Espressione di creatività a 360°, VolterraTeatro anche quest’anno – in occasione d’una ricorrenza particolarmente significativa – è sperimentazione di codici artistici eterogenei ma soprattutto trasfigurazione di uno spazio di reclusione e delle sue regole.
Le antiche mura medievali della città custodiscono segreti, rivelando l’intimità di un percorso, quello della Compagnia della Fortezza, che ha segnato il panorama teatrale italiano. E’ proprio da qui che bisogna partire per comprendere il vero significato di questo progetto che dura da 25 anni, e che si nutre anche della trasformazione, dell’inversione e della sospensione dell’ordine quotidiano.
La città, per tutta la durata del festival, si tinge delle sfumature di molteplici codici artistici, che qui si fondono ritrovando un’atmosfera quasi magica. I detenuti del carcere, imponente nella sua forma e nella sua realtà, diventano allora i veri protagonisti. Lo fanno, quest’anno, anche attraverso le immagini di Stefano Vaja, fotografo della Fortezza da quindici anni, che ricordano questi concittadini amati e odiati ricoprendo quasi interamente le vie del centro storico di Volterra, e accompagnandoci nei meandri più intimi del processo creativo della Fortezza, mostrandone tutta la sua straordinaria e complessa attività.
Un’attività che ritroviamo immortalata all’interno dello spazio espositivo di via Turazza, nella mostra inserita nel progetto speciale dedicato alla compagnia intitolata “Una radicale bellezza”, in cui Vaja raccoglie le foto degli spettacoli scattate durante il debutto in carcere (“Insulti al pubblico”, “Macbeth”, “Pasolini”), le tournée in giro per l’Italia (“I Pescecani”, “Hamlice”) e nelle piazze (“Mercuzio”), trasmettendo con grande potenza espressiva i momenti salienti di cui la compagnia è stata protagonista in questi anni.
Giusto qualche metro più avanti, nello storico Palazzo dei Priori, le suggestioni dell’universo di Jean Genet, scrittore, drammaturgo e poeta francese, fra i più discussi e tormentati del Novecento, ci catapultano in un percorso concettuale e filosofico espresso attraverso i lavori di Mario Francesconi, nella sua mostra intitolata “Film”.
All’interno delle Logge di Palazzo Pretorio, invece, Carlo Gattai allestisce una mostra inserita in un ambiente inusuale: una scatola architettonica di cartone a grandezza uomo dal tetto spiovente. Intitolata “Cammino, bello ventiduenne – Photogallery Take away”, la mostra è costituita da una moltitudine di foto in cui l’artista coglie l’anima dello spettacolo “Mercuzio non vuole morire” in una fusione di espressività, gestualità e interiorità che lascia il pubblico non indifferente.
Attraverso la formula del ‘take away’, secondo cui il pubblico può portare via le foto come “prodotti d’asporto” in cambio di un pensiero, l’obiettivo è riuscire a costruire un’opera unica che, nel suo disfarsi, si ricostituisca in una forma completamente rinnovata attraverso l’effetto suscitato ai passanti, che in cambio lasciano una frase, un oggetto o un qualsiasi ricordo.
Ma oltre agli spazi espositivi in giro per Volterra, ad attenderci è soprattutto la Fortezza Medicea che, come ogni anno, cambia volto e diventa palcoscenico della compagnia diretta da Armando Punzo per la nuova messinscena: “Santo Genet Commediante e Martire – primo movimento”.
Dopo i controlli della sicurezza, nel cortile del carcere veniamo accolti da una misteriosa figura umana tutta in nero; a emergere quel viso bianco cinto al collo da rose rosse, che avanza verso il pubblico con fare quasi etereo. Sarà proprio Punzo, accompagnato da un uomo orientale abbigliato alla maniera del teatro Kabuki, a guidarci, tra filosofiche narrazioni, verso un passaggio delimitato da un peristilio di figure umane in abiti da marinaio.
Qui il varco diventerà una sorta di portale spazio-temporale pronto a catapultarci in un’altra dimensione. Lo spettatore viene inserito in un rituale, prendendo parte a qualcosa di ciclico, di purificatore, di mistico: “Dal vero verso il falso per giungere a un vero più vero. Il falso come porta su una realtà immaginaria che si emancipa dalla trappola del quotidiano”.
Un lungo corridoio si apre ai nostri occhi, ai lati stanze piene di specchi, broccati e drappi su pareti e soffitti, che immortalano il pubblico e gli attori in un gioco di rifrazioni. Loro, gli attori-detenuti, abiti grotteschi e trucco pesante, alternano frammenti dalle opere del drammaturgo francese.
Nella vita di Jean Genet, come d’altronde nello spettacolo, si intrecciano carcere, vita di strada e il personale debole di Genet per i marinai. Impossibile quindi non notare proprio la citazione iniziale ai marinai di “Querelle de Brest”.
Come sempre Punzo parte dai testi che sceglie come riferimento per scomporre e ricomporre una drammaturgia che plasma poi sui suoi attori (non soltanto dal punto di vista linguistico), in un lavoro che riuscirà a rendere anche gli spettatori, ogni singolo individuo alle prese con la propria coscienza, parte di quell’apparato scenico: “Una specie di disgusto, perché mi sono visto nudo, e denudato da qualcuno che non ero io”.
Attraverso racconti, canzoni, monologhi interiori e flussi di coscienza che si incrociano ed accavallano, nei locali di quel non-luogo – a tratti attraente, a tratti infernale – in cui nulla è ciò che sembra, lo spettatore diventa anch’egli un’anima in un’“immagine del reale tradita e sostituita dall’immagine riflessa in uno specchio, ingombrata di corpi estranei appariscenti, svuotata della ingannevole consistenza reale”, come scrive lo stesso Punzo.
È proprio in questo spazio che le vibrazioni di queste miriadi di immagini riflesse creano una specie di miraggio, una sorta di trappola dell’anima ma nello stesso tempo una nuova dimensione: capace forse di ricondurre le anime verso la salvezza?
“Questo è il bordello meno elegante che io conosca, dove di rado vengono i marinai della flotta da guerra, capaci di introdurvi un po’ di grazie e di freschezza, ma questo, questo è il più favoloso. Siamo nell’antro solenne”. In quell’antro solenne da cui siamo entrati veniamo riaccompagnati per assistere al saluto finale: da dietro le sbarre, gli attori-detenuti ci si schierano innanzi, di fronte a quei cinque minuti intensi di applausi di un pubblico che, a Volterra, di anno in anno, è davvero raro non vedere partecipe ed entusiasta.
Vi lasciamo alla photogallery di Guido Mencari.
Santo Genet Commediante e Martire – primo movimento
ispirato all’opera di Jean Genet
drammaturgia e regia: Armando Punzo
con: Compagnia della Fortezza
durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 5′
Visto a Volterra, Fortezza Medicea, il 25 luglio 2013
Prima nazionale