C’è un’atmosfera edenica attorno a Campsirago, in Brianza. C’è un’aria di pensante e laboriosa euforia quando si anima Il Giardino delle Esperidi, e attori e compagnie si susseguono in un festival teatrale essenziale e imprevedibile, giunto quest’anno all’undicesima edizione.
L’intreccio con “Meeting the Odyssey”, il progetto itinerante di performance che dopo l’esordio milanese è approdato sul lago di Como (prima di salpare verso Camogli, Malta e Lampedusa) ha arricchito la rassegna di un retrogusto salmastro. La spiritata coproduzione internazionale “Sbarchi_un’odissea”, rivisitazione del capolavoro omerico a cura del direttore di ScarlattineTeatro Michele Losi, ha inaugurato di fatto il festival nella fascinosa cornice del villaggio fantasma di Consonno.
Scarlattine ha anche riproposto “Cupido es un broma”, coproduzione con David Zuazola Puppets Company, con Sara Milani e David Zuazola sul palco. Il lavoro, musicato dal polacco Marek Zurawski, è un bazar sulle pene d’amore ricco di allegorie e satira. È un bizzarro assembramento da presepe napoletano. Combina l’arte di David Zuazola, puppet designer che recupera materiali di scarto, con un acuto senso del colore. Un’inedita tecnica di movimento ibrida marionette e attori in carne e ossa.
Sempre Scarlattine ha riproposto “Hamlet private”, incontro faccia a faccia attore-spettatore per scovare l’Amleto latente in ciascuno di noi in località segrete nei pressi del lago di Lecco.
Un mazzo di carte speciali. Un taccuino. Il rapporto personale, attraverso i tarocchi, con uno dei performer della compagnia (Giulietta Debernardi o Marco Mazza) è il pretesto per interrogare il nostro io. Amleto ci scuote. Interroga i nostri sentimenti e spettri. In una trama di passato, presente e futuro, ci mette di fronte alle nostre scelte e perplessità.
Due gli appuntamenti che hanno visto protagonista la Piccola Compagnia Dammacco: “L’inferno e la Fanciulla” e l’anteprima dello spettacolo “Esilio”. Nel primo è la straniante drammaturgia composta da Mariano Dammacco insieme all’interprete Serena Balivo a guidarci nell’inferno della quotidianità e delle nostre paure, tra allegoria e umorismo, (in)sofferenza, sogno e inadeguatezza.
Cigno e brutto anatroccolo, burattino o ballerina anchilosata, la Balivo è un personaggio surreale teneramente sgraziato nell’abitino bianco a campana. È un’impacciata Alice nel Paese delle Meraviglie bisognosa di logopedista. Le musiche da carillon, unite a escursioni sonore alla Morricone stile spaghetti-western, raddoppiano la dissonanza persistente tra compostezza e disarmonia, proiettando gli spettatori in un orizzonte indefinito. Per quanto la drammaturgia sembri a momenti navigare a vista, questo spettacolo trasmette un senso di meraviglia. Attraversiamo sentimenti negativi come la rabbia e la sfiducia, la misantropia e la frustrazione. Partecipiamo allo sforzo di diventare adulti. Ricadiamo nella realtà atterrandovi morbidamente, con quell’ombrello che la protagonista apre come Mary Poppins.
“Esilio” racconta invece pensieri e storie di chi compie un tragicomico cammino per ritrovare il gruppo di appartenenza. Un po’ come “Miraggi migranti” della Compagnia Stradevarie, che evoca la migrazione partendo dal sogno dell’artista etiope Alem Teklu, protagonista in scena con Soledad Nicolazzi. Uno spettacolo da cantastorie buffo e artigianale, che combina pittura, danza e teatro di figura, pupazzi e maschere rigidamente bidimensionali, naif, e il suono dal vivo di tamburi e xilofono. Senza troppe pretese, ma con profonda verità, entriamo nello spirito di uno dei drammi del XXI secolo. È un’avventura tra speranza e disillusione. Tra fuga e sbarre, assistiamo alla vergognosa tratta di esseri umani che cercano il sole, e camminano sull’orlo di un abisso. Il linguaggio ironico e antinaturalistico prescinde dalla parola e raggiunge l’animo dello spettatore con codici espressivi universali.
La fiaba è anche materia dell’evocativo “Milkwood” di Eleonora Parrello e Rosa Lanzaro. Lo scenario è quello rigoglioso del bosco di Figina di Galbiate. Il verde delle piante si combina con il bianco dei costumi e di una scenografia embrionale, lattiginosa, di drappi elastici come cappelli di funghi cresciuti fra rami e radici.
L’azione performativa prende le mosse dalla fiaba “Fratello e sorella” dei Fratelli Grimm. Siamo in un presente onirico ancestrale, insidioso e fragile. Due creature serpeggianti si separano muovendo da un’unione indifferenziata. Vanno incontro al rosso pericolo, lo sfidano. Si attendono e incoraggiano. Ancora una delicata metafora della crescita, e dei riti iniziatici che la accompagnano.
Non manca la danza in queste Esperidi. Commuove quella della compagnia polacca Teatr A Part con “Klepsydra”, che unisce la poetica del teatro del corpo, i gesti e le emozioni con il ballo, e crea un assorto rituale del lutto, dell’ultimo incontro, del desiderio. Uno spettacolo delicato che unisce agape e thanatos. L’eros di un corpo che si denuda sublima attraverso il dialogo pudico con abiti maschili e femminili. Sono ricordi, nostalgie, dolori: proiezioni di un’anima innamorata, oltre la morte e la corruzione inesorabile del tempo.
“Found and Lost” con VerTeDance, gruppo di riferimento della scena della danza in Repubblica Ceca, è un esperimento di teatro-danza che tempera immagini crude e autodistruttive attraverso un linguaggio infantile e ironico. La fragilità e la brutalità delle relazioni interpersonali sono attutite da duetti a passi felpati. Le protagoniste si fanno amabilmente il verso, tra note rock e suoni della natura, arie da lied e siparietti con il pubblico.
In “Arie di carta” Maria Carpaneto e Ivana Petito, interpreti e coreografe, sono due curiosi personaggi senza tempo, nati dalla terra per narrare il luogo in cui si palesano. Anche questo è un sofisticato esperimento di teatro-danza. Figure femminili si accompagnano e sostengono tra nuvole di borotalco al suono di clavicembalo, archi e fisarmonica. Sono cigni agonizzanti dall’incedere parkinsoniano. Si fondono in un abbraccio avvolgente, complice, capace di scongiurare il limite e di sublimare nel lirismo.
L’amore, il sesso, la morte, il denaro. Non bastano gli scenari mozzafiato offerti da Villa Bertarelli a Galbiate per esorcizzare la profonda inquietudine e il cinismo umano trasmessi da “12 parole 7 pentimenti”, installazione della compagnia svizzera Officina Orsi. Un voyeuristico accostamento di parole e immagini. Pensieri, parole, amori, eccitazioni, illusioni, inganni. Pentimenti, fantasie erotiche, piccole e grandi meschinità rubate attraverso registrazioni effettuate di nascosto, in un club privé come nella camera mortuaria di un ospedale o in un aeroporto, in un parco. Un percorso dentro la nostra anima, per scoprire chi siamo veramente o ciò che possiamo diventare. L’happy end è affidato alle poetiche riflessioni finali della regista Rubidori Manshaft.
Chiudiamo con la commedia: quella di “Opera Nazionale Combattenti”, incosciente sit-com di Principio Attivo Teatro ispirata al finale incompiuto dei “Giganti della montagna” di Pirandello. In scena una compagnia di anziani o variamente disadattati fuori dal tempo.
Tra applausi e risate registrate, sberleffi, voci fuori campo, risa e polemiche a non finire, si mette in scena il tema del mestiere dell’attore, trama nella trama nella dimensione del metateatro. Uno spettacolo paradossale e assurdo, sognante e disperato, che mette in luce la solida prova degli interpreti.
“La zona Cesarini” della compagnia Il Giardino delle Ore, colorata commedia senza lieto fine sul calcio come metafora della vita, chiude a Ello la più lunga edizione (dal 10 al 28 giugno) del Giardino delle Esperidi. Una rassegna ricca come non mai di spunti e temi, linguaggi e suggestioni. Tre settimane di un teatro che diventa – ancora una volta – occasione per apprezzare il patrimonio artistico, culturale e naturale di uno splendido scorcio della nostra penisola.