Catene per i prigionieri politici e matite contro i manganelli. Al Binario 7 di Monza il teatro va oltre l’attualità
Uno di quei libri che si leggono in età adolescenziale. E poi restano chiusi in un cassetto. Ma il presente crea spifferi. Che entrano nei cassetti e scompaginano i libri. Che si liberano degli acari, e ritrovano l’originaria freschezza.
Corrado Accordino porta al Teatro Binario 7 di Monza “1984”, romanzo di George Orwell (1903-1950) pubblicato nel 1949. Era un’Europa in crisi, uscita dalle dittature e dai conflitti per deflagrare nella guerra fredda.
Orwell prefigurava un futuro distopico. Tratteggiava nuovi totalitarismi: cittadini trasformati in cimici controllati dal partito, burocrati pervasi dal sospetto.
L’apoteosi del pensiero unico. La massificazione delle tendenze. La perdita delle parole e dei dettagli. Il dissolvimento delle emozioni. La privazione delle sinapsi che permettono al cervello di funzionare. Su tutto, l’occhio del Grande Fratello che ogni cosa controlla, violando privacy e libertà.
La scenografia allestita da Accordino è un ginepraio di rettangoli metallici verticali. Sono porte, telai, specchi, cornici, gabbie a cielo aperto. Sono occhi che scrutano, voliere che impediscono, riflessi della propria e altrui mediocrità.
Le luci sono fari puntati contro che indagano, accusano. Non fugano mai del tutto quel senso di claustrofobia e inquietudine.
Gli attori (Luigi Aquilino, Daniele Crasti, Daniele Ornatelli, Silvia Rubino, Alessia Vicardi) indossano maglietta nera e pantaloni bicolori grigio-neri. Sono donne e uomini omologati, foschi come il vuoto, bigi come l’indifferenza. Ignavia e tiepidezza. In questo mondo capovolto «la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza».
Meno parole, meno pensieri. Sono personaggi frivoli, sempre in azione. I movimenti coreografici di Romina Contiero disegnano uno show corale pop. Un’umanità senz’anima. In questa civiltà monolitica non esistono sfumature, neanche nella recitazione. E allora, se il coefficiente di difficoltà è basso, i protagonisti spaziano usando il corpo, scuotendo la scena con il loro agire insolente e beffardo, con botta e risposta rapidi, sapidi, sadici, cinici. Coreografie marziali, schemi disincantati. Assecondando il mito della forma fisica, comune ai fascismi di tutte le risme.
Le musiche conferiscono ritmo a quel grigiore, allontanando il pensiero dalla riflessione. Ma qualcuno si ribella. E allora l’amore, e un libro da sottolineare con una matita, diventano atto eversivo, cui l’autorità costituita risponderà con manganelli e catene. Mentre si attende un fantomatico 2050. In cui sarà impossibile anche pensare, tanto sarà limitato il vocabolario a disposizione dei cittadini.
Apprezzabile la verve degli attori nel ping pong con cui frazionano il testo, riuscendo a coinvolgere il pubblico senza tregua.
Stupisce il modo in cui il testo parla alla nostra epoca. Il Grande Fratello è in mezzo a noi. Dagli ultimi decenni del Novecento la pubblicità ha sfruttato gli strumenti della propaganda politica per ogni forma di indottrinamento. La forza icastica degli slogan manipola e induce alla semplificazione, nel rituale dei mi piace / non mi piace. Gli algoritmi dei social dividono, polarizzano, semplificano, esasperando gusti e percezioni. E titillano la nostra parte emotiva. Il pensiero razionale si svende all’adesione immediata. La “neolingua” impoverisce continuamente il nostro lessico: già adesso un adolescente su due non capisce un testo che vada oltre la frase semplice.
Sorprende che Accordino abbia usato oggetti scenici sinistramente in anticipo sui tempi. Il protagonista Winston Smith s’innamora, e inizia a scrivere un diario segreto con una matita. Per questo sarà epurato dal partito e vessato brutalmente.
In scena compaiono manganelli e catene. E pensiamo alle violenze della polizia contro ragazzi che manifestavano a Pisa per la Palestina. A Ilaria Salis – monzese come la compagnia e il pubblico di questo teatro – prigioniera in catene nell’Ungheria di Orban. E Winston ci ricorda la frase pronunciata da Alessandra Todde dopo l’elezione a governatrice della Sardegna: «I sardi hanno risposto ai manganelli con le matite».
Tante filigrane in questo spettacolo. Che ha il merito di riempire ancora una volta la sala. Che fa ricerca in modo soft per coinvolgere un pubblico eterogeneo. Che sa parlare ai ragazzi. E ricollega un romanzo visionario a un presente così aberrante e guerrafondaio, da superare le profezie dello stesso Orwell.
Insomma, un’importante occasione per riflettere sull’incapacità di riflettere. E per celebrare un grande scrittore e un romanzo irrinunciabile, ricordando a giovani e adulti che il Grande Fratello non è soltanto una trasmissione televisiva trash.
1984
da George Orwell
drammaturgia e regia Corrado Accordino
con Luigi Aquilino, Daniele Crasti, Daniele Ornatelli, Silvia Rubino, Alessia Vicardi
aiuto regia Valentina Paiano
movimenti coreografici Romina Contiero
produzione Compagnia Teatro Binario 7
durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Monza, Teatro Binario 7, il 1° marzo 2024