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Zoo di Sergio Blanco. Al Piccolo Teatro, attenti al gorilla!

Zoo di Sergio Blanco. Foto © Masiar Pasquali

Zoo di Sergio Blanco. Foto © Masiar Pasquali

Lino Guanciale, Sara Putignano e Lorenzo Grilli in prima nazionale, fino al 5 maggio, al Piccolo Teatro di Milano, che produce lo spettacolo

«Eccomi di nuovo al mare / la luce del sole riempie i miei capelli / e i sogni sono appesi all’aria / gabbiani nel cielo e nei miei occhi blu / sai che sembra ingiusto / C’è magia ovunque / guardami mentre / me ne sto qui da solo di nuovo / proprio alla luce del sole / Non c’è bisogno di correre e nascondersi / è una vita meravigliosa».

È “Wonderful life” di Black, hit della seconda metà degli anni Ottanta interpretata dal vivo da Lino Guanciale alla chitarra elettrica e da Sara Putignano alla voce, ad avviare “Zoo”, spettacolo del drammaturgo e regista franco-uruguaiano Sergio Blanco, produzione Piccolo Teatro, in prima nazionale a Milano fino al 5 maggio. In scena al Teatro Grassi, Guanciale e Putignano sono rispettivamente uno scrittore e una primatologa alle prese con un gorilla (Lorenzo Grilli).

“Zoo” è una strana storia ambientata in un giardino zoologico con annesso laboratorio di ricerca. All’angolo di quest’ultimo, un recinto di vetro è la gabbia che rinchiude Tandzo, gorilla adulto oggetto degli studi etologici della dottoressa Rozental, veterinaria. Ma Tandzo incuriosisce soprattutto Blanco, drammaturgo, alter ego dell’autore della pièce in scena, che si reca quasi quotidianamente in laboratorio a osservare il primate.
Rozental, Tandzo, Blanco. Tre solitudini s’incontrano e si riconoscono. Sentimenti ambigui. Nodi inestricabili. Nascono amicizie, affetti, amori, gelosie, competizioni, desideri morbosi. Ogni convenzione si sgretola. Le leggi della natura sono annullate da un istinto primordiale. È un turbine erotizzante, che non distingue tra uomo e animale.
L’assiduità tra Blanco e Tandzo diventa bisogno vicendevole e cura reciproca. A rinsaldare l’unione, è il culto della bellezza. Lo scrittore ne è latore. Spazia da Schubert a Stendhal, da Marco Polo a Bergman, da Platone a Calvino. E poi Kubrick, Whitman, Bacon.

La bellezza è salvifica. Essa squarcia la cattività. Supera le barriere di genere e di specie. È contagiosa. È scoperta di affinità elettive, agape e lussuria. Il gorilla ne è affascinato. La dottoressa Rozental ne è sedotta. La sensualità si stempera nell’onirico. Un sottile umorismo pervade la scena, e fluidifica ogni esasperazione.
Dalla fascinazione al sentimento. La curiosità è attributo essenziale dell’artista. Siamo attratti da ciò che ci è estraneo, e a volte persino antitetico al nostro sistema di valori. Blanco è catturato da Tandzo. Gli scrive lettere appassionate. Il gorilla percepisce e apprezza. Il suo battito cardiaco accelera quando lo scrittore si avvicina.

Ma Blanco è anche sedotto da una figura in apparenza fuori tema, cui avrebbe voluto dedicare un libro. Si tratta di Edda Ciano, figlia di Mussolini, libertina, affascinata da viaggi, uomini, alcol e droghe. Edda era l’unica donna cui il duce non sapeva dire di no. Solo una volta non ci riuscì: quando Mussolini fece giustiziare suo marito Galeazzo, colpevole di alto tradimento.

Putignano e Guanciale tengono la scena con naturalezza estrema. Si liberano di ogni stilema scolastico. Colpiscono per la propria autenticità. Bravissimo anche Grilli in costume villoso: impossibile capire, in questo caso, dove finisca l’attore e incominci il gorilla.
I video realizzati da Miguel Grompone pervadono la sala. Sono immagini della grandiosità inventiva e creativa dell’uomo, capace di andare nello spazio e sulla luna, di avvicinare l’Assoluto con Botticelli, autore della “Primavera”. E c’è anche una telecamera in presa diretta a riprendere gli incontri tra Tandzo e Blanco, e il palco si trasforma in cinema a tutto schermo.
Le scene di Monica Boromello richiamano un ambiente asettico, nordico, freddo, stridente con l’habitat africano di Tandzo. I costumi firmati da Gianluca Sbicca sono appesi a vista. Essi consentono ai protagonisti di giostrare tra finzione, autoanalisi e metateatro, tra musica dal vivo, confessione e azione.

Sara Putignano è interprete canora, ma è anche sé stessa. Nei panni della dottoressa ebrea Rozental rievoca la tragedia universale della Shoah, ma anche un dramma familiare personale. Anche Lino Guanciale suona la chitarra elettrica, canta, interpreta sé stesso; dà vita ai sentimenti di Blanco. Per un artista, la solitudine è condizione fisiologica.
Max Mugnai disegna luci su misura per i cambi di scena, anche su richiesta diretta degli attori. Le musiche e il suono curati da Gianluca Misiti rendono frizzanti le quasi due ore di spettacolo, esorcizzando ogni rischio d’impasse.

I fili di questo spettacolo sono molteplici. Si aggrovigliano, a creare più trame. Eppure non abbiamo mai la sensazione di trovarci davanti a un lavoro velleitario. Piuttosto, ci sentiamo anche noi delle creature ibride, centauri o minotauri, esseri biformi metà uomini metà bestie, sul crinale tra forza naturale e dominio sugli istinti.
Usciti dal labirinto, quei fili intricati li portiamo a casa. Li dipaniamo con calma, inforcando occhiali da lavoro. E allora ragioniamo sulla figura di Edda, in bilico tra edonismo, sballo, amore, colpa e dolore. Ragioniamo su quanto l’uomo sia capace di raggiungere l’infinito grazie all’arte, ma anche di creare macchine di morte e distruzione come la ghigliottina, o l’inferno di Auschwitz.

In “Zoo” domina il tema dell’amore. Ne indaghiamo la fenomenologia. Ne svisceriamo le varie manifestazioni: l’idealizzazione dell’oggetto desiderato; i sogni e le proiezioni; l’assaporamento della sua immagine nella memoria; l’urgenza del desiderio; la sofferenza per l’impossibilità di appagarlo; l’avvicendarsi di speranze e disillusioni; il dolore per la perdita dell’amore stesso, o di chi lo personifica.
Ma se la pièce insiste sulla trattazione tormentata dell’amore, il suo superamento è proprio nell’immersione estetica. Il conforto della bellezza può alleviare i dolori interiori e aiutare a superarli. “Zoo” è un lavoro riuscito proprio perché parla della nostra epoca senza nominarla, e dimostra come il teatro possa lenire i momenti di tristezza e ansia dovuti ai drammi della guerra e della pandemia. Che qui si chiama ebola. E non risparmia neppure le scimmie.

ZOO
scritto e diretto da Sergio Blanco
traduzione Angelo Savelli
video Miguel Grompone
scene Monica Boromello
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
musiche e suono Gianluca Misiti
con Lino Guanciale, Sara Putignano, Lorenzo Grilli
aiuto regia Teresa Vila
preparazione vocale a cura di Laura Raimondi
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
foto di scena Masiar Pasquali
le recite del 2, 3, 9, 12, 23, 30 aprile, 3, 4 e 5 maggio sono sovratitolate in inglese

durata: 2 h senza intervallo
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Piccolo Teatro Grassi, il 29 marzo 2022
Prima nazionale

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