HangartFest: alla scoperta dell’intimità di un festival

La primavera siciliana
La primavera siciliana
Sayoko Onishi in La primavera siciliana (photo: butoh.it)
Terminato l’HangartFest, piccolo festival della scena contemporanea indipendente che si è svolto a Pesaro dal 15 al 30 settembre, proviamo a raccogliere i pensieri e le sensazioni, perché eventi di questo tipo, così intimi e raccolti, così a disposizione del pubblico, scatenano riflessioni sulla possibilità di un fare teatrale in cui si è chiamati a una vicinanza, a una condivisione reale dell’evento, a una non passività che scuote il pubblico dal suo ormai consolidato statuto di osservatore passivo.

Una intera struttura viene messa a disposizione di performance (soprattutto danza e video) che fanno vivere sia la sala adibita a spazio teatrale che i corridoi, gli spogliatoi, l’ingresso e anche l’esterno, con il pubblico chiamato a scorrere tra le varie esperienze, migrando volentieri di luogo in luogo affascinato e incuriosito da tanti spostamenti di visione. Spostamenti determinati non solo dalla logistica, ma anche dalle proposte stesse, che variano tra installazioni, performance, video e conferenze.

La formula non è certo nuova, molte manifestazioni accostano alla semplice visione interventi di altro tipo, che coinvolgano e nutrano l’aspetto più culturale della danza, ma l’atmosfera respirata in questo festival ha un sentore più caldo e confidenziale, forse perché non c’è altro motore che lo tiene in piedi se non la passione degli organizzatori, che vanno avanti pur nell’assoluta mancanza di finanziamenti, mossi da un impegno che travalica giudizi e convenienze di mercato.

La rassegna è rivolta a una nuova generazione di artisti nel tentativo di offrire loro spazi e visibilità, ma la sua stretta saldatura al territorio fa sì che questa usurata formula acquisti un sapore nuovo, di reale possibilità per concretizzare un lavoro, farlo respirare, dargli agio di esistere.
Agli artisti in erba vengono affiancati nomi più noti: in questa edizione come non ricordare Sayoko Onishi e la sua incantata performance “La primavera siciliana”, che le è valsa il primo premio Die Platze a Tokio, ma anche la mostra dedicata al grande maestro Kazuo Ohno, con la conferenza che Eugenia Casini Ropa ha dedicato al Butho, o la presenza di Kathleen Delaney con due suoi filmati realizzati sotto l’acqua. Accanto a nomi nostrani e meno noti: Erika Fassari, Michela Rosa, Martina Ferraioli, Silvia Berti e tanti altri giovani.

La giornata conclusiva è stata dedicata alla presentazione del libro “Persone che danzano” di Franca Zagatti, direttrice artistica del centro Mousiké, che ha visto anche un laboratorio intergenerazionale condotto dalla stessa Zagatti, esplicativo della sua modalità di lavoro.
Guidato da alcune partecipanti al corso over 65 che Franca Zagatti tiene a Bologna, il pubblico ha potuto godere di una esperienza del movimento libera, sincera, profondamente autentica, un pomeriggio in cui si è data assoluta evidenza di come la danza sia veramente strumento di espressione e condivisione alla portata di tutti, indipendentemente dall’età, dalle possibilità, dalle diverse abilità e conoscenze. Una perfetta conclusione per un festival che fa della vocazione intimistica e della volontà di condivisione i suoi punti di forza.
 

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