Il Padiglione troppo sfavillante di Verdastro

Il Padiglione delle meraviglie di Verdastro
Il Padiglione delle meraviglie di Verdastro
Il Padiglione delle meraviglie di Verdastro
Amara opera teatrale degli anni Venti, “Il Padiglione delle meraviglie” di Ettore Petrolini mette in scena l’ambiente che lo ha visto muovere i primi passi nel mondo dell’arte, piazza Guglielmo Pepe a Roma, luogo di baracconi e di umanità composita, di imbonitori, lottatori, maghi e trasformisti, e dove il giovane attore si esibiva nella parte della “donna sirena”, ruolo che, nella messinscena presentata al Teatro Era, è affidato a Manuela Kustermann.

“La piazza era arida, polverosa: sassi per tera come ovi de struzzo. Si poi pioveva, co li piedi te n’annavi in barchetta e li schizzi de fanga t’arivaveno ar barbozzo”.
Così inizia il lavoro, che si sviluppa attorno alle tristi vicende de “Il padiglione delle meraviglie”, coi suoi pochi spettatori e le sue bizzarre attrazioni.

Fulcro dell’azione, fino al drammatico finale, è la vicenda d’amore che vede coinvolti Tiberio (Massimo Verdastro), l’imbonitore del carrozzone, e la bella Elvira (Manuela Kustermann), che lo ha abbandonato per il giovane bellimbusto Tigre. Il testo del grande drammaturgo e attore romano, pressoché integrale nella messinscena di Verdastro, vede gli inserti del poeta Elio Pecora che aprono a riflessioni interiori di alcuni personaggi e fanno sì che per un attimo, quest’ultimi, si esprimano “con parole nuove, inaspettate”, in un’operazione interessante che nulla toglie allo svolgersi dell’azione.

Quello che nelle intenzioni era un omaggio alla straordinaria figura di Ettore Petrolini e per Verdastro la naturale prosecuzione del cammino intrapreso col precedente “Satyricon – una visione contemporanea” da Petronio – scelta a mio parere assai azzeccata – viene però ad essere uno spettacolo statico, privo di dinamismo, di potenza, chiuso com’è in un dipanarsi della materia molto lento, e soprattutto privo di linfa vitale in scena.

Il padiglione si avvale di una macchina scenografica imponente, con soluzioni e trovate interessanti, come il grande telo circolare al centro della scena con le sue ombre proiettate, e con l’aggiunta dei ricchi costumi di Stefania Battaglia (costumi che, nella loro sfavillante esoticità, hanno tuttavia qualcosa che non convince: mancano di bottoni sdruciti, di lacerazioni, strappi, buchi e toppe… perfetta metafora di quell’assenza di verità), tutti elementi che invano tentano di ricreare quell’atmosfera circense e decadente da baraccone di un tempo che fu. Non bastano neppure la buona prova di Chiara Lucisano e Giuseppe Sangiorgi.

Tutto è troppo pulito, ordinato e “forzato”. Come se, per fare un facile esempio, Caravaggio, nella sua natura morta “Canestra di frutta” avesse rappresentato perfetti pomi intonsi anziché l’ammonitrice e veritiera mela bacata.

Si cerca invano una “tragicità” in queste figure quasi mancanti di vita vissuta in scena. Tutto scorre lentamente, nell’attesa di un lampo, di una spinta, di un coinvolgimento. Manca autenticità, mancano le lacrime, la rabbia, le pulsazioni di sangue e cuore, il sudore e la miseria, e le azioni appaiono spesso slegate le une con le altre e intervallate da attese vuote.

Verdastro e la Kustermann – giovanissima Ofelia nell’Amleto di Carmelo Bene e una delle figure simbolo del teatro sperimentale romano di fine anni Sessanta, ormai da anni alla direzione del Teatro Vascello di Roma – non riescono a restituire tutte le sfumature nascoste nel testo petroliniano, in un’operazione che si dimostrava molto interessante sulla carta e nelle esaustive note di regia di Massimo Verdastro: “Il Padiglione è il luogo della sorpresa. Buio e luce, silenzio e clamore si alternano. Divertimento e paura fanno a gara nel prendere il sopravvento. Quando l’involucro si apre, tutti possono vedere e allora è lì che sorgono gli interrogativi più difficili. Non sappiamo e non possiamo dare risposte certe a quelle domande che sembrano volerci scuotere da un pericoloso torpore”.

Eppure tutto questo sembra rimanere nelle intenzioni. Solo l’inizio del secondo quadro, improvvisamente squillante e dinamico – dopo la breve interruzione a scena aperta dell’atto unico accompagnata dalle note di Loredana Bertè – sembra restituire vita allo spettacolo, quasi che si respirasse nell’aria il profumo dei salamini di petroliniana memoria.
Ma è solo un’illusione.

IL PADIGLIONE DELLE MERAVIGLIE
di Ettore Petrolini
drammaturgia: Massimo Verdastro ed Elio Pecora
regia: Massimo Verdastro
con: Manuela Kustermann, Massimo Verdastro, Emanuele Carucci Viterbi, Gloria Liberati,  Giuseppe Sangiorgi, Luigi Pisani, Chiara Lucisano
scene e costumi: Stefania Battaglia
disegno luci: Valerio Geroldi
sound design: Mauro Lupone
collaborazione ai movimenti di scena: Charlotte Delaporte
aiuto regia: Giuseppe Sangiorgi
consulenza tecniche circensi: Daniele Antonini
consulenza letteraria: Luca Scarlini
realizzazioni scenografiche: Peroni s.p.a, Alessandro Brambilla
realizzazioni costumi: Sartoria Teatrale Fiorentina
produzione: TSI La Fabbrica dell’Attore in collaborazione con Compagnia Massimo Verdastro

durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 1′ 20”

Visto a Pontedera, Teatro Era, il 14 febbraio 2014


 

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