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Zombi tra noi. Intervista a Elvira Frosini e Daniele Timpano

Daniele Timpano|Timpano e Frosini nello spettacolo|Zombitudine 2013

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Timpano e Frosini nello spettacolo
Timpano e Frosini nello spettacolo (photo: Donato Aquaro)

Gli Zombi camminano di nuovo (e quando hanno smesso?) tra di noi.
Ci hanno pensato Elvira Frosini e Daniele Timpano, consolidato sodalizio non solo artistico, a ricordarcelo. Con passione, stanno contaminando in questi giorni Genova e il Teatro della Tosse con la loro “Zombitudine”.

All’interno della rassegna “Cantiere Campana” ha qui debuttato a fine novembre e ci rimarrà fino all’8 dicembre, per poi proseguire a La Spezia (dal 10 al 14) per “Fuori Luogo”.
Intanto andiamo a fare insieme quattro passi nel delirio Zombi con Elvira Frosini e Daniele Timpano.

“Zombitudine is coming”. O sarebbe più corretto “Zombitudine came, a long time ago”…
Sì, la Zombitudine ha una lunga storia. Lo Zombi, come tutti i mostri creati dall’immaginario collettivo, ha radici antiche. Le affonda nel passato coloniale occidentale, un essere privato di volontà che esegue lavori per il padrone, come i negretti nelle piantagioni, come gli italiani nelle miniere in Belgio, come l’operaio alla “catena”, come lo schiavo sotto le piramidi, come il pollo in batteria.

Dagli anni ’60 lo Zombi è stato trapiantato nelle nostre città occidentali. L’anno di nascita dello Zombi-massa, forse non a caso, è il 1968: “La Notte dei morti viventi” di George Romero. Per la prima volta vediamo dei morti che camminano in gruppo, lentissimi e cannibali, in uno scenario del tutto familiare ai vivi. La minaccia diventa globale, i morti ritornano e reclutano i vivi. Come tutto, come tutti, anche lo Zombi ha subìto diverse evoluzioni, si evolve e cambia, fino ad arrivare al mostro veloce che vediamo oggi sugli schermi cinematografici e nelle serie tv. In fondo in fondo, questo mostro sospeso tra vita e morte è il nostro rimosso, la nostra morte rimossa, la nostra acquiescenza, la nostra impotenza. Ma stiamo dando già troppe, e forse fuorvianti, chiavi interpretative.

Come si affronta insieme una Zombitudine?
Si affronta come un lavoro concepito e realizzato insieme, in tutto. Siamo stati chiusi in un agriturismo vicino a Sarzana tutto agosto, ospiti di uno dei nostri co-produttori [“Fuori Luogo”: con amnesiA vivacE e Kataklisma, gli altri sono Teatro della Tosse e Teatro dell’Orologio, ndr]: giornate intere davanti ad un monitor a scrivere e scrivere, a due passi da un mare che non abbiamo visto, a spremerci il cervello, a scavarci occhiaie e borse sotto gli occhi. Comprando le verdure dal contadino dell’azienda agrituristica: zucchine, pomodori, melanzane, cipolle rosse buonissime a colazione, a pranzo, a cena… Vita da drammaturghi? Non sappiamo. Sicuramente, nonostante la fatica, siamo stati benissimo. Quasi una vacanza, in isolamento, lontani dalla nostra Roma maledetta sempre più allo sfascio.
Dopo l’esperienza radicale di “Aldo morto 54” al Teatro dell’Orologio avevamo bisogno di tre mesi di vacanza su un’isola deserta come in “Paradise” o “Laguna Blu”, e invece abbiamo dovuto ricominciare subito a lavorare. Genova ci stava aspettando.

Photo: Donato Aquaro

È un progetto ben strutturato, non trattandosi del solo spettacolo…
È composto di tre principali articolazioni: lo spettacolo (dove siamo in scena noi due), il progetto Walking Zombi (che prevede una serie di azioni urbane), il laboratorio Corpo morto (finalizzato alla creazione del gruppo di lavoro che realizzerà le Walking Zombi). In sostanza, “Zombitudine” prevede la realizzazione di un workshop nei giorni precedenti le repliche, la creazione di un gruppo di performer-Zombi su piazza e la realizzazione di alcune performance urbane nelle città dove passa lo spettacolo.
Sinora i nostri Zombi – pacifici, molto arrabbiati ma anche molto depressi, non sanguinolenti, non truccati, per nulla splatter o carnevaleschi – hanno invaso diversi spazi cittadini. A Genova, per esempio, a Palazzo Ducale li abbiamo fatti fucilare da una mitragliata sulla scalinata. Palazzo Ducale, per chi non lo ricordasse, è dove nel 2001 si riuniva il G8…

Come sono state le reazioni dei passanti?
Le più disparate: da chi ci ha seguito, fotografato, ripreso e applaudito durante i percorsi, ai bambini che ti seguono dondolanti prendendoti in giro, al vecchio signore che ti passa vicino e ti grida in faccia che quello che stai facendo è “oltraggioso”, fino all’anonimo vigliacco che ti tira le uova addosso da una finestra.

Avete anche istituito una specie di concorso per il testimonial “Zombitudine”: manda la tua foto…
Sì, abbiamo lanciato questa sorta di appello e ci stanno arrivando molte foto, non soltanto da Genova, ma un po’ da ovunque. Gente che si fa fotografare (o che fotografa i propri figli, i propri animali domestici etc.) con i nostri flyer dappertutto. Gli Zombi sono ovunque, ci raggiungono ovunque… Stiamo cercando però di mantenerci il più possibile localizzati sul territorio dove siamo al lavoro, dove chi posta una foto può essere un futuro o passato spettatore, o semplicemente uno che ci ha incontrato per la strada durante una delle nostre Walking Zombi.

Daniele Timpano (photo: Donato Aquaro)

La passione Zombi dilaga. Sono tutti messaggi di soccorso, come il suicida che ne manda prima dell’estremo gesto?
Lo Zombi fa presa, affascina da sempre. Sembrava in declino, ed invece è sempre più in auge. Sarà che il mostro dormiente che ci portiamo dentro ci attrae sempre di più, una sorta di esorcismo, o appunto l’estremo messaggio.
La nostra fine, l’apocalisse, ci affascina, da sempre. Le nostre principali suggestioni, oltre ai fondamentali film di Romero e allo “Zombi 2” di Lucio Fulci sono state altre. Ne citiamo alcune tra le più significative: la serie inglese “Dead Set”, bellissima, o l’esilarante serie “Zombis” dello spagnolo Berto Romero, tutta realizzata con camera fissa e fatta con due soldi e tante idee; il film “Les Revenants” di Robin Campillo; il bel libro di Giacomo Papi “I primi tornarono a nuoto”, e quello di Saramago “Le intermittenze della morte”; alcuni bei saggi (“Lo scambio simbolico e la morte” di Baudrillard, “Resti di umanità” di Adriano Favole); la rilettura delle epistole di San Paolo e la consultazione de “I Principi di Origene”. E come già per lo spettacolo “Ecce robot!”, i fondamentali saggi di Marco Maurizi.

E’ uno spettacolo rosso sangue, o il verde acido del materiale promozionale si trasformerà nella serenità, verde prato, di un abbraccio? Scusate la poesia…
A noi l’intero spettacolo appare, complessivamente, di una tristezza spaventosa e di una disperazione mai toccata prima. In particolare il finale. Non c’è gag e momento divertente del lavoro che contrasti questo senso di totale assenza di futuro, di sconfitta, di rabbia repressa, di sfiducia, di paura, di impotenza che traspare da ogni parola del testo che abbiamo scritto. Non è uno spettacolo horror ma sull’orrore del presente e della vita che viviamo – speriamo non per sempre.

Di quest’esperienza mancano solo una versione a fumetti e un album di figurine…
Per il momento stanno finendo i soldi da investire. Ma ci piacerebbe moltissimo, anche perché la grafica di “Zombitudine” (curata da Valentina Pastorino e Antonello Santarelli) piace a tutti. Vedremo!

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