Orlando è un personaggio che percorre oltre trecento anni, dall’età elisabettiana ai primi decenni del Novecento. Amante e cortigiano della regina Elisabetta I, poi ambasciatore in Asia, dopo un lungo sonno si sveglia donna, torna a Londra con la coscienza di conoscere intimamente il bene e il male di entrambi i sessi; si fa amare da un Lord e corona il sogno di diventare scrittrice di successo grazie al poema “La Quercia”.
Creatura d’un atipico romanzo di formazione (poiché carico dell’ambiguità d’estendersi a più secoli e più gender, come ci suggerisce lo stesso regista belga), Orlando è qualcuno che si dimentica di morire, animato dall’ambizione di sentirsi vivere e d’affermarsi nella sua pratica artistica. Un romanzo-sfida, strutturalmente e anche a livello di contenuto, che la Woolf scrisse come infinita lettera d’amore per la sua amante Vita Sackville-West, poetessa di cui, nelle gesta del transgender antelitteram della storia, è possibile rintracciare scorci della sua stessa biografia.
Se la forza espressiva della lingua della Woolf – un’iperarticolazione labirintica delle trame (mentali) – si perde nella doppia traduzione (dall’inglese originale al fiammingo del recitato all’italiano dei sovratitoli), che obbliga ad un certo strabismo della fruizione, Guy Cassier tenta di recuperarne gli slanci a livello scenografico, facendo in modo che il corpo di Katelijine Damen – narratrice in terza persona che a tratti si prende il ruolo di soggettivizzare gli slanci di Orlando, in una continua tentata fuori-uscita e reimmersione nel personaggio/ruolo – diventi parte di una scatola scenica frammentata e moltiplicata.
È sotto i piedi dell’attrice che si tenta di ri-mappare la mente della Woolf: un tappetto a cassettoni perennemente cangiante, mosso dalla stessa Damen, è la molla del gioco di svelamento e spostamento delle grandi caselle che fanno da pavimento all’azione, collage ripercorribile a diverse distanze attraverso lo zoom delle quattro videocamere appese al soffitto e proiettanti immagini su un fondale dunque quadripartito e continuamente metamorfico.
Tale ritrasmissione in presa diretta, con incursioni in video e dal vivo dello stesso volto/corpo dell’attrice all’interno della grande cornice visiva, sembra diventare un ulteriore e potenziato atto performativo (forse più interessante dell’abilità recitativa della Damen) tra rimescolamento e variazione cromatica e formale delle immagini stesse.
Ed è lo zoom a farci apparire o far smarrire nuovi dettagli del grande calderone storico che accompagna le gesta di Orlando (anche qui, il meccanismo narrativo della Woolf, le digressioni e le descrizioni, si traducono in visivo). C’è un polimorfismo visivo, mise en abyme dell’essere senza identità fissa, che la distanza cangiante dell’occhio della videocamera sottolinea con evidenza.
Nel possibile doppio livello d’analisi e di fruizione emerge la rischiosa negoziazione artistica che Cassiers ha compiuto con l’opera di Virginia Woolf, lottando con la condizione di “viaggiatore da fermo” tipico del lettore, e stimolando così, senza rappresentare, la nostra immaginazione: da un lato, l’impossibilità (linguistica) di seguire a fondo la diegesi ci salva da quello che altrimenti sarebbe risultato non molto più di monologante teatro di narrazione e messa in scena evocatrice del ricordo (attraverso una voce sì calda e posata ma non abbastanza per conquistare la nostra empatia); dall’altro lato, il già descritto accurato impianto scenografico rimane l’aspetto più vivace, quello che, seppur superando solo a tratti il rischio del raddoppiamento didascalico del narrato (quando si “parla” della Quercia appare la sua corteccia, quando si narra dell’Asia appaiono carte geografiche della regione etc.), cerca di ri-codificare il linguaggio narrativo spostandosi altrove, nel campo del visivo.
ORLANDO
regia: Guy Cassiers
testo: Virginia Woolf
traduzione: Gerardine Franken
adattamento: Katelijne Damen
drammaturgia: Erwin Jans
collaborazione artistica: Luc De Wit con Katelijne Damen
scene: Guy Cassiers
video: Frederik Jassogne
disegno luci: Giacomo Gorini
sound design: Diederik De Cock
costumi: Katelijne Damen
produzione: Toneelhuis
associate partner of Theatron
foto: © Frieke Janssens
durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Roma, Teatro Vascello, il 15 novembre 2013