L’emergenza coronavirus aveva drasticamente sovvertito le sorti della 25^ edizione del Festival delle Colline Torinesi, in programma per giugno 2020.
Ora però si guarda al futuro, e la rassegna cambia rotta per riprendere il suo viaggio in un periodo inusuale: dal 14 ottobre al 14 novembre.
Organizzato come negli ultimi anni dalla Fondazione TPE – Teatro Piemonte Europa, questo nuovo appuntamento autunnale, il numero 26, rappresenta non solo il rilancio della kermesse ma anche un parziale rinnovamento della formula tradizionale.
Il tema di questa 26^ edizione sarà confini/sconfinamenti. “Esistono tanti confini e tante possibilità di riuscire a varcarli. Dai confini territoriali (che ben conoscono i migranti) a quelli esistenziali, sperimentati in modo doloroso da tutti con la pandemia – commenta Sergio Ariotti, direttore artistico della manifestazione – Limitatamente alle arti, i confini circoscrivono i linguaggi a volte in modo improprio o pretestuoso. Alla fine dell’Ottocento pittura e fotografia confliggevano, all’inizio del Novecento fu lo stesso per teatro e cinema, ma in seguito la nascita delle nuove arti arricchì quelle tradizionali, come sottolinea Walter Benjamin. Si pensi, ad esempio, a un regista come Erwin Piscator che nel suo “Hoppla, siamo vivi!” del drammaturgo tedesco Ernst Toller, utilizzò (nel 1927) proiezioni cinematografiche in modo efficace. Noi crediamo allora che uno dei compiti della creatività contemporanea sia quello di contaminare i linguaggi, alternarli, combinarli e superarli per sconfinare dal teatro verso la performance e il video. Non a caso i francesi utilizzano il termine création contemporaine”.
È nell’ambito della performance artistica che il festival vuole agire, oltre che in quello della drammaturgia in senso più tradizionale, nell’ottica della partnership con la Fondazione Merz e della collaborazione con Piemonte dal Vivo. Un fecondo incrocio fra teatro e arte contemporanea per superare certi steccati e scoprire talenti che utilizzano spazi inconsueti o scommettono su nuove complicità. Del resto la rassegna è già avvezza a sconfinamenti: ricordiamo, solo per fare un esempio, la performance del 2012, quando il pubblico invase il palcoscenico in occasione di “The Plot Is The Revolution” dei Motus: ogni spettatore fu chiamato a disegnare su un enorme foglio bianco, srotolato sulle assi sotto lo sguardo di Judith Malina.
In questa direzione saranno presentati alla Fondazione Merz “Rompere il ghiaccio” di OHT/Office for a Human Theatre, gruppo fondato da Filippo Andreatta; “Sunny Sundays” e “Borborygmus” degli artisti albanesi Rabih Mroué e Lina Majdalanie.
Altro spettacolo legato all’arte andrà in scena al Castello di Rivoli, dove il duo Cuocolo/Bosetti si esibirà con “Exhibition”, in programma il 5-6-7 novembre. Una sorta di visita guidata particolare alle opere e alle mostre che saranno in corso in quel periodo, una performance-opera che vuole indagare le ragioni della fruizione artistica e raccontare l’arte contemporanea da un inedito punto di vista.
Il festival si arricchirà di due percorsi tematici: il Paese ospite e una monografia d’artista.
Nell’edizione 2021 il Belgio sarà il primo Paese ospite con la presenza di Needcompany che propone “All The Good” di Jan Lauwers, maestro delle avanguardie teatrali, che porta in scena un’esibizione di teatro, musica, danza e performing-art nato dal suo incontro con un veterano della guerra arabo-israeliana, Elik Niv, diventato ballerino dopo un grave incidente.
La monografia sarà invece dedicata alla famiglia d’arte Castellucci / Sociètas, presente con tre allestimenti di Chiara Guidi, Claudia Castellucci e Romeo Castellucci, che torna con “Schwanengesang D744”, concerto-spettacolo da vari lieder di Franz Schubert, tutti al confine tra il mondo della speranza e l’oscurità degli abbandoni. In scena la soprano Kerstin Avemo, mentre non mancheranno le scosse elettroacustiche del musicista Scott Gibbons. Claudia Castellucci proporrà in prima nazionale, dopo l’esordio a San Pietroburgo, “La buona abitudine”, creazione tra ballo, musica e arte, che inaugurerà la 26^ edizione. Ci sarà infine Chiara Guidi con “Epido”, una fiaba di magia condivisa per la prima volta con la Casa del Teatro Ragazzi.
Nel segmento internazionale figureranno poi l’ungherese Kornél Mundruczó con il suo gruppo Proton Theatre, alle prese con “Imitation of Life”, atto d’accusa verso una società votata alla discriminazione. Presenti anche gli spagnoli Agrupación Señor Serrano con “The Mountain”, al cui centro c’è l’alpinista Mallory e i misteriosi interrogativi sulla salita all’Everest.
Si parlerà anche di Egitto e dei primi dieci anni della Primavera Araba con la giovane Miriam Selima Fieno e un nuovo lavoro dedicato agli esuli egiziani che si sono battuti per la difesa dei diritti umani: “Fuga dall’Egitto”, ispirato al libro omonimo di Azzurra Meringolo.
Tornano anche in questa edizione i Motus, che metteranno in scena “Tutto brucia”, nuova produzione ricavata dalle “Troiane” di Sartre, scritto a Roma nel 1964 e adattamento del testo di Euripide, riferito però ai conflitti contemporanei. Della stessa compagnia “Chroma Keys” interpretata da Silvia Calderoni e dedicata a una tecnica video (il Chroma Key) molto utilizzata dal cinema, e di cui fu maestro lo scenografo astigiano Eugenio Guglielminetti, con citazioni da Hitchcock, Godard, Lars von Trier e Béla Tarr.
Presente anche Virgilio Sieni con una creazione dedicata all’opera di Mario e Marisa Merz.
Saranno della partita torinese anche Liv Ferracchiati con “La tragedia è finita, Platonov”, riscrittura in chiave contemporanea partendo da Čechov, Simone Schinocca con “Fine pena”, Ninni Bruschetta con “Ora” di Elio Fassone e Muta Imago con l’installazione interattiva “Sonora Desert”.
Artisti che sanno bene come innescare la comunicazione, mescolarla e contaminarla, e che si esibiranno al Teatro Astra, alla Fondazione Merz, al Castello di Rivoli, alla Lavanderia a Vapore di Collegno, alla Casa del Teatro Ragazzi e al Teatro dell’Arte, piccolo teatro della periferia torinese, una new entry nelle location del festival, una proposta importante per la città nella visione di un progetto collettivo.
E concludiamo con Il Segno d’Artista 2021. Dal 2006 l’Arte Povera ha fatto irruzione nel festival per quello che viene definito Il Segno d’Artista, grazie a Mario Merz con una bella “Serie di Fibonacci”, a cui sono seguiti, negli anni, nomi di spicco e giovani in grande crescita internazionale: Marco Gastini, Luigi Mainolfi, Michelangelo Pistoletto, Nunzio, Giorgio Griffa, Marzia Migliora, Antje Reick, Masbedo, Zena El Khalil, Botto&Bruno, Lida Abdul, Pétrit Halilaj e Marisa Merz. Il segno d’artista 2021 sarà della parigina Sophie Calle, tratto da una sua opera “Parce Que”, un trittico che fonde virtuosamente fotografia e parola, quasi una super-metafora del tempo in cui viviamo.