C’è un sottile filo rosso che unisce e congiunge la prima e la terza serata di Trend, Nuove frontiere della scena britannica, a cura di Rodolfo di Giammarco.
La rassegna teatrale, giunta alla sua ventesima edizione, rappresenta un tradizionale appuntamento romano, autunnale, nella cornice del Teatro Belli a Trastevere, con una programmazione che, dal 22 ottobre al 20 dicembre, porta in scena alcuni tra i più rappresentativi e rappresentati autori, giovani e meno giovani.
Tra i ventitré drammaturghi citiamo l’immancabile Caryl Churchill, Alexander Zeldin e il suo stile radicale, la poesia di Sabrina Mahfouz. Mostri sacri come Alan Bennett e Martin Crimp. Quest’ultimo viene spesso definito, nonostante lui rifiuti l’accostamento, come un esponente del “in-yer-face”. Una scena, un genere di teatro che si è sviluppato in Gran Bretagna, negli anni ’90, caratterizzando il suo stile sulla linea del conflitto e della sensibilità.
Puntando i riflettori e l’attenzione su “Beyond Caring” di Alexander Zeldin e “Playing Sandwiches”, balza e non sfugge allo sguardo un primo, evidente, collegamento tra le due opere rappresentate. Entrambe hanno a che fare con il binomio pulire/sporcare. O forse solo con una certa impurità che può manifestarsi in forma reale, immaginaria, corporea, mentale, indefinita.
Al regista Giacomo Bisordi spetta l’onore e l’onere di iniziare per primo l’edizione del 2021 di Trend. Per la sua versione di “Beyond Caring” sceglie la formula della mise en espace, un espediente a metà strada tra la lettura interpretata e una prima bozza di allestimento. Una modalità concepita solitamente per dare importanza e respiro al testo. Spesso può nascere un dibattito tra l’autore, il regista e il pubblico, e quando ciò accade regala momenti di restituzione e di condivisione preziosi. È una forma di teatro con un’organizzazione democratica, all’interno della quale gli spettatori possono immaginare i luoghi, le azioni, le evoluzioni di una narrazione con un ampio margine di libertà.
“Beyond Caring” è una commedia attuale, un ritratto affilato sul dopo Brexit della Gran Bretagna, ma potrebbe contemporaneamente essere l’altra parte del continente, tanti altri contesti geopolitici. Parla di una classe sociale invisibile, di storie e di vite precarie, a salario minimo.
Alexander Zeldin costruisce un gioco ad incastro usando come ingredienti l’autenticità e la brutalità delle relazioni nei contesti lavorativi con un pizzico di umorismo cupo.
Quattro persone vengono selezionate da un’agenzia interinale per fare il turno di notte in una fabbrica di carne. Si incontrano lì per la prima volta. Sono addetti alle pulizie e sono tutti con contratto a zero ore. Ad ogni turno, puliscono. Ogni quattro ore fanno una pausa. Bevono, leggono riviste, chiacchierano insieme. Quando finiscono vanno a casa o a fare un altro lavoro. E il ciclo va avanti così finché non succede qualcosa e le persone si avvicinano troppo fra di loro. Troppo velocemente e drammaticamente.
Un dubbio, tuttavia, emerge assistendo alla versione in italiano di Giacomo Bisordi, e riguarda proprio la declinazione della formula della lettura scenica. La regia, a tratti, prende il sopravvento, con una struttura più che definita e delineata, con una serie di dinamiche e movimenti precisi, musiche, uso delle luci e oggetti di scena. Al punto da sembrare quasi un accessorio superfluo il copione, in mano agli attori, avendo già loro stessi una padronanza, una consapevolezza dello spazio e, soprattutto, una memoria salda. Questo dettaglio di sovrabbondanza porta con sé l’interrogativo: è o non è uno spettacolo già confezionato?
“Playing Sandwiches” è un testo scritto nel 1998 da Alan Bennett, diretto e interpretato da Arturo Cirillo, con la traduzione di Mariagrazia Gini; con il titolo “Il gioco del panino” è andato in scena dal 29 al 31 ottobre.
Il monologo di Bennett racconta, in un’ora circa, la storia di un addetto alle pulizie di un parco locale. Wilfred si lamenta dei preservativi e dei malati che, quasi ogni mattina, trova fra quei cespugli che, alla fine, porteranno l’uomo verso la sua rovina.
Fin da subito è difficile immaginare che Wilfred possa essere un personaggio negativo, anche perché le eloquenti espressioni del viso di Arturo Cirillo, il suo tono di voce confidenziale, spingono nella direzione opposta. Sembra un uomo mite e, in modo preoccupante, rimarrà a lungo inoffensivo. Una piccola crepa emerge e irrompe nella quotidianità della sua storia, direttamente dal suo passato. Un sospetto prende forma quando i datori di lavoro di Wilfred non riescono a trovare tracce di lui, delle sue esperienze passate, sul computer del consiglio. Ciò viene inizialmente attribuito a problemi tecnici, ma sono determinati – dicono – ad andare fino in fondo.
Ancora più logorante è la sua amicizia con una bambina, la quale frequenta quel parco insieme con la sua mamma. Questo perché nella nostra epoca è praticamente impossibile concepire una relazione tra un uomo adulto e una bambina che non sia sua figlia. Il monologo non contiene però colpi di scena o sorprese. Non sono previsti né dalla scrittura di Bennett, né tantomeno dall’interpretazione di Cirillo che, anzi, asseconda questa direzione di allontanarsi dalle etichette e dalle parole che definiscono, che incitano al ribrezzo e alla condanna morale.
Il nodo centrale di “Playing Sandwiches”, per Bennett, è la presunta umanità di Wilfred: i riflettori sono puntati su questo. Cirillo offre una straordinaria interpretazione del protagonista. La straordinarietà consiste nel non fare qualcosa di fenomenale, di grande. Nell’abitare al minimo la vita ordinaria di un uomo piccolo. Facendolo vivere con poco, con l’essenziale. Una persona che potrebbe risultare anche simpatica, che compra e offre caramelle alla liquirizia, che si impegna per mantenere pulito un luogo pubblico ed è orgogliosa del suo lavoro.
Wilfred è un personaggio difficile da portare in scena. Non è un mostro, ma è un uomo sposato, che non ha avuto figli a causa di una malformazione dell’utero di sua moglie, che gioca sovrapponendo le mani una sull’altra, come un panino, e che agisce con impulsi terribili. Bennett non fornisce dettagli scabrosi e Cirillo farà altrettanto.
Il pubblico vedrà da solo ciò che vedrà, che immaginerà, che ricorderà con i propri occhi e la propria mente. Per fare veramente tutto questo non serve un dispositivo scenico dello spettacolo ad hoc, non serve scegliere tra una modalità o un’altra, come se fossero un vestito da indossare. In “Playing Sandwich” non ci sono offerte di conforto, la leggerezza della liberazione, né battute o commenti ironici.
C’è solo una descrizione precisa, non ambigua, di come la vita si può combinare inevitabilmente con l’oscurità. E Arturo Cirillo tiene il tempo con abilità ed esperienza, il ritmo di Bennett.
Uscendo dal Teatro Belli una considerazione finale invade i pensieri e le emozioni, ossia quanto la lingua inglese consenta un gioco drammaturgico e letterario meraviglioso. Una sorta di “hide and seek” che non vuol essere e non è un nascondersi o nascondere qualcosa tra le parole. Ridurre al massimo gli orpelli è la sfida per realizzare momenti di verità e bellezza, ma questa è un’altra storia.
BEYOND CARING
di Alexander Zeldin
reading – regia di Giacomo Bisordi
con (in o.a.)
Massimiliano Aceti
Caterina Carpio
Eny Cassia Corvo
Elisabetta Mandalari
Francesco Russo
traduzione Serenella Martufi
aiuto regia Mario Scandale
assistente alla regia Paolo Costantini
foto di scena Manuela Giusto
Una produzione Teatro Vascello – La fabbrica dell’attore
Si ringrazia il Teatro di Roma – Teatro Nazionale
applausi del pubblico: 3′
PLAYING SANDWICHES (IL GIOCO DEL PANINO)
di Alan Bennett
interpretazione e regia Arturo Cirillo
scena Dario Gessati, costumi Stefania Cempini, luci Mauro Marasà
direttore tecnico allestimento Roberto Bivona, tecnico Jacopo Pace
amministratore compagnia Serena Martarelli
assistente scenografa Mariam Zamiri, direttore di produzione Marta Morico
distribuzione, produzione Alessandro Gaggiotti
assistente di produzione Claudia Meloncelli
amministrazione produzione Katya Badaloni, contabilità Laura Fabbietti
responsabile comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo
grafica Fabio Leone, foto di scena Giulia Di Vitantonio
traduzione Mariagrazia Gini
produzione MARCHE TEATRO
in accordo con Arcadia & Ricono Srl, per gentile concessione di United Agents LLP
applausi del pubblico: 1′ 50” (Arturo Cirillo ha invitato il pubblico a non eccedere)