio bianco insieme a lei.
Ad emergere con forza è un senso di sacrificio: una fisicità meccanica, un susseguirsi di movimenti precisissimi che, pur mancando di fluidità, evidenziano una forte necessità di espressione, limitata violentemente dallo scotch nero che la danzatrice porta sulle labbra. Alyona si sacrifica, negandosi davanti ai nostri occhi. Pare la traccia di una donna in lotta con il suo stesso corpo. Un corpo che non vuole più essere corpo, che cerca di alienarsi da sé stesso.
La sottomissione sembra allora prevalere sulla seduzione, fino a quando il corpo ritroverà libertà, riuscendo infine ad uscire dal cerchio che lo conteneva conflittualmente. Qui potrà, ora, spogliata del cellophane, muoversi intimamente a torso nudo come per la prima volta, tenendo le spalle al pubblico, fonte inesauribile di giudizio.
E’ una lotta che, in un cortocircuito tra estetica punk, virtuosismo agonistico e graffianti richiami alla prostituzione in ogni sua accezione, un corpo conduce contro sé stesso, una volta divenuto intollerabile al giudizio. Alyona ci conferma questa intolleranza quando all’improvviso rimuove il bavaglio nero che le censurava la bocca (e che inavvertitamente si stava scollando), lo accartoccia e lo ripone a terra. Un forte gesto drammaturgico che dà senso all’intero solo.
Si dichiara invece fin da subito più ironico il secondo spettacolo, “Boys”, che Roy Assaf compone per cinque uomini, ma che è forse adatto a rappresentarne ben di più.
A muoversi, su una scena ancora una volta minimalista, sono altri corpi sacrificati dagli stereotipi (seppur curiosamente molto diversi l’uno dall’altro per altezza, peso, muscolatura, provenienza…), che dentro ad una precisissima geometria maschile evocano cliché, banalità e ferite, giocando con continue affermazioni e negazioni di genere. Una “marcia del maschio” che, in negativo, sembra raccontare tutto ciò che il maschio non è.
La ricca partitura riesce ad alternare momenti di tensione a situazioni assolutamente autoironiche, in cui il potere incorporato dalla mascolinità ed il violento potenziale che essa custodisce al di là delle convenzioni, sembrano non voler venire mai veramente alla luce.
La risata del pubblico è catartica, laddove uno speaker registrato, elencando ogni immaginabile genere di musica disponibile sul mercato, sembra ricordarci che, a furia di generi e sottogeneri, abbiam perso di vista qualcosa di molto più importante. Già, perché l’uomo non è un genere. E lo stesso vale per la donna.
La protagonista del primo spettacolo, pur rivendicando con dosata irriverenza alcuni trascurati diritti di genere, non osa mai trascendere con decisione lo stereotipo. Così, quando quel corpo femminile sacrificato alla fine si libera, sceglie di farlo per sé, in una dimensione sacra, senza concedersi allo sguardo del pubblico.
Ogni suddivisione in categorie è pertanto un impertinente vezzo di chi osserva con giudizio. Questo sembrano comunicarci a gran voce gli autori della prima serata del festival torinese.
I “Boys” di Assaf, altrettanto sacrificati, non si libereranno mai dal personaggio da cui sono animati, ma al contrario si concederanno giocosi per tutta la durata dello spettacolo. Divenuti magicamente soldati nel finale, usciranno sconfitti dalla guerra, scoprendo che, di fatto, da conquistare non c’è mai stato niente.
TOBIA ROSSETTI – Youngest Critics for Dance 16/17