4.48 Psychosis: Elena Arvigo nel deliquio di Sarah Kane

Elena Arvigo in scena (ph: Alessandro Villa)
Elena Arvigo in scena (ph: Alessandro Villa)

Torna all’Out Off, con la regia di Valentina Calvani, la pièce finale della drammaturga inglese

Cammina sui pezzi di vetro, Elena Arvigo. Avanza su una terra nuda, nera, nel memento mori di una vita che è tutt’uno con la morte. L’attrice barcolla. Vacilla da creatura inerme, nel deliquio che abbraccia l’abisso, guidata dai timidi bagliori di candelabri precipitati.
Arvigo avanza. Si rode. Retrocede. Ripiega. Chiede persino scusa agli spettatori, e si ferma qualche minuto dopo una piccola défaillance dovuta a un calo di pressione. Poi riparte. E agita gli spettatori anche quando si chiude in un’atroce paralisi.

È ormai un cult “4.48 Psychosis”, opera della regista e drammaturga britannica Sarah Kane, che Elena Arvigo porta all’Out Off di Milano a quattordici anni di distanza dal debutto al Teatro Argot Studio di Roma.

Scrittrice brillante e promettente, la 28enne Kane si tolse la vita al King’s College Hospital di Londra nel 1999, dopo anni di depressione clinica. Tra le sue opere più importanti, “Blasted”, “Skin” e “Cleansed”. Ma è proprio il suo ultimo monologo, “4.48 Psychosis”, rappresentato per la prima volta alla Royal Court nel 2000, a scuotere fino in fondo le coscienze.

Avvitamenti paranoidi. Raccontare storie di depressione e ansia sul palco può essere complicato, soprattutto se la trama sembra più una lettera d’addio al mondo che la sceneggiatura di un’opera teatrale. Il teatro è arte. La sua estetica è fondamentale per catturare l’attenzione del pubblico. Ma c’è anche la necessità di rimanere onesti rispetto allo scopo del drammaturgo. Questo dilemma è forse uno dei motivi per cui nel corso degli anni i teatri di tutto il mondo hanno evitato di mettere in scena le opere enigmatiche ma angoscianti di Sarah Kane.

Non così la genovese Elena Arvigo, che con “4.48 Psychosis” (nell’esuberante traduzione di Barbara Nativi) si ribella alla logica del mercato che ormai fa vivere uno spettacolo solo lo spazio di una stagione. Proprio il Nazionale di Genova dedicherà ad Arvigo una personale nel prossimo ottobre, e sarà un’ulteriore occasione per apprezzare questo gioiello di purezza teatrale.

Turbine. Caos nella mente e sulla scena. Sentirsi perennemente fuori posto: nel corpo sbagliato; nel luogo sbagliato; nel momento sbagliato. Due piccole pareti sghembe racchiudono lo spazio dell’azione in un un triangolo scaleno più buio di qualche anno fa, ma abbacinato da una luce centrale. Su una parete è poggiata una scala vicino a due valigie, quasi a tratteggiare una via di fuga da questa prigione. C’è una sedia al vertice del triangolo. Un’ombra alle spalle dell’attrice evoca ali maligne da angelo caduto. Uno specchio rettangolare pende sfasato, a riflettere un’umanità aggrovigliata. Pezzi di vetro pendono dall’alto; restituiscono simulacri di un’identità frammentata; con il terrore di scoprirsi nudi.

Valentina Calvani alla regia disegna lo scenario di un’anima scomposta. Elena-Sarah ricama un solitario di carte da gioco. Poi capovolge delle urne trasparenti: quale pallina cadrà da esse? E le carte, predicono il futuro o il passato?
Una veste sfatta copre a malapena una donna discinta, occhioni allucinati, seni gravidi di vita. I piedi nudi. Le mani, a cercare il contatto con la terra. Un’atmosfera spettrale.
Un lavoro meticoloso sulla voce e sul suono. Il livello di un amore appassionato e tragico conferisce all’opera una forza emotiva singolare.
Colpisce l’energia con cui Elena Arvigo penetra nella mente di Sarah Kane. La recitazione è sconnessa. La voce è bruciante. Le corde vocali si raggrumano, ermetiche ed esplosive come il dolore. In quello strepito interrotto, in quegli occhi spasimanti, si alterna un profluvio di umori, una tempesta di sentimenti contrapposti. Ora l’attrice balbetta, ora ci travolge con una cascata di parole stordenti e visionarie.
A esse fa da contrappunto una musica rarefatta, puntiforme (creazione di Susanna Stivali) che ritorna ossessiva dopo lunghe pause. Poi si solennizza in un’armonia classica, distonica rispetto ai sentimenti tragici portati in scena.

“4.48 Psychosis” è una coreopoema che segue gli sconvolgimenti della psiche di una donna che voleva vivere senza essere innamorata della vita. Navighiamo nella mente di Sarah Kane. Attraversiamo i paradossi di una vita lanciata verso l’autodistruzione. Assistiamo all’agone tra speranza e realtà. Avvertiamo un amore convulso verso oggetti inconsistenti. Chissà se era amor proprio, o il desiderio di trovare qualcuno – un raggio di speranza – che avrebbe restituito linfa alla sua vita.

Questo testo – ci confessa Arvigo – si è arricchito di ulteriori sfumature in epoca Covid, quando il rapporto con la morte era quotidiano, e la solitudine era una coltre di cemento.
Ultimamente siamo così abituati a discorsi sulla salute mentale misurati, sottili ed evasivi, che ogni affondo sembra un azzardo. Ma a volte anche gli estremi hanno bisogno di essere raccontati. Arvigo-Kane se ne fa carico. E comprendiamo, attraverso il suo delirio magico e questa recitazione ferocemente sconnessa, qualcosa di più della nostra follia e di questo tempo disumanizzato.

4:48 Psychosis
di Sarah Kane
traduzione Barbara Nativi
regia Valentina Calvani
con Elena Arvigo
scene, costumi e luci Valentina Calvani e Elena Arvigo
musiche originali Susanna Stivali
foto Pino Le Pera
produzione Teatro Out Off e Compagnia Elena Arvigo

durata: 1 h
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Teatro Out Off, il 4 maggio 2024

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