Situazione critica? Quando i critici parlano troppo di critica e poco di teatro

Proprio a ridosso dell’inizio della seconda tranche del Napoli Teatro Festival Italia, presso il Ridotto del Mercadante si è tenuto un incontro organizzato dallo stesso festival in collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici di Teatro. L’argomento non poteva che essere lo stato della critica teatrale, tema oggi piuttosto spinoso (ma al tempo stesso assolutamente di moda!), in grado di sollevare numerose riflessioni in un momento di grande transizione/crisi.

Numerosi gli operatori del settore presenti, dal presidente dell’Anct Giulio Baffi ad esponenti della carta stampata come Stefano De Stefano o Gherardo Vitali Rosati, da rappresentanti delle testate web come Ilaria Bonadies o Gianmarco Cesario fino a corrispondenti stranieri ed allo stesso direttore del Ntfi Luca De Fusco.


Momento di crisi si diceva, che ha scatenato nel lungo dibattito una serie di riflessioni a tratti interessanti (ma inevitabile una buona dose di aria fritta!) ed anche accese, che hanno coinvolto i temi della progressiva perdita di credibilità del critico teatrale nei confronti dei suoi lettori, ma anche dello spazio e delle modalità della critica sulla carta stampata, in comparazione con l’esplosione del web e delle sue testate come punto di riferimento di un nuovo tipo di informazione e di pubblico.

Le testate web sono diventate un mezzo d’informazione imprescindibile per il mondo del teatro, poiché coniugano molti punti di forza della comunicazione giornalistica: rapidità dell’informazione e possibilità di maggiori approfondimenti sono due di questi.
Il punto debole, però, è relativo alla diffusione: se le testate web “specializzate” hanno saputo dimostrarsi un punto di riferimento importante per gli addetti ai lavori (artisti, operatori, spettatori appassionati), purtroppo la capacità di compulsare la massa è rimasta molto bassa, in quanto difficilmente io capiterò per caso (salvo strani risultati sui motori di ricerca) su klpteatro.it da fruitore più o meno “vergine” di teatro, ma ci arriverò se sono già precedentemente interessato alle tematiche o ad un singolo articolo presente sul sito.

Per questo motivo, il grande rischio delle testate web è quello di diventare un po’ autoreferenziali, e quindi di chiudersi in un sistema che può essere anche molto elevato dal punto di vista della qualità culturale ma, ahinoi, poco in grado di generare nuovo pubblico. Quest’ultimo può e dovrebbe essere compulsato con più facilità dai quotidiani cartacei, siano essi testate nazionali o “di provincia” (il cui lavoro è stato particolarmente sottolineato da Valeria Ottolenghi), perché questi, trattando temi molto diversi tra loro potrebbero “casualmente” attrarre il lettore più generico e indurlo a saperne qualcosa di più.

Qui però molto spesso casca l’asino, perché, a differenza delle testate web, che vivono di passione e sforzi da parte dei propri redattori e responsabili (con tutte le difficoltà di sostenersi economicamente), i quotidiani sono vere e proprie aziende, in grado di arrivare ad un target di persone potenzialmente molto vario, ma che guardano anche a ciò che interessa di più la massa (e il teatro non è certo fra gli eletti).
Inoltre, come sottolinea De Fusco, sui grandi giornali molto spesso assistiamo alle pressioni delle lobby, dei salotti, della politica, a seconda dei vari orientamenti della testata, per parlare bene o male di uno spettacolo piuttosto che di un determinato festival. E non è un caso che spesso spettacoli osannati dai quotidiani conoscano come contraltare stroncature più o meno palesi da parte delle riviste online (anche queste, però, a volte si influenzano a vicenda, forse più per l’adesione ad un certo tipo di sistema coeso che per motivi di business).
A questo proposito De Fusco tira in ballo l’esempio di Nekrosius con la sua “Divina Commedia”, che ha ricevuto sui quotidiani cartacei recensioni entusiastiche, mentre tutte le persone che lui ha sentito informalmente lo hanno bocciato senza pietà.
Le testate web sono allora più “libere” di dire bene o male rispetto al giornalismo tradizionale?

E’ questo scarto a generare una mancanza di credibilità nella critica, sottolineata a più riprese anche nel convegno di Napoli. E Gherardo Vitali Rosati si è soffermato sull’inspiegabilità di alcuni dei giudizi che legge sui quotidiani da parte di professionisti stimati.
Secondo lui, però, molto spesso ci sono anche evidenti problemi d’interesse nel pubblico, dovuti al fatto che ad esempio a Firenze (città dove opera), salvo la Pergola, dove gli spettacoli sono messi in scena per quattro giorni, le repliche sono rare, e molto spesso nel tempo che va tra la visione e la recensione, lo spettacolo non è più in programmazione, lasciando una sorta di autoreferenzialità dell’articolo nei confronti del pubblico.

A danno della mancanza di credibilità della critica, ci sono poi certe situazioni “ibride”: pur non avendo ragione di dubitare dell’onestà dei singoli giornalisti, se XY, oltre ad essere una firma di teatro di Repubblica, è parte integrante del Teatro Belli di Roma, cosa dovrà pensare il lettore che legge una recensione entusiasta di uno spettacolo di questo teatro?
O se YZ, giornalista napoletano, è o è stato nel recente passato membro del CdA del Teatro Stabile di Napoli, direttore artistico di Benevento Città Spettacolo, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Napoli etc. etc., cosa dovrà pensare il lettore delle recensioni degli spettacoli dello Stabile (sempre che il lettore sappia tutti questi retroscena)?
Si potrebbe dire: la soluzione è non parlarne proprio, in modo tale da preservare la trasparenza, tema oggi molto attuale; ma come può un giornale nazionale con una sezione locale non parlare del più importante teatro o evento della Campania?

E allora il primo passo dovrebbe davvero stare nell’onestà intellettuale di chi fa questo mestiere, sulla strada di un percorso verso la trasparenza assoluta, che non possa dare adito a dubbi e ombre, che mettono in cattiva luce sia verso i lettori che verso la stampa estera: non a caso un giornalista tedesco ha parlato di arretratezza di 15-20 anni del giornalismo italiano (non solo di quello culturale).

La grande differenza tra le testate cartacee e quelle su web, sottolinea De Stefano in chiusura, è sulla volontarietà dei redattori web, che di fatto recensiscono per propria passione e gratuitamente (o quasi), e ciò porta una sfasatura rispetto ai quotidiani; a suo avviso, infatti, le testate web potranno acquisire piena autonomia e dignità soltanto quando questo scarto verrà superato, ed esse stesse inizieranno a ragionare come aziende. C’è però da chiedersi se sia noto quanto poco prendano i tanti collaboratori giornalisti degli innumerevoli quotidiani locali, nazionali etc.
E poi, avere più soldi potrebbe anche portare ad un “allineamento” e a meno voci fuori dal coro.

Recuperando la funzione dei quotidiani, in grado di farsi da catalizzatore di nuovo pubblico non appassionato, è forse possibile re-iniziare la lunghissima strada verso la formazione di un pubblico più consapevole ed attento. E non facciamoci ingannare dalle statistiche che parlano di spettatori in aumento!
Facendo l’esempio di Napoli, ad un aumento di abbonati dello Stabile (dove il target di fruitori è spostato verso un’età decisamente adulta, e rappresenta anche uno status symbol della borghesia medio-alta) corrisponde una lotta serrata dei piccoli teatri privati per avere anche 10-20 spettatori: è il caso di Sala Ichos a San Giovanni a Teduccio, che l’anno scorso ha portato personalità come Roberto Latini o Fibre Parallele, spazi che – di anno in anno – hanno sempre più difficoltà nel realizzare un cartellone qualitativamente interessante, quando addirittura non si è lì lì per chiudere (è il caso del Teatro Sancarluccio, che ha portato a Napoli Daniele Timpano, Oscar De Summa, Macelleria Ettore…).

Il tutto nell’indifferenza delle amministrazioni e spesso della stessa critica locale, che dando spazio ai teatri principali, e in un certo senso già autosufficienti, non dà spazio alle produzioni interessanti dei piccoli teatri, che dai quotidiani locali potrebbero invece trovare una boccata d’aria fresca in termini di visibilità, per attirare nuovi visitatori in aiuto alle loro precarie economie.

In conclusione, se lo stato della critica teatrale è di indubbia crisi (d’identità, idee, valori, risorse economiche…), molte sarebbero le riflessioni (e le azioni) necessarie per migliorare il prodotto, che dovrebbe iniziare a vedere un nuovo obiettivo in fondo al tunnel, prima di sfasciarsi definitivamente.
E’ necessaria un’opera di ripensamento generale della funzione del critico, argomento che forse verrà riproposto al prossimo convegno dell’Anct, a novembre a Castrovillari, in occasione dell’edizione “tardiva” di Primavera dei Teatri.
 

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