Pontedera Teatro è oggi un rizoma di attività che va dalla produzione ai festival (organizzati e visitati), al lavoro del Workcenter, dal teatro ragazzi all’editoria e ai progetti speciali, come quello dei 50 spettatori da adottare, ripetuto quest’anno in seconda edizione e accompagnato da nomi del panorama teatrale internazionale quali Silvia Pasello, Bustric, Cesar Brie, Walter Siti, Daniel Pennac, Paolo Benvenuti e molti altri. Un movimento tellurico che smuove il terreno per andare a modificare la morfologia del territorio, allargandone i confini.
Una storia lunga 40 anni, si diceva, costruita attraverso innumerevoli relazioni, sforzi e tenacia, ma soprattutto grazie allo spirito e alla passione che negli anni sembrano rimasti immutati. Tante e differenti le iniziative per festeggiare questi “primi 40 anni”, che saranno distribuite in un calendario mensile con un’attenzione sempre focalizzata, oltre che sul pubblico, anche sulle nuove generazioni.
Come “L’era delle cadute”, progetto che segue il gruppo di lavoro “Scendere da cavallo”, iniziato lo scorso anno, e che vedrà la realizzazione a giugno di una produzione collettiva, con la partecipazione di dieci giovani gruppi teatrali tra cui Carrozzeria Orfeo, Lo Sicco/Civilleri, Scenica Frammenti, Macelleria Ettore, Teatro dei Venti e altri.
L’ospitalità sarà legata ai festival di Fabbrica Europa e Collinarea, e agli eventi organizzati per i 40 anni, con spettacoli di artisti internazionali (Mum&Gipsy, Olivier de Sagazan, Jan Fabre, Oscar Kornusovas), laboratori e incontri, incluso un convegno sull’opera di Jerzy Grotowski, a cui si lega anche il progetto editoriale curato da Carla Pollastrelli. Proseguiranno inoltre le iniziative all’estero della Fondazione, tra il lavoro del Workcenter (attualmente a New York) e gli spettacoli in tournée, come “Lisboa”, spettacolo itinerante per la regia di Anna Stigsgaard che replicherà in Colombia e alle Canarie, “TU! Ognuno è benvenuto”, che sarà ospitato al Festival di Sarajevo e in Brasile, e “Il Giardino dei Ciliegi”, che sarà realizzato al Teatro Nazionale Rumeno di Cluj con la regia di Roberto Bacci.
Abbiamo ripercorso proprio con Roberto Bacci questi quattro decenni, dagli anni anarchici del Living Theatre alla creazione del Workcenter di Jerzy Grotowski, fino all’attuale centro internazionale, di impostazione anti-accademica ma costantemente orientato alla ricerca, veicolando idee, progetti e lavori, al fine di farne strumento di conoscenza dell’uomo e per l’uomo.
Il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale nasce in un periodo – i primi anni ’70 – caratterizzato dal Living Theatre, dall’Odin Teatret di Eugenio Barba, dal Teatro di Jerzy Grotowski. Cosa ha ereditato dai maestri che spianarono il terreno in quegli anni e cosa lascia in eredità alle nuove generazioni?
Di fronte alla parola eredità c’è per me una sorta di imbarazzo, perché intorno alle eredità nascono quasi sempre dei conflitti, come nelle famiglie. Io amo piuttosto i tradimenti. In campo artistico i tradimenti sono quelli che trasformano, mentre le eredità, se non tradite, rischiano di portarsi dietro automatismi e ripetizioni che nel campo dell’arte bisognerebbe eliminare. Però tu hai citato tre nomi che evidentemente sono dei veri riferimenti della nostra storia.
Cominciamo allora da quello più antico: il Living Theatre.
Julian Beck e Judith Malina per me sono stati degli amici. Ricordo nei primi anni Settanta tutto il gruppo del Living che dormiva come una sorta di grande famiglia sul soppalco del nostro vecchio teatro, nella Villa Comunale. Fu uno dei primi gruppi che invitammo, per diversi motivi. Quando arrivai a Pontedera (dove esisteva come gruppo di amatori il Piccolo Teatro di Pontedera creato da Dario Marconcini, Giovanna Daddi e Giorgio Angiolini), gli spettacoli che venivano fatti erano proprio “alla Living”, ed era commovente vederli. Io venivo da un’altra storia, ero stato all’Odin Teatret nel 1971 per fare la mia tesi su uno spettacolo di Eugenio Barba, “La casa del padre” (che vidi solo 24 volte…).
Il Living era l’idea della famiglia, del gruppo, della fratellanza, dell’anarchia, era la prefigurazione di un mondo che non si è mai realizzato se non nei sogni di ciascun individuo, in cui una persona può vivere la propria esperienza umana, culturale, professionale completamente slegata dalle regole dell’economia che condizionano la nostra esistenza individuale e collettiva.
Arrivato a Pontedera nel 1972 mi fu chiesto di fare il regista del Piccolo Teatro e da lì cominciò tutto. Invitammo a più riprese il Living a fare spettacoli in strada, in una palestra, poi, anni dopo, a Santarcangelo e a Fabbrica Europa. Abbiamo prodotto anche uno spettacolo con Judith e andai a trovarli a New York.
La sua formazione è però più legata all’Odin Teatret.
Avevo letto un libro su Grotowski scritto da Eugenio Barba, “Alla ricerca del teatro perduto”, e quello fu il motore di una lunga storia. Scrissi una lunga lettera all’Odin e fui invitato ad Holstebro, in Danimarca, cosa piuttosto rara a quei tempi, e l’impatto non fu tanto sul fare teatro, ma su come costruire un ambiente in cui il proprio teatro potesse crescere.
Ero un autodidatta (ho imparato a fare il regista facendolo) e il mio contatto con il gruppo di Pontedera nacque quando tornai in Italia. Andando in Danimarca con un furgone, il Piccolo Teatro di Pontedera era passato dall’Odin ed Eugenio aveva dato loro i miei contatti, così, immaginando che io fossi un regista, mi invitarono a Pontedera a partecipare al loro lavoro. Fu una sorta di rituale di iniziazione per me, trovai questi amatori che facevano teatro “alla Living” e, dopo un periodo di prova reciproca, realizzammo il primo spettacolo, “Macbeth”.
Da lì nacque l’idea di creare, su un modello di autoformazione, un Centro di Sperimentazione e Ricerca Teatrale col quale poter invitare delle esperienze formative per noi, e così fu fatto. Nel ’74 creammo, insieme al Comune (cosa incredibile già allora, ma ancor più se si pensa oggi) una piccola associazione. Una nota a margine: io ero iscritto al PCI dal ’69, e chiesi al partito di impegnarsi in questa scelta. Così, con Massimo D’Alema, responsabile culturale della Federazione di Pisa, arrivammo in macchina a Pontedera per stimolare la nascita di questa associazione anomala. Cominciammo a fare attività, in maniera assolutamente spontanea, gratuita, senza alcuna forma di stipendio.
Io insegnavo Storia del Teatro all’Università di Pisa come assistente volontario e un gruppo di giovani studenti si fuse con il vecchio gruppo di Pontedera: è così che è cominciata la storia, seguendo gli scritti di Grotowski, che nessuno di noi conosceva e che vedevamo come una sorta di mito senza aver visto i suoi lavori. Non era quindi un gruppo “odiniano” ma c’era quell’idea del luogo da costruire e per cui lavorare.
Poi Grotowski lo incontrò veramente.
Anni dopo, lo incontrai in una Biennale diretta da Ronconi, verso la fine degli anni ‘70, e invitammo diversi attori del Teatr Laboratorium a fare seminari e laboratori a Pontedera: Anthony Joholkowski, Zygmund Molik, Ludwig Flaszen, Rena Mirecka.
Qualche anno dopo invitai anche Ryszard Cieslack, l’attore icona del lavoro di Grotowski, a realizzare per noi, come regista, uno spettacolo con attori italiani di Pontedera. Fummo anche invitati a Wroclaw al Teatr Laboratorium, e fu una specie di viaggio iniziatico, facemmo uno spettacolo nel teatro di Grotowski avendo come spettatori tutti gli attori del Laboratorium.
E’ in quegli anni che si è costruito un rapporto di fratellanza teatrale che ha dato poi vita al Workcenter a Pontedera.
Nell’81 realizzammo a Volterra l’Ista (Internationl School of Theatre Antropology) con Eugenio Barba, una scuola di teatro internazionale dove vennero giovani da tutto il mondo per lavorare per due mesi con insegnanti indiani, balinesi, ma anche con registi come Dario Fo e naturalmente Grotowski, che aveva lasciato la Polonia dopo il colpo di stato per emigrare negli Stati Uniti, ma che desiderava tornare in Europa. Così gli offrimmo la possibilità di venire a Pontedera, senza chiedergli niente in cambio, cosa che lui pose come condizione perché voleva sviluppare il suo lavoro. Mentre il rapporto con l’Odin è continuato come una grande fratellanza teatrale, quello con Grotowski è stato un rapporto di profonda amicizia: passavamo notti a parlare, non di teatro ma di politica, di spiritualità…
— fine prima parte —