Nel suo esito scozzese, è diventato però anche un’importante risorsa di immagine e attività collaterali per la città, che ha costruito attraverso il Fringe una serie di opportunità legate alle risorse culturali ed economiche del territorio.
Nel capoluogo piemontese, per dieci giorni 63 compagnie italiane ed estere hanno proposto, in locali e vie della città, spettacoli di teatro, performance di danza contemporanea, show circensi.
La pioggia non ha aiutato le esibizioni all’aperto, ma il pubblico giovane non è sembrato scoraggiarsi troppo.
I nostri tour nel festival, di cui vi avevamo già dato un cenno al suo debutto, si sono poi concentrati soprattutto nella zona del quadrilatero romano, dove il Rainbow e lo Spazio Ferramenta hanno ospitato ogni giorno performance dal pomeriggio a tarda sera.
La presenza del pubblico, certo più forte in orario serale, è sempre stata piuttosto viva (6123 biglietti venduti, contano gli organizzatori). Pensiamo ad esempio al torinese Dario Benedetto, che seguiamo al Rainbow con lo spettacolo “Prendi un uovo che ti sbatto”: i posti a sedere non bastano, e dopo la performance l’attore ci racconta la sorpresa di trovare così tanta gente ad ogni replica.
Frutto dell’esperienza newyorkese con la Stand Up Comedy, “Prendi un uovo che ti sbatto” è un monologo-seduta psicoanalitica dai toni surreali, che alterna i ricordi e le idiosincrasie di un attore spietato e misurato. Dario Benedetto sa coinvolgere e far ridere ma anche riflettere, tenendosi sempre distante dalla facile retorica in cui spettacoli di questo genere possono facilmente cadere.
Altro spettacolo di alto livello è quello dei milanesi Mercanti di Storie, di cui Klp vi aveva proposto un’intervista ad apertura del Fringe, ospiti del Premio Ciampi nel 2004, che presentano “Mi sono arreso a un nano”, monologo musicale giunto al decimo anno di rappresentazione, ispirato alla vita e alla poesia di Piero Ciampi.
Il testo, scritto e interpretato da Massimiliano Loizzi e accompagnato musicalmente da Giovanni Melucci, è permeato di canzoni e pensieri del cantautore e ne sa offrire un quadro molto intenso.
Anche qui il pubblico non manca; a farla da padrone è un clima rilassato che mischia artisti, pubblico e i 107 volontari dal Fringe. Gli artisti hanno diritto ad assistere gratuitamente alla programmazione del ‘loro’ spazio, ma per gli altri spettacoli devono accordarsi sul prezzo del biglietto, dai 5 ai 10 euro: parte del ricavato andrà alle compagnie.
Edimburgo insegna come la logica del Fringe sia quella d’essere un investimento (d’immagine ma anche economico) per le compagnie, in un’ottica ben diversa dal finanziamento pubblico cui siamo (eravamo) abituati in Italia. Certo, non si possono paragonare le possibilità di contatti offerte dal piccolo e ‘chiuso’ circuito artistico torinese rispetto a quelle scozzesi, ma parallelo è il discorso sul costo per sostenere la partecipazione di una compagnia ai due festival: abbordabile nel caso dei fringe italiani, quasi inarrivabile e ‘da mutuo’ per il fringe di Edimburgo.
Non tutti gli spettacoli visti a Torino sono di alto livello, ma questo fa parte del gioco dei fringe, che danno la possibilità a giovani artisti di confrontarsi con compagnie più o meno professionali, in un ambiente che dovrebbe essere variegato e stimolante. Scoprendo magari anche generi meno praticati in Italia.
È il caso di Carolina Khoury, attrice e burattinaia toscana, più volte ospite di festival internazionali col suo “Ginodramma”, spettacolo di teatro di figura per adulti che racconta la storia di Gino, un ‘pupazzo medio’ che vive la crisi economica in un’escalation di situazioni tragicomiche.
L’attrice, vestita di nero e col volto velato, si confonde con le quinte e sparisce dietro il pupazzo che anima. Siamo al Caffè del Progresso, orario da aperitivo, e distinguiamo tra il pubblico anche qualche spettatore straniero.
L’orario penalizza un po’ la replica pomeridiana della Compagnia l’Amaca, che trova appena una mezza dozzina di spettatori al Rainbow. Ciononostante gli applausi sono vivi e calorosi per uno spettacolo di estrema poesia. “Ballata sul mare salato” racconta il viaggio dei tanti migranti che trovano nel Mediterraneo il ponte fra una “terra che li odia ed una che non li vuole”, visto con gli occhi di un uccello.
È un articolo apparso sulla rivista Internazionale ad ispirare il lavoro: alcuni uccelli migratori percorrono infatti le stesse rotte di tanti migranti, ignari del triste destino di bracconaggio che spesso li attende.
Scritto a quattro mani dalla regista Sarah Silke Tasca e dall’attore Andrea Mineo, il monologo ingloba testi di canzoni di Fossati e De André. Seppur un po’ debole sul piano recitativo, Mineo si mostra abile nelle azioni fisiche, con un uso interessante di un’amaca, che cambia di volta in volta significato, trasformandosi nelle sue mani.
Altra presenza non torinese a questo Fringe, è stata quella di Daniele Parisi con “Abbasso Daniele Parisi”. Il performer romano inserisce momenti di teatro canzone, performance vocale, riflessione sulla vita e la morte con vivace interazione col pubblico nell’ampia galleria di personaggi che interpreta, conquistando e divertendo.
Il Sommo e il Sottraziono, duo comico formato da Alessandro d’Aries e Ludwig Parentela, accompagna favole rivisitate in chiave ironica e surreale ad un sciolto accompagnamento musicale. Semplice nella sua ironia ma tecnicamente puntuale, lo show diverte con momenti di comicità che non badano al ‘politically correct’. Qualcosa accade ogni sera: un intervento esterno sempre diverso invade per qualche minuto l’esibizione. A noi capita l’attore Ettore Scarpa, ad insinuarsi sulla scena con tale spigliatezza da far sembrare l’interruzione un vero atto di protesta, sulla falsariga del teatro futurista.
Terminato lo spettacolo si va tutti verso i Magazzini sul Po, altro circuito toccato dal festival.
Sarà proprio qui la tappa conclusiva dei nostri giorni al fringe, con “Speradiserabeltemposi… Rosso” di Lucido Sottile.
Da Cagliari, Tiziana Troja e Michela Sale Musio curano regia, drammaturgia e coreografia di questo spettacolo di teatrodanza.
Due danzatrici stanno mettendo in scena una performance di danza contemporanea, mentre le voci registrate ci informano dei loro pensieri, tutt’altro che attinenti alla danza. In un’atmosfera esilarante e dissacrante, le due donne ricostruiscono ricordi delle loro lezioni, dando voce e corpo a insegnanti ogni volta diverse. Geniali nelle intuizioni e strepitose nella messa in scena, le attrici-ballerine non mancano di farci riflettere su un’arte che oggi oscilla spesso tra l’intellettualismo concettuale e criptico e l’impudico smercio di sessualità a basso prezzo.
Il Fringe si è ufficialmente concluso lunedì con l’Agorà Finale, ultimo momento di incontro per tirare le fila di questi dieci giorni e avanzare proposte per il prossimo anno. Entusiasti del debutto, gli organizzatori (le sette compagnie torinesi gestrici degli spazi) snocciolano numeri per descrivere un bilancio positivo in termini di partecipazione di pubblico, compagnie, volontari, operatori culturali e giornalisti accreditati, dichiarando il pieno successo del festival, sia per il seguito che ha avuto sia per l’alta qualità degli spettacoli.
Pur non appoggiando appieno quest’ultima valutazione, per inevitabili differenze sulla qualità artistica dei partecipanti, concordiamo però nell’attribuire alla neonata iniziativa il merito d’aver rappresentato uno stimolante momento di incontro umano e culturale, in una città che si muove attorno a pochi fulcri creativi: un’occasione in più di confronto fra artisti provenienti da altre città ed organizzatori. Questi ultimi, già al lavoro per la seconda edizione.