Costanza Givone, intensa Salomè che ha perso il lume

Costanza Givone
Costanza Givone
Costanza Givone ha debuttato con la sua Salomé al Zoom Festival
“Notate che la mania deriva dal troppo sentire”. Questa citazione foscoliana potrebbe essere uno dei possibili riferimenti con cui accostarsi al piccolo mondo bipolare di “Salomè ha perso il lume” di Costanza Givone, presentato a Zoom Festival. Piccolo solo in quanto a dimensioni sceniche e alla prospettiva obbligata del monologo, ma decisamente disteso e sospeso sugli squarci d’abisso di una coscienza, che gira in circolo su se stessa e sugli squarci di luce lanciati dalla propria mania.

Il bel lavoro compiuto dalla Givone sulla principessa di Giudea si muove sostanzialmente da negazioni (di sguardo, di luce, di ragione) a cui si oppongono altrettante entrate a piè teso sia sul dramma che sugli altri suoi interpreti, che rimarranno coni d’ombra sulla trama luminosa di un desiderio che andrà a dispiegarsi.

La trama non cambia, immortalata da sempre nelle parole di Oscar Wilde e riproposta quasi come antefatto nel reticolo di una scacchiera su cui la figura femminile muove la storia. Eppure il punto di vista da cui guardare ad essa stavolta è unicamente quello della strana luna: una donna bloccata in un limbo eterno a cui è concesso spiegarsi e studiarsi nello specchio di una platea.

L’allestimento si traduce così in una prigione senza sbarre, struttura semiaperta che incatena il gioco solitario al perimetro di un’incantevole ossessione, mentre le tracce del capire si confondono irrimediabilmente con quelle del sentire e la conoscenza del sé si lega a filo doppio a un destino di morte. Ecco allora che la metamorfosi avviene nel cerchio del ‘pathei mathos’, mossa direttamente dalla passione e subita sia dall’oggetto dell’amore, un profeta venuto dal deserto rimasto viso di creta, che dal crudele soggetto che lo plasma e deturpa, scompone e ricompone, inghiotte e risputa sulla scena. La scena di un sacrificio che in “Salomè ha perso il lume” assume i tratti di un’opera buffa, seppur dotata di una serietà ingenua e fragile, e in questo senso tragica.  

Non c’è infatti fuga dai nefasti presagi e dalle ‘dramatis personae’ ma può esserci deliberata esposizione del lato notturno del loro linguaggio, fintanto che l’acre sapore dell’amore assomiglierà a quello del sangue. Al mistero di questa somiglianza l’attrice sceglie di abbandonarsi, perché non vi può essere, per questa Salomè, possibilità di comprensione al di fuori della propria mania e del suo indicibile corrispettivo.

Solo lasciandosi possedere nella danza bellissima, cupa e ancora senza scampo di Salomè sulle note della “Russian dance” di Tom Waits, Costanza Givone riesce a mutare di segno alla dissociazione linguistica del proprio personaggio, scivolando dalle proprie pretese ragioni su Iokanaan a un sé senza ritorno. “Se mi avessi guardata mi avresti amata” ripete con convinzione una principessa impossibilitata al martirio, tirando a sé un cielo di lumi sapientemente mossi da Samuele Mariotti per tutto lo spettacolo.

Attorno a questi stessi lumi ha ruotato il pensiero drammaturgico e al loro spegnersi anche quest’ultimo sembra doversi eclissare. Forse tornerà ancora a danzare, intanto fuori scena il brusio grida già alla pazzia.

SALOME’ HA PERSO IL LUME
di e con: Costanza Givone
scenografia e disegno luci: Samuele Mariotti
assistente alla regia e Design: João Vladimiro
tecnico luci/suono: Rui Alves
durata: 45’
applausi del pubblico: 2’ 30’’

Visto a
Scandicci, Teatro Studio, l’8 novembre 2012
prima nazionale


 

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