Target e protagonisti del progetto, in questa stagione sostenuto dalla Fondazione CRT, i ragazzi del liceo classico e della comunicazione Alfieri di Torino.
Perché se l’arte non vuole ridursi a parlare solo a sé stessa, o ad un ristretto ed elitario numero di persone, ha bisogno di mettersi in dialogo con un pubblico sempre più eterogeneo. Da qui la necessità, in un Paese come l’Italia, di andare innanzitutto a cercarlo e ad interessarlo, quel potenziale pubblico.
Noi (Natalia Casorati di Mosaico Danza e Klp) ci siamo dati una sfida alquanto difficile; cercare di instaurare questo dialogo con l’età forse più sfuggente di tutte: l’adolescenza.
Ecco perché sono due anni che coinvolgiamo un liceo, convinti che sia indispensabile cercare un contatto anche con i ragazzi di questa età, spesso dimenticati (come fruitori di arte) proprio perchè in una fase più complessa delle altre. O coinvolti solo in maniera coatta, forzata, quando obbligati dalla scuola a vedere qualche spettacolo o mostra, in maniera però tendenzialmente passiva.
Non vogliamo qui sfatare il mito sulla difficoltà dello smuovere interesse fra gli adolescenti; anche noi siamo testimoni di quanto sia impegnativo coinvolgere i ragazzi di questa età, ma forse non è poi tutta colpa loro, e val la pena chiedersi quanto influiscano, in questo, anche le scelte e le motivazioni degli adulti.
Proprio per tali ampi fattori perseveriamo nel progetto, convinti che sia ancora più necessario avvicinare i loro occhi a qualcosa di sconosciuto, che magari da subito crederanno di non capire neppure (ma chi di noi comprende tutti i significati di ciò che vede su un palco o dentro un museo?), ma che fa parte dei linguaggi della nostra contemporaneità.
Provare non solo a vedere, ma anche a ‘sentire’ e successivamente rielaborare insieme quest’esperienza per riuscire in qualche modo ad esprimerla, a raccontarla, è quanto proviamo a fare con i ragazzi che scelgono liberamente di partecipare a Youngest Critics for Dance. Non certo per far diventare tutti dei critici professionisti, semmai per accompagnarli in un processo di rielaborazione di un’esperienza spesso del tutto nuova, attraverso una comunicazione che, oggi più che mai, è in costante ridefinizione.
Fra tutti gli articoli scritti in questi mesi, Klp pubblica adesso, a fine progetto, quelli che ritiene più significativi del percorso svolto in questa stagione.
Oggi iniziamo con quello che trovate di seguito, firmato da Irene Thomos, che per il secondo anno ha deciso di partecipare a YC4D, e che chiude il suo articolo con il messaggio ereditato dall’incontro con due giovani coreografe, una sorta di incitamento che ci piacerebbe raggiungesse tutti gli adolescenti, che siano o meno youngest critics…
(Daniela Arcudi – Direttore responsabile KLP)
Incontrare altri ballerini è sempre fonte di riflessioni e di scambio. Quando poi si incontrano coloro che i ballerini li guidano, c’è sempre da imparare.
La chiacchierata fatta durante Interplay, alle Fonderie Limone di Moncalieri, con la coreografa inglese Jo Fong e la sua collega canadese Sarah Bronsard sfata la mia immagine del coreografo in là con gli anni e despotico.
Sono due donne giovani, molto calme, in un equilibrio esterno stupefacente.
Jo racconta come chi fa il coreografo non necessariamente lascia da parte il lavoro di ballerino, ma anzi scambiare i ruoli spesso è stimolante. E racconta quanto spesso questo scambio avvenga, dipende dalle emozioni del momento.
“Il lavoro che presento qui [il riferimento è a “Dialogue – A Double Act”, ndr] è nato da riflessioni sui rapporti umani e la coscienza del proprio io in relazione al mondo esterno. Mi pongo sempre la domanda: Come faccio a far vedere alle persone come mi sento?, e in questo caso ho lavorato su questa dinamica”.
Ed è proprio questo il cuore dello spettacolo: l’interazione tra pubblico e artisti sul palco. Lo sfondo è proprio la platea, proiettata a colori, con due performer sedute sul palco che salutano, chiacchierano eccitate in un inglese britannico perfetto e a tratti in un italiano comprensibilissimo.
Due sedie sulla scena e uno scambio fluido tra dialogo e danza, in cui lo spettatore è sempre coinvolto.
Sarah Bronsard spiega invece che, sempre partendo dal suo background personale, in uno spettacolo non c’è differenza tra coreografare e danzare, dal momento che lei sta ancora esplorando e studiando. Ha iniziato a ballare da piccola, rigorosissima danza classica, per poi smettere e riprendere a vent’anni col flamenco, parte integrante della sua danza di adesso. Una volta volata a Parigi ha iniziato il suo percorso con la danza contemporanea, il suo studio e la sua esplorazione.
“Ce qui émerge après (4kg)” (“Quello che emerge dopo (4kg)”) è un lavoro che trae origine dallo studio del precedente, “4 kg”: “Lo spettacolo parla di ciò che ottieni nella vita. Ho avuto una figlia, e questo mi ha ovviamente ispirata tantissimo. Stavolta ho lavorato anche sul suono e anche questo ha un legame con la vita e con l’ispirazione per lo spettacolo: ho ricreato il rumore simile al verso delle cicale attraverso marchingegni tutti collegati tra loro. La cicala vive ibernata tutta la vita, esce alla luce per due settimane, si riproduce e muore”.
Lo spettacolo è ammaliante, il cicalìo dei congegni sul palco avvolge lo spettatore, isolandolo dal resto.
È proprio Sarah che balla, al centro del palco, con le luci basse puntate su di lei. La componente del flamenco è immancabile, proprio come ci aveva anticipato lei stessa, e dà ritmo e carattere a tutta la rappresentazione.
La precisione dei movimenti richiama la meccanica dei congegni, il rumore dei tacchi sul pavimento scandisce la musica, creando una costante tra le luci che mutano e la musica stessa.
Il consiglio che le due performer lasciano a noi di Youngest Critics for Dance e a chiunque voglia intraprendere lo stesso loro percorso è semplice: “Be passionate, say yes, always learn” (“Siate appassionati, dite sì, imparate sempre”).